Le rive della Bormida nel 1794/Capitolo XVII

Capitolo XVII

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CAPITOLO XVII.



Giuliano detto addio a Rocco, s’era trovato solo, in parte dove niuno faceva guardia al rigagnolo, che partiva le terre del Re di Sardegna, da quelle della repubblica Genovese. Non gli rimanevano a fare che pochi passi, e poi avesse avuto dietro di sè tutta la cavalleria, che lungo la vallata della Bormida, pasceva i cavalli ungheresi coll’erbe di quei poveri montanari; egli si sarebbe potuto volgere dall’altra sponda, a riderle in faccia; sicuro come a essere a Genova in casa al Doge. Sino a quell’ora, la neutralità della repubblica, era stata rispettata dagli Alemanni.

Ma nell’atto di sconfinare, l’aveva preso un nodo al cuore, e si era fermato come uomo che non può reggersi ritto a tirare innanzi. Forse i proscritti dei tempi di mezzo, si fermavano in quella mesta guisa al confine del loro comune; volgendo gli occhi alle torri, alle cupole della città dond’erano sbanditi: e l’immagine di Guido Cavalcanti sulla via di Sarzana, collo sgomento dell’esilio in viso, e colla malinconia che gli ispirò la ballatetta afflitta e famosa; si forma nella mia mente pensando qual fu Giuliano, in quell’ora.

Quante volte il giovane avrà voluto tornare, e quante avrà ritratto il piede, già mosso a valicare quella poca acqua, che gorgogliava tra i macigni e le radici sterrate dei salici e dei pioppi; egli che aveva corso da Torino [p. 311 modifica]a D... tante miglia, quasi senza abbadarvi! Ma in quel viaggio egli era venuto per terre, nelle quali era come essere in patria: adesso, di là da quel rigagnolo, donde pur si potevano scoprire le cime dei monti a’ cui piedi era il suo borgo, avrebbe messo il piede sopra terra straniera. Straniera secondo i conti d’allora, sebbene la gente vi parlasse su per giù un dialetto uguale a quello di D...: ma là si viveva sotto altre leggi; il popolo v’obbediva altri magistrati; il rifugiarvisi dalla parte di qua ogni sorta di perseguitati, dava a quella terra cattiva fama tra il volgo: e pur non credendo di capitare in mezzo a gente sbattezzata, gli sapeva male di doversi gettare fuori del regno come un malfattore. La casa materna non gli era mai parsa lontana come in quel punto; e di pensiero in pensiero si ridusse a pregarsi di potervi stare, non da padrone, non da figliuolo della padrona, ma sconosciuto, da servitore; pur di poter vedere la madre, Marta, e Tecla ogni giorno; Tecla che gli si affacciava da lungi, e pareva venirgli incontro sorridente, amica, sicura: e massime dopo il discorso avuto poco prima con Rocco, gli si figgeva in mente come una cosa cui un giorno o l’altro avrebbe dovuto pensare.

Sarebbe rimasto su quella sponda chi sa quanto, se non badava al sole che intanto s’era fatto alto. Ond’egli, dato, sto per dire, uno strappo a sè stesso, era disceso giù dalla ripa e aveva varcato le tue acque, o ruscelletto modesto; le tue acque, che di quei tempi furono di salvezza a tanti fuggitivi, come se san Giorgio il valente fosse stato a galoppare, colla lancia in resta, lungo la tua sponda. E tu, allora, non sorgevi vicino a quel ruscelletto, o modesto cimitero di Carcare; nè tu che vi scendesti a riposare colla fede d’andare in terra de’ vivi, eri peranco nato, o maestro della mia giovinezza, Atanasio Canata, povero Scolopio, cristiano antico. Ma le campane del collegio, che suonavano a doppio la messa, nell’istante in cui il mio profugo toccò il suolo [p. 312 modifica]della libertà, erano le istesse che dovevano poi governare la tua vita tanti anni, o dolce maestro mio; quelle istesse di cui mi rimase negli orecchi la romba, cara come la voce tua, e come la vostra, o amici dall’adolescenza; che, se mai vi capitasse tra le mani questo racconto, prego vi rammentiate di me, come io mi ricordo di voi con amore; e vi veggo sempre sulle memori panche della scuola, coi visi di vent’anni or sono.

Nessuno mi si faccia severo per questo viluppo d’apostrofi, le quali non sono poi troppe, per chi novellando si trova con uno de’ suoi personaggi, in luogo di memorie dolcissime. E tiri pur oltre, che io baderò a non farlo uscire spedato per le vie dirotte, che Giuliano ebbe a fare su d’un muletto, pigliato a nolo nella terra di Carcare; piena allora di contrabbandieri, che facevano servizio con pronto animo, a chi avesse viso di perseguitato e di largo spenditore.

L’Apennino, salito al passo lento della cavalcatura, era sembrato interminabile al giovane, che per tutta la via non aveva aperto bocca a parlare colla sua scorta. Ma giunti in cima al giogo, il mulattiere vedendo il viaggiatore nulla maravigliato della bella vista che si parava dinanzi, quasi per consigliarlo che alzasse il capo a vedere, sclamò: — il mare!

Quando io ripenso a quel mattino d’autunno, in cui giovinetto vidi la prima volta il mare, di su quel colle; sempre si rinnova in me ciò che allora provai nell’anima e nella persona, che non seppi mai dire. E però non mi rischierei per nulla ad esprimere quello che provò Giuliano; il quale essendo di tempera da sapersi prostrare collo spirito, alle grandi bellezze della natura; accolta nel petto largamente l’aria di quell’altezza, rimase a contemplare a lungo e muto; poi prese la china come voglioso di correre a tuffarsi, a smarrirsi, in quella lontananza sterminata.

A’ nostri giorni la strada agevole e bella, menzionata sin dal principio di questo racconto, scende da quella [p. 313 modifica]vetta, passando a piè della torre di Cadibona; la quale mi ritorna nella mente colla croce rossa di Genova dipinta sulla sua faccia, appunto come quella che io vidi sul muro di non so qual edificio antico, che dà sul porto di Bastia in Corsica; e che mi parve lasciata là, come promessa di tornare, fatta dagli Italiani di Genova, nel vendere quella gemma dei nostri mari. Passando vicino a quella torre, Giuliano levò gli occhi in su, a mirarne l’altezza; e ad una delle finestre vide una donna soave, bionda, mestissima, che gli sembrò una sorella, affacciata lassù per dargli la buona andata. Tirò innanzi senza chiedere al mulattiere chi fosse quella donna; ma si compiacque nell’immaginarla figlia o sposa di qualche vecchio cannoniere della Repubblica, messo là a riposare e a custodire la torre. Mesta la era, egli la stimò anche infelice; e cominciò a fantasticare sulle sventure di quella sconosciuta. Senonchè le fantasticherie si mutarono in maraviglia, quando si vide innanzi il gruppo di colli anfrattuosi soggiogati dalla torre. Su quei colli splendeva la virtù della forte razza ligure, che assale le rocce, le spètra, le costringe a diventare feconde ed amene. Giuliano ammirò i vigneti, prosperosi e fitti sulle macìe, murate con interminabili fatiche a reggere la poca terra, donde quei montanari cavano il pane. La vendemmia essendo vicina, pei lunghi filari, sovraposti gli uni agli altri nei ripidi fianchi dei colli; si vedevano i rossi berretti dei vignaioli, e i corpetti bianchi delle loro donne, intente com’essi a legar alti i tralciati, affinchè i grappoli cogliessero meglio i raggi del sole. E lavorando cantavano, con mirabili accordi, lo loro vecchie canzoni; dalle quali spirava qualcosa che somigliava alla tristezza magnanima che ci viene dal canto della servitù di Babilonia; e quella mestizia di toni che non pareva da gente così gagliarda, si mescolò nei sentimenti di Giuliano, a farlo tornare col pensiero alla donna veduta poco prima e compianta.

Se fosse stato un giovane dei nostri tempi, egli avrebbe [p. 314 modifica]pregato tra sè, che venissero i popoli d’ogni parte d’Italia a visitare quei colli, e a impararvi come si muoia meritamente d’inopia e di viltà, sui pingui campi lasciati mutarsi in paludi; mentre che le rocce dell’Apennino paiono per man dell’uomo, la terra promessa. Ma egli tirò oltre senza pensare a questo; e per boschi selvaggi, continuò la sua via verso Savona; dove (tra il fermarsi a riposare, e a rinfrescarsi, avendo fatto quasi notte) giunse colla sua guida, all’ora in cui Tecla e Rocco erano comparsi a D..., a levar di pena sua madre, come si è visto nel capitolo precedente.

Le vie della città, anguste e tetre per l’altezza delle case, erano affollate di gente; e alle cantonate turbe di donnicciuole e di marinai cantavano le litanie, ginocchioni dinanzi a madonne sorridenti da belle nicchie, d’ardesia e di conchiglie di mille generazioni; inghirlandate di fiori, con attorno le centinaia di lumicini. Le botteghe dei mercanti, dalla più ricca dell’orafo, a quella dal cenciaiolo, erano tutte chiuse; ma sovra le porte, avevano ognuna la propria Madonnina, col beato Antonio Botta inginocchiato a’ piedi; uomo fortunato cui anticamente era apparita la Vergine, come i Savonesi sapevano tutti. Le padrone delle botteghe, grasse e sfolgoranti di vezzi d’oro agli orecchi, al collo, ai polsi, a somiglianza di statue cariche di voti, cinguettavano dalle finestre colle comari di faccia; preti, frati, monache d’ogni colore, andavano e venivano, inchinati dalla gente devota: in mezzo alla quale Giuliano ebbe molto a penare per farsi far largo, coll’aiuto del mulattiere, che alfine lo fece scendere ad un’osteria, che dava sul porto. Di là si vedeva un poggio, su cui sorgeva un edificio, che al sito ameno ed al campanile donde era sormontato si conosceva per un convento; ed era dei Capuccini, che appunto come a C.., festeggiavano la loro Madonna degli Angeli anch’essi. La luminaria di lassù, riverberata dall’acqua del mare sottoposto, dava all’altura un aspetto meraviglioso; e la cittadinanza [p. 315 modifica]vogliosa di piacere ai frati, menava per le vie la festa che Giuliano aveva veduto arrivando.

Fosse la tristezza dell’animo, le memorie di casa sua, o il suono di cento campane, che facevano parere la città tutta una basilica; egli provò un senso di scontento, e quasi gli dolse d’essere arrivato. E ancora si aggiunse che dall’osteria d’Alba, a quella lì dov’era, ci correva di molto; perchè subito si sentì fra gente che negli atti, nei visi, nei detti, mostrava di non badare che a sè e ai propri negozi; e sino le voci gli rendevano un suono come di monete che fossero contate in fretta. Cenò di mala voglia col mulattiere, che volle alla propria mensa; poi pagatolo largamente, s’andò a coricare.

All’alba del giorno appresso, egli era già in cammino, uscito dalla città per la via che menava a Nizza; e potè, andando a piedi e a suo agio, confortare la vista in quel teatro di spiagge e d’alture. Là i borghi, a vederli di lontano, pajono navigli posati colle vele sciolte in attesa di vento; o greggi calati dall’Apennino per abbeverarsi, e rimasti sul greppo spauriti dalle troppe acque. Non erano tutti lieti quei borghi; e passandovi, (alla vista che fanno le casette nane dei pescatori, e certi fortini mezzi diroccati) il viaggiatore dà anche adesso un’occhiata a questi, un’altra al mare; donde si direbbe che stiano per scendere dalle loro barche, stuoli di Barbareschi, a far scempio della povera gente. Ma quelli avevano a essere senza fallo i luoghi piaciuti alla signora Maddalena, l’unica volta che era uscita dalla terra di D... per così lontano paese; quelli i luoghi di cui essa aveva parlato, pregando Giuliano di trovarvi una casetta, di quelle, che tanto la erano rimaste nella memoria. Egli si mise all’opera sin da quel giorno, sperando di dar del capo in una delle palazzine, sulla quale si fosse posato il desiderio antico di sua madre; e quasi giunge a credere che non avrebbe sbagliato, e che essa venendovi ad abitare, l’avrebbe a prima giunta riconosciuta. [p. 316 modifica]

Girò quel giorno e quattro ed otto appresso, dando due passi innanzi ed uno indietro; e fece quella vita sinchè si fu innoltrato quasi a Finale, senza aver concluso nulla, nè stretta dimestichezza con alcuno; essendo gli abitanti di quelle marine gente così allevata alle proprie faccende, da parere coi forastieri la più disamorata che fosse al mondo. Delle case ne aveva visitate parecchie e bellissime, ma ora per una causa ora per un’altra, non gli erano parse da poter accontentare la madre; e soltanto al decimo giorno, gira e torna, ne trovò una, che stimò facesse benissimo al caso suo. Era una casetta pitturata a liste scure e gialle, nascosta in una macchia d’olivi, in fondo ad un valloncello deserto, a bacio; alla quale si giungeva per una viuzza torta, fuori mano, chiusa tra due macìe mezze diroccate; e si vedeva chiaro, all’erba ond’era ingombra questa e ingombro il piazzale dinanzi alla casetta, non visitata che assai di rado. L’aveva murata un fantasioso, mortovi dentro per passione paturniosa molti anni prima; nè di là in poi era più venuto in capo ad alcuno di tornarvi a stare. E in verità pareva più da rinchiudervi uno cui si volesse far morire di malinconia; che luogo da menarvi una donna bisognosa di svaghi e di allegrezze; ma al figlio della signora Maddalena, le cose seguitegli i giorni addietro, avevano formato un umore sì tetro; che egli trovò tutto di suo genio. E gli tardò d’avere seco la madre, cui già udiva fare le grandi lodi della casa, del sito, e del mare, del quale non si vedeva che un lembo traverso una gola angusta; un lembo come di cosa vietata.

S’affrettò allora a chiedere del padrone di quel podere; e trovatolo nel vicino borgo di N... s’accomodarono per il fitto. Due giorni appresso la palazzina era arredata, Giuliano vi dormiva dentro la prima notte, contento della profonda solitudine che vi si godeva: e il mattino alzatosi per tempo, scritta una lettera, uscì per trovare uno che la portasse a sua madre. Non ebbe [p. 317 modifica]bisogno di scostarsi molto dal suo romitaggio, che trovò un ortolano o vignaiolo che fosse; uno di quei liguri robusti che da una certa età in su non ricevono più niuna impronta degli anni; lavorano gai ed arzilli tutta la vita; e il giorno in cui muoiono fanno stupire tutta la parrocchia, a udire quanto hanno vissuto. Lo guardò un istante piantar la vanga, gli piacque all’atto pronto e alla niuna cura, che si prese di lui; di che avvicinandosi gli disse:

«Quell’uomo, sapreste dirmi dove potrei trovare uno da mandarlo alcune ore lontano? Gli darei una bella moneta.

«Per una bella moneta son qua io? — rispose il vignaiolo rimanendo con un piè sul vangile.

«Sta bene! — disse Giuliano... E la via di D... di là del giogo, in Val di Bormida, la sapete?

«Chi lingua ha, a Roma va...

«Eccovi un colonnato per beveraggio. Ma avete a partire subito, e giunto a D... chiedere della signora Maddalena, che tutti vi insegneranno dove sta di casa. Le darete questa lettera; e tornando mi cercherete a quella palazzina qui oltre...»

L’ortolano prese la moneta e la lettera, chiese licenza di andare sino al suo tugurio, discosto di là un trar di pietra: e Giuliano lasciatolo con molte altre raccomandazioni, tornò alla palazzina. Indi a poco, di sulla porta, vide il suo messo con in capo la berretta rossa, colle scarpe legate alla coreggia delle brache in sulle reni, e colla giacchetta in sulle spalle, inerpicarsi a piedi ignudi per gli scorciatoi, dilungarsi e sparire: ma non vide la donna di costui appena ch’ei fu partito, andare al borgo a vuotare il gozzo. E sin da quel giorno le femminette di N... cominciarono a mandare attorno le novelle sul conto del giovano forastiero, che avea tolto a pigione la casa del malaugurio; e chi lo diceva un uomo fastidito del mondo; chi un peccatore confinato là a far penitenza; chi un soggetto da badarsene come dalla peste. Egli [p. 318 modifica]intanto, volendo ingannare il tempo finchè il messo tornasse, disegnò di fare una gita di là dal Finale a vedervi i Francesi: i quali stavano a campo da quelle parti, e su pei monti avevano le guardie fino alla vetta del Settepani.

Camminò parecchie ore sulla riva del mare, e s’abbattè alfine, quasi stanco, in un posto di cavalieri, male in arnese, d’aspetto squallido e misero, ma di sembiante magnanimo, come a vincitori si conveniva. Tali li descrive il Botta, perchè pativano di grandi penurie: ma i loro portamenti avevano quasi cancellate le brutte memorie, lasciate due anni prima per l’eccidio d’Oneglia; di che i popoli di quelle marine, cominciavano a mostrarsi con essi meno selvatichi, sebbene li reputassero sempre nemici. Piacque a Giuliano la vista di quei soldati sciolti, operosi, niente burberi; dissimili tanto dagli Alemanni, che camminavano come gente curva sotto un gran peso. E negli anni che era stato a Torino, avendo imparato un po’ della lingua Francese, appiccò discorso con un giovane uffiziale, che badava ad un drappello di lancieri intenti a governare i cavalli; mentre alcuni fanti cuocevano il mangiare, o ruzzavano coi monelli della terra vicina; ai quali insegnavano giuochi e forze e tratti d’armi, con un’amorevolezza quasi infantile. Quell’uffiziale aveva veduto la presa della Bastiglia, il turbine popolare rovesciatosi sulla reggia, re Luigi prigioniero e poscia morto; e tra l’uno e l’altro di questi fatti aveva combattuto sul Reno, in Vandea, sull’Alpi; adesso innamorato del cielo d’Italia, pareva lietissimo di poter barattare qualche parola con un giovane italiano, che parlava la lingua della rivoluzione.

Giuliano tornò da quella gita collo scompiglio nel cuore. Oh! quelle assise, quelle lance conficcate nelle arene, quelle lunghe spade! Averne a fianco una, e una lancia nel pugno, e un cavallo tra le ginocchia; e in ischiera con quei valorosi, accozzarsi quando che fosse coi soldati Alemanni, di là dei monti, forse nei proprii [p. 319 modifica]campi! E tra i nemici intoppare forse colui... no! questo pensiero non gli si formava intero nella mente, e si mutava nell’immagine di Bianca che guizzando come lampo che illumina e passa, gli lasciava negli occhi scolpito, vivo, il viso di Tecla! L’indomani tornò al campo, rivide l’uffiziale Francese, che pareva essere stato là ad aspettarlo per fargli accoglienza, e con esso conobbe parecchi altri di quella nazione. Gagliardi erano, d’onesta baldanza, e di maniere pronte e così cortesi, che a parlare con essi uno si credeva cresciuto di qualche spanna. Ed egli, di primo acchito, piacque tanto alla compagnia, che lo vollero trattenere tutto il giorno: nè lo lasciarono senza la promessa che sarebbe tornato, nè senza averlo menato su d’un poggio, donde gli additarono i campi di loro gente, distesi lontano per quella fuga di grotte, di greppi, di promontori; i primi scuri, gli altri azzurri, gli ultimi vaporosi, nelle lontananze che formavano col mare una bellissima scena. Egli poi, come potè, tornò col visibilio del giorno innanzi, cresciutoli in capo di tre doppi: e giunse alla sua casetta che era vicina la notte. Si sentiva rimordere d’essersi tanto indugiato, mentre là vi era forse il messo colla risposta di sua madre ad aspettarlo; ed in fatti il brav’uomo, rivenuto da D... parecchie ore prima, giaceva sull’erba del piazzale, non sapendo neanch’egli che si pensare.

Appena costui ebbe visto il signorino, spuntare da una svolta della via; si levò in piedi e si frugò sotto i panni sclamando:

«Per questa volta è fatta; ma laggiù non tornerei per tutto l’olio che butteranno questi oliveti! O che dalle sue parti, a un povero diavolo che va per la sua via, perchè porta una berretta rossa in capo gli danno dietro coi sassi gridando, al genovese? E non siamo tutti cristiani?...»

Mentre l’omicciattolo diceva, Giuliano affrettato il passo arrivava, e pigliando il foglio dalle mani di lui, senza badare a quei discorsi chiedeva: [p. 320 modifica]

«Dunque che mi manda a dire?

«Ecco, — rispondeva l’ortolano, componendosi come uno che deve badare a non essere colto bugiardo: — sua madre dice che non potrà venire in qua prima di quest’altra settimana, perchè vuole lasciare le cose di laggiù avviate in modo, da poter poi star qui quanto le piacerà, senza pensieri della casa nè della campagna. Essa prega vostra signoria a starsi tranquilla, e a non farsi venire in mente d’andare là, perchè... perchè..., il perchè non me lo disse, ma ne deve parlare codesta lettera, che mi ha molto raccomandata, coi saluti d’una vecchia e d’una giovinetta che aveva seco....»

Giuliano aveva fissato il messo tra ciglio e ciglio, tutto il tempo che costui aveva parlato; e allora aperse con gran furia la lettera, sperando di trovarvi chi sa che cosa. Ma non vi erano scritti che pochi versi. I caratteri erano della signora Maddalena, ed apparivano rotti, intricati, sto per dire arruffati, come di mano che avesse scritto tremando e a disagio. Dicevano come la casa fosse stata cercata dagli Alemanni per ogni verso, proprio la notte della partenza di lui, e come molte pattuglie erano state mosse a cercarlo per la campagna: che non tornasse, non tornasse per l’amor di Dio, se non voleva vedere sua madre morir di dolore.

Finito di leggere Giuliano tornò guardare in viso il messo, e colla voce tronca dal batticuore: «ditemi il vero — sclamò: — ditemelo, se no mal per voi...; mia madre è ammalata..., l’avete veduta?

«Malata no, che io non tocchi altra carne battezzata in mia vita!» E così rispondendo il pover’uomo metteva peritoso la mano sul braccio del giovane, e trangugiava qualcosa, come avesse avuto in gola il nodo d’una bugia.

«Dio voglia... ma voi non rispondete franco! — soggiunse Giuliano annuvolato molto.

«Gli è che lei mi... pare un giovane fiero... e poi non ho più mangiato da D...

«Vedremo!» sussurrò il giovane, e porse due [p. 321 modifica]colonnati al messo, che se li lasciò porre in mano, senza mostrare d’essere contento, come anch’oggi usa dalle sue parti, dove i manciaioli non sono mai paghi, nè ringraziano mai di nulla. Tuttavia profferì i suoi servigi per ogni caso, e accommiatatosi se n’andò accarezzando fra il pollice e l’indice le belle monete che aveva in tasca.

Rimasto solo, Giuliano rilesse due o tre volte la lettera di sua madre; e sebbene gli si destasse in mente una guerra di dubbi fortissima, a poco a poco si quetò nella promessa, che di là ad una settimana sarebbe venuta. Così gli aveva detto il messo, ed egli quasi per sincerarsi della verità, volò col pensiero a sedersi vicino a lei. Se la immaginò in tutte le guise, sana, inferma, malinconica, lieta; parlò con essa e con Marta di mille cose, e la presenza di quella giovinetta che l’ortolano aveva menzionata, e che di certo era Tecla, finì di metterlo in pace. Perchè gli parve che se qualcosa di guasto fosse stato laggiù, Tecla non era cuore da tenerglielo celato; e gliene avrebbe mandato a dire per via dell’ortolano stesso, o spacciando il proprio padre. Con questi pensieri gli veniva soave nella fantasia la vista di sè stesso e della famiglia in tempo non lontano; in cui quella fanciulla teneva luogo di sposa a lui e di figlia alla signora Maddalena: una visione su per giù come quella avuta a D... il dì che sua madre era andata a chiedere per lui la mano di Bianca. Vedeva Marta affaccendata correre di qua e di là per la casa, col viso lieto mostrato in quel giorno, poichè egli le aveva detto che stava per isposarsi: e sua madre gli pareva contentissima di Tecla, tirata su da lui, e già colta e gentile come donna allevata nel miglior casato, che si potesse pensare. Soffermatosi a lungo in queste immaginazioni sorrideva come chi accarezza un disegno; e tornava a pensare alla degna opera che sarebbe stata quella di menare per donna una contadina; alla dolcezza di istruirla, di educarla, di vederla crescere come fiore selvatico trapiantato in un orto a prosperare; si compiaceva a [p. 322 modifica]figurarsi le dicerie del volgo, le maraviglie dei suoi pari, e fin la stizza di don Apollinare; al quale un matrimonio di quella fatta, sarebbe parso di certo una nuova scelleratezza, foggiata su qualche modello venuto di Francia.

Durò questa sorta di visione tutto il tempo che egli stette a coricarsi, e fu lunga ed anco lieta; se nonchè ogni tratto, senza volerlo, rompeva in un sospiro, e gli usciva sclamato: «povera madre mia!» come se vi fosse stato qualcosa in lui, che dalle illusioni non potesse essere sviato. E non è a dire se egli penò a pigliare il sonno; e se il dimani fosse uscito a farsi vedere nel borgo, anco i bimbi avrebbero indovinato che egli non era felice. Ma alzatosi tardi, non mosse se non per andare sino al tugurio dell’ortolano, cui mandò pel cibo; poi rimase chiuso in casa, colle proprie malinconie, ad aspettare che quella settimana benedetta volesse passare.

Pel borgo poi tornarono a correre le dicerie, sui fatti del giovane abitatore della villetta maluriosa: e si disse che egli era d’un ricco casato di là dal giogo, medico novizio, e che la sua signora madre, donna di gran conto, non istava bene della salute. Ma di questa voce, Giuliano non seppe nulla; come non aveva saputo delle chiacchiere già mosse attorno sull’essere suo.

Quando fu finita la settimana, tanto gli si allargò il cuore, che gli parve d’essere uscito di sepoltura. Tutte le cime dei monti, sovrastanti alla villetta, egli le salì per iscoprire le vie, se qualche comitiva si vedesse venire; almanaccò, girò, sperò fino a sera; vegliò tutta la notte; corse ad ogni rumore, che sorgesse di fuori o nella sua fantasia; ma non fu nulla. Allora egli buttò da parte l’obbedienza dovuta ai voleri della madre, e pensò di porsi in cammino per lungo giro di montagne; facendo conto di poter capitare a casa di notte, a vedere quell’indugio che fosse. Era in sul partire, quando per un procaccio di quelle parti, gli venne un’altra lettera, spedita da parecchi giorni, e passata per molte mani, come appariva al modo in cui era gualcita. Scritta in [p. 323 modifica]nome della signora Maddalena da persona poco esperta, non recava di lei altri segni che il nome a piè della scrittura, nella quale lo si confortava di nuovo a stare di buon animo, nè a darsi pensiero di quello che avveniva a casa sua. Perchè, diceva la signora, non le pareva di potersi muovere, se la caldura della stagione non avesse dato giù un poco; onde il viaggio non avesse a tornare molesto a Marta, caduta di quei giorni ammalata, però non da impensierirne. Quanto a sè, aggiungeva di star bene, e che si svagava ogni giorno, continuando a insegnare a Tecla un po’ di leggere e scrivere, con quel frutto che egli avrebbe visto dalla lettera, vergata dalla fanciulla. Aspettasse in pace, e sovratutto badasse a non porsi allo sbaraglio di tornare, che, guai a tutti; aspettasse, ed essa e Marta sarebbero giunte, facendosi precedere da Rocco e da un po’ di roba: non dubitasse, cercasse svagarsi, insomma stesse dov’era.

«Pazienza! — sclamò Giuliano, fermandosi coll’occhio a lungo su quella scrittura: — aspetterò... aspetterò sin che sarò stanco!» Ma allora la sua tristezza si accrebbe; solitudine, noie, disegni fatti e disfatti lì per lì; furono la sua vita; e quella esclamazione: «povera madre mia!» gli uscì più frequente a qualunque cosa ei pensasse. Procacciatisi alcuni libri leggeva, meditava, scriveva, per sollievo dell’animo: e spesso era veduto dai terrazzani, intenti ai vigneti ed agli orti, arrocciarsi pei greppi men destri; discendere al mare, tuffarsi, durar sommerso tanto, che taluno stimando che petto d’uomo non potesse quello sforzo, accorreva per aiutarlo; ma egli tornava a galla un istante, poi si rituffava; quasi in tale sorta di gioco studiasse di qual cosa fosse fatta la morte, di spasimo o di piacere. Per questi suoi portamenti, già quei della terra lo chiamavano pazzo, pur avendolo in grande rispetto, perchè lo sapevano medico; e poteva loro accadere di aver bisogno dell’opera di quel signor magnifico; come di quelle parti usano anche adesso salutare i medici dei loro villaggi. [p. 324 modifica]

L’ortolano, che a poco a poco era entrato con lui in qualche dimestichezza, e lo serviva di quel che gli bisognava dal borgo; un giorno che Giuliano aveva la noia sino alla gola, gli recò la novità di certe voci che correvano, secondo le quali, a Torino, molti giovani carcerati poco tempo innanzi, erano stati messi a morte per mano del carnefice. Il pover’uomo aveva inteso la cosa nella spezieria del borgo, dove il parroco e i signori ne avevano parlato con diverso giudizio; ma egli che a quello del parroco si accostava più volentieri, diceva che quei giovani, essendo stati appiccati alle forche, dovevano aver vissuto da cattivi soggetti. Giuliano a quella novella si sentì schiantare il cuore. Coloro cui quella trista sorte era toccata, egli sapeva chi erano; e dal raccapriccio non gli stava il cappello in capo. Non istette a correggere l’opinione dell’omicciattolo, che tanto sarebbe valso come dire al muro; ma quel giorno decise di tornare al campo Francese, dove qualcosa avrebbe potuto sapere di più certo. E siccome la venuta di sua madre non gli pareva che dovesse accadere sì presto; chiuse la villetta, diede le chiavi all’ortolano, rimase d’accordo, che se qualcuno fosse capitato a cercarlo, egli corresse subito al campo dei Francesi, che in qualche modo l’avrebbe trovato; poi per la via più corta s’incamminò verso Loano.

Era il settembre già molto innanzi, e di Francia giungevano ai campi della Liguria nuove armi, e nuovi armati. Di su di giù per quei borghi, era un moto confuso, un andare e tornare di messi, un ridestarsi come di gente che riposatasi un tratto, stesse per mettersi ad altre imprese. E i soldati della Repubblica cominciando a fiutare imminenti battaglie; cantavano a cori quella Marsigliese maravigliosa, che nelle guerre d’allora, dovè toccare profondamente i cuori, tanto di chi voleva la libertà, quanto di chi la contrastava con egual furia. Giuliano non aveva udito mai nulla di più alto; e in quei canti, gli pareva suonassero insieme le note dell’organo [p. 325 modifica]che l’avevano fatto piangere bambino; la voce di don Marco quando traduceva alla scolaresca il cœli enarrant, cogli occhi levati e gonfi di lagrime e di desìo; il grido di tutte la generazioni passate nella sventura, udito da lui nello studio della storia; e la bufera, e il sereno, e l’odio, e l’amore, tutto vi trovava ascoltando da lungi: mentre il mare col suo flottare a tratti, parea rispondere a ciascuna pausa dell’inno una voce, voce dell’infinito che dicesse: «è vero!» Allora provava una smania di correre, e il primo generale Francese che gli venisse fatto d’incontrare, pregarlo d’un’arme, d’un’assisa, d’un posto in quelle schiere: senonchè l’immagine della madre gli si mostrava in quei furori generosi; mesta, timorosa, cogli occhi bassi, come un’amante offesa, e gli sussurrava dolcemente: «tu in battaglia potresti sfogarti e morire; ma io a saperti armato per queste nostre contrade come un nemico, io che farei?» Subito egli sentiva dar giù l’animo, e sclamava: «ahimè! fummo pur allevati dappoco; ed ecco perchè un prete come don Apollinare, ha potuto mettermi in fuga, soltanto coll’aggrottare le ciglia!» Non aveva mai osato dire cose di questa sorta, che potevano anche toccare la madre sua; e forse si sarebbe pentito di averle dette, ma non ebbe il tempo da farlo, perchè appunto allora arrivava in mezzo ai Francesi. Chiesto degli uffiziali che l’avevano trattenuto l’altre volte, fu menato a trovarli: e le belle accoglienze furono molte, ma le maraviglie perchè egli non s’era fatto vivo da tanto tempo, furono anche più. Egli si scusò come potè meglio; e quegli uffiziali, che come i soldati usano verso chi va loro a genio, gli si erano legati di sentimento, lo vollero a mensa con loro, sebbene ei si schermisse. Nei parlari amichevoli di quella brigata, venne a conoscere la verità sul fatto dei giovani messi a morte in Torino; e le gazzette che capitavano di Francia a quei campi, n’erano piene. Giuliano lesse i nomi degli sventurati, e alcuni erano di amici, altri d’uomini noti per odio ai governi d’allora, per amore alle cose nuove. [p. 326 modifica]Il suo cuore pianse; arrossì d’essere scampato alla loro sorte; ripensò con rammarico al beneficio che la marchesa di G... aveva voluto fargli, traendolo con pietoso inganno a partir da Torino; e più di tutto si sentì umiliato all’idea che forse quei generosi morti, avevano dubitato di lui, della sua fede, o del suo coraggio, nel momento in cui la corda del carnefice gli aveva strozzati. Da quel punto si fece in lui un gran mutamento; disse ai Francesi che se il loro generale l’avesse concesso, esso si sarebbe scritto soldato con loro; e che pregava qualcuno a volergli procacciare quella licenza. Non uno, ma due, ma sei di quei giovani, si profferirono pronti a scriverlo: con certezza repubblicana, promettendo che l’indimani il generale l’avrebbe accolto.

E l’indomani fece presto a venire, perchè mutatasi la cena in festino per onorare l’ospite, la notte se ne andò, che non parve manco fosse venuta. Ma non se n’era andato con essa il proposito di Giuliano, il quale al primo che s’intoppò tra quegli uffiziali che glielo avevano promesso, chiese d’essere condotto dal generale. Era questi il vecchio Dumorbion, che aveva il quartiere in un convento di frati, rimasto vuoto sin dal primo apparire dei Francesi, la primavera innanzi. All’ora in cui Giuliano arrivava da lui, n’uscivano tutti i colonnelli e i generali dell’esercito repubblicano. L’uffiziale che l’accompagnava lo trattenne sul piazzale della chiesa a vederli passare, e glie ne diceva, così di volo, i nomi e le gesta. Quello era il Laharpe, svizzero di nazione, giovanissimo come si vedeva all’aspetto, prode, sapiente e giusto; quell’altro Massena, a udir l’uffiziale, venuto su da piffero in un reggimento, a quell’altezza di onori e di fama. Cervoni ed Arena gli tenevano dietro parlando tra loro; quei due che ai panni si conoscevano per gente non di spada, erano Albit e Salicetti rappresentanti del popolo; e via via. Ne nominò molti, dolente di non potergli additare quello che era il più illustre di tutti. «Ma lo troveremo forse dal generale»: disse l’uffiziale, e [p. 327 modifica]pigliato Giuliano a bracetto lo mise dentro al convento. Questi si lasciava fare come un fanciullo; perchè a vedere quei personaggi gli pareva di non aver mai vissuto. Essi non avevano aspettato d’avere le rughe sul viso per essere uomini; e già, poco meno giovani di lui, empievano l’Europa dei loro nomi!

Entrati dal generale Dumorbion, lo trovarono che stava ritto dinanzi ad un ampio tavolo, sul quale un colonnello d’artiglieria, gli segnava col dito teso certe sue diavolerie, scritte su d’una carta geografica o itineraria che fosse. Era costui quel personaggio, che l’uffiziale aveva sperato di vedere là dentro: giovane, a giudicarlo, di forse ventiquattro anni, magro, malazzato, che non pareva vivere che cogli occhi, ma di volto bellissimo e maestoso. Egli non levò gli occhi dalla carta, e parve attendere ad un tempo a questa, ai due sopravenuti e a Dumorbion; il quale cominciando senza cerimonia, chiese all’uffiziale chi fosse il giovinotto che aveva seco.

«Generale — rispose Giuliano in lingua francese, senza dar tempo al compagno di parlare per lui: — io sono il tale dei tali, medico di D.... in Val di Bormida, e vengo....

«Val di Bormida? — interruppe Dumorbion, che appunto allora aveva levati gli occhi di sulla carta, su cui era segnata quella vallata: — e che cosa si fa laggiù?

«Laggiù? — rispose Giuliano — il popolo soffre, i ricchi godono, gli Alemanni spadroneggiano....

«O perchè non gli avete scacciati a quest’ora? — sclamò il generale: — vedete la Francia? L’anno passato ebbe addosso gli eserciti di mezzo il mondo, che venivano da tutte le parti come lupi affamati! Ed ora dove sono? Ingrassano i nostri campi, o sono tornati alle loro case, a dire che in Francia non ci si entra per Dio, o vi si lasciano l’ossa!

«Generale, da noi non si hanno armi; e quand’anche se ne avesse, i preti che possono tanto sul nostro popolo, non lo menerebbero di certo a combattere contro gli Alemanni! [p. 328 modifica]

«Lo so! Lo menerebbero piuttosto contro i Francesi, a dar di volta solo a vederli ballare la carmagnola, come hanno fatto in maggio costassù, dalle parti di Garessio.

«Spero generale, che per questo voi non vorrete avere i miei compaesani in conto di vili! — disse Giuliano con calma mirabile e con gran sicurezza: — e voi sapendo la storia, m’insegnate che essi sono i discendenti di quei Liguri, che i Romani vincitori da pertutto, non hanno mai potuto domare per bene!

«Lo sappiamo! — entrò a dire il colonnello, parlando la lingua italiana, con accento italiano, e levando allora soltanto il capo dalla carta, su cui era venuto studiando tutt’occhi con Dumorbion: — ma se invece di declamare le pagine vecchie della vostra storia, voi italiani badaste a farne scrivere di nuove e gloriose, meglio per voi, per noi, per tutti!.... — E qui mutando il linguaggio in francese, e voltandosi al vecchio Dumorbion, proseguiva: — Cittadino generale, questo giovane viene a parlarvi in nome de’ suoi compatrioti....?

«No — rispose Giuliano, non aspettando d’essere interrogato, e parendogli d’aver trovato a dar di cozzo in un uomo a modo suo: — io vengo da per me, a chiedere uno schioppo....!

«La repubblica francese — disse il generale — porta ai popoli libertà e pace, e ve lo darà.

«Ma se ho bene inteso, — tornava a dire il colonnello — questo giovane è medico: cittadino generale, non lo potremmo adoperare più utilmente colla sua professione?»

E Dumorbion a Giuliano, facendo suo questo pensiero: «benissimo! Giovinotto un posto di chirurgo vi garberebbe?

«In quanto a me, — rispose Giuliano — quello in cui vi sembrerò più utile, ed io lo farò.

«Sta bene! Voi sarete scritto tra i nostri chirurghi, e darò ordine che vi si provegga di un foglio di libero passo, in mezzo a noi. Cittadino capitano, fategli gli onori [p. 329 modifica]del nostro campo; domani potrà girare da sè. Andate pure.»

Così Dumorbion all’uffiziale che aveva accompagnato Giuliano. Il quale non era peranco uscito del tutto da quella stanza, che fattosi ai panni del compagno, disse colla voce tronca dall’ansia: «E chi è colui che mi ha parlato così bene la mia lingua?

«Quello — rispose l’uffiziale — è il Côrso che ha fatto cadere Tolone. Qui dove Dumorbion comanda su tutti, egli, non pare, ma comanda su Dumorbion.

«E come si chiama?

«Si chiama Bonaparte....

«Bonaparte! — mormorò Giuliano; — mi piace anche il nome.»

E da quel giorno non si tolse più da quei luoghi. Oggi dall’uno, domani dall’altro, in poco tempo fu conosciuto ed amato da tutti gli uomini di spada e di lancetta di qualche conto: e lieto come allora non si sentiva d’esserlo stato mai. Gli pareva d’aver vissuto sino a quel punto da ottuagenario, e di essersi rinvigorito ad un tratto: e tirava innanzi, tastando il polso ai repubblicani ammalati, e passando mattana coi sani; finchè si cominciò ad avvertire quel moto d’uomini e di cose, quello sfogo di struggere, quella smania di nulla lasciare addietro, che precede le mosse d’un esercito, vicino a volersene andare. Allora gli entrò un’angoscia nuova, quella di vedere forse sua madre capitare a mezza via, nell’accozzarsi dei Francesi cogli Alemanni; dove mai la sventura che pareva essersi allogata in casa sua, l’avesse fatta movere appunto in quei momenti. La coscienza sorse ad accusarlo, l’amore a spingerlo, l’onore a rattenerlo; ed egli non sapeva più dove dar del capo, per avere un consiglio in quelle sue tribolazioni.

Un di quei giorni, andando solo a gironi per gli accampamenti, da una voce non nuova, ma che pareva d’uomo, non certo d’azzeccarla, udì chiamare: «Signor Giuliano!» Egli si volse, e si vide guardato da un [p. 330 modifica]acquavitaio, che là vicino, colle maniche rimboccate fin sopra il gomito, cinto i fianchi di un grembiale di tela azzurrognola, mesceva a destra e a manca la sua zozza ai soldati, che gli affollavano il negozio.

«Mattia! — sclamò Giuliano rallegrandosi come avesse veduto uno del proprio sangue: e facendosi oltre verso il banco dell’acquavitaio, il quale si ripuliva le mani nel lembo del grembiale, per stringere la destra che gli veniva sporta, soggiunse: «Come qui?

«Eh! — rispondeva l’altro — il mondo gira a tondo, e di qua e di là, una volta ci si ritrova! — E preso la mano del giovane con quella sua, nocchiosa come una mazza da portare in battaglia, rinnovò con lui le accoglienze due o tre volte.

I monti stanno, gli uomini vanno; e costui era proprio Mattia, grasso, fresco che a petto di quello d’alcuni mesi addietro, pareva un sole di maggio. Egli in quella notte terribile, della primavera antecedente, aveva dato del ceffo nella fossa, e in mano degli Alemanni e in mano dei Francesi; ma questi ultimi, o fosse compassione, o l’avessero stimato tutt’altro che spia; passati i primi furori se l’erano tenuto caro, forse per giovarsi quando che fosse della pratica che egli aveva di là dai gioghi, nelle loro imprese future. Pur non perdendolo d’occhio mai, l’avevano lasciato sciolto pei campi; ed egli da uomo che sapeva navigare a tutti i venti, aveva fiutato quello della buona fortuna. E trovato che soffiava dalla parte dei Francesi, non si sarebbe più allontanato da loro, manco a esserne cacciato a nerbate. «Servi e non badare a chi», aveva detto fra sè: e con quel po’ di doppie scroccate al suo paesano, nella notte che per poco non gli era costata la vita; accozzato quel suo negozietto, all’ora in cui Giuliano s’intoppò in lui, era con un avviamento da farsi ricco. Egli non diede tempo al giovane d’insospettire, ma gli narrò alla lesta i casi che l’avevano condotto a quella vita, e gli mostrò un gruzzolo di luigi d’oro guadagnati con sudore e giustamente. Parlò d’un suo disegno [p. 331 modifica]di comperarsi con quelli un poderetto, non volendo più battersi il petto a quel mestiere di campanaro e di seppellitore: e qui per non so quali accoppiamenti d’idee, rammentandosi del pievano, chiese sorridendo:

«E don Apollinare, che cosa dice di me?

«Non so — rispose Giuliano — io a D.... vi passai alla sfuggita; e poi tra me e lui, lo sapete, non si era troppo d’accordo.

«Se lo so! Ma io, vede, il torto l’ho sempre dato a lui. Sicuro che non l’andava a dire in piazza: ma so che cosa vale il pievano, e quanto pesano quei di D...... uno per uno..... Oh! se i tempi si mutano! Se questi signori Francesi san fare davvero quello che dicono! Allora sì che ci torno laggiù, e vedranno Mattia.....

«Appunto, vorreste farmi un servizio?

«Tengo la vita per lei, io.....

«Ebbene, voi dovete andare infino a D.... senza aspettare nè Francesi nè altro....

«E il negozio qui, chi me lo tira innanzi?

«In due giorni potete andare e tornare....

«Gesummaria, tornare! Allora sì che me le pianterebbero sei palle in petto!

«Oppure potete rimanere là. L’importante si è che andiate da mia madre a dirle, che quella sua idea di venire a stare da queste parti la smetta, perchè la guerra rincomincia, e potrebbe trovarvisi in mezzo. Pensi a stare di buon animo e tranquilla sul conto mio; ditele che tornerò in tempi migliori e vicini; ma badate a non dirle che io sono qui al campo dei Francesi.

«Ma, e se io do un calcio alla baracca, e parto fin da questa sera?

«Il denaro paga, e il poderetto a D.... lo troveremo vicino ai miei.

«Lasci fare a me.... se domani non mi vedrà più qui a vendere acquavite, s’immagini che io sono a D....

«E dite ancora a mia madre che le raccomando Tecla....

«Tecla.... ah....! sta bene. [p. 332 modifica]

«E che se le occorre qualcosa, spacci Rocco. A questo poi in ogni caso insegnerete come avrà a trovarmi...... Siamo d’accordo?

«D’accordissimo...! stanotte parto; ma per carità.... zitto!...

«Buon’andata, Mattia, e non dubitate.

«E lei si tenga riguardato dalle disgrazie, e a rivederlo a D.....»

Con questo si lasciarono; Giuliano per andarsene in riva al mare, col cuore alleggerito e tranquillo come la faccia delle acque che si stendevano azzurre al sorriso del firmamento: Mattia per tornare al banco, che non aveva mai perso d’occhio. Là affaccendandosi a servire la folla dei soldati, pensava quanta ragione aveva don Apollinare, il quale da tanti anni dava di Giacobino al figliuolo della signora Maddalena; e faceva i suoi conti sul modo di sgabellarsi della sua merce, senza dar nell’occhio, e su quello di partire, non visto, da quei luoghi per servire Giuliano. Del quale aveva capito il latino, quando aveva detto che il podere l’avrebbero trovato a D..... vicino a’ suoi. Intanto veniva la notte chetamente, come suole in sul cader della state; la notte che sola poteva aiutarlo a compiere destramente i fatti disegni.