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rarsi le dicerie del volgo, le maraviglie dei suoi pari, e fin la stizza di don Apollinare; al quale un matrimonio di quella fatta, sarebbe parso di certo una nuova scelleratezza, foggiata su qualche modello venuto di Francia.
Durò questa sorta di visione tutto il tempo che egli stette a coricarsi, e fu lunga ed anco lieta; se nonchè ogni tratto, senza volerlo, rompeva in un sospiro, e gli usciva sclamato: «povera madre mia!» come se vi fosse stato qualcosa in lui, che dalle illusioni non potesse essere sviato. E non è a dire se egli penò a pigliare il sonno; e se il dimani fosse uscito a farsi vedere nel borgo, anco i bimbi avrebbero indovinato che egli non era felice. Ma alzatosi tardi, non mosse se non per andare sino al tugurio dell’ortolano, cui mandò pel cibo; poi rimase chiuso in casa, colle proprie malinconie, ad aspettare che quella settimana benedetta volesse passare.
Pel borgo poi tornarono a correre le dicerie, sui fatti del giovane abitatore della villetta maluriosa: e si disse che egli era d’un ricco casato di là dal giogo, medico novizio, e che la sua signora madre, donna di gran conto, non istava bene della salute. Ma di questa voce, Giuliano non seppe nulla; come non aveva saputo delle chiacchiere già mosse attorno sull’essere suo.
Quando fu finita la settimana, tanto gli si allargò il cuore, che gli parve d’essere uscito di sepoltura. Tutte le cime dei monti, sovrastanti alla villetta, egli le salì per iscoprire le vie, se qualche comitiva si vedesse venire; almanaccò, girò, sperò fino a sera; vegliò tutta la notte; corse ad ogni rumore, che sorgesse di fuori o nella sua fantasia; ma non fu nulla. Allora egli buttò da parte l’obbedienza dovuta ai voleri della madre, e pensò di porsi in cammino per lungo giro di montagne; facendo conto di poter capitare a casa di notte, a vedere quell’indugio che fosse. Era in sul partire, quando per un procaccio di quelle parti, gli venne un’altra lettera, spedita da parecchi giorni, e passata per molte mani, come appariva al modo in cui era gualcita. Scritta in