Le rive della Bormida nel 1794/Capitolo IV

Capitolo IV

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CAPITOLO IV.



Mentre che la signora Maddalena partiva da C..., tutt’altra d’animo da quella che v’era venuta, le cose tra Giuliano e don Apollinare si facevano a D... molto oscure. Questi, certo della diligenza di Marta a mandare da lui il giovane, l’aveva atteso invano parecchie ore; dopo la colazione lo aspettava ancora; e per fare un viaggio e due servizi, rannicchiato nel suo seggiolone, diceva l’uffizio. Era già innanzi un bel tratto a recitar salmi, e di tanto in tanto, mentre rovesciando il breviario sul ginocchio, fiutava un po’ di tabacco, pensava che se quel renitente fosse capitato, sarebbe stato un bel gusto tenerlo ritto lì fuori dello studiolo, e non farlo entrare almeno per una mezz’ora. «Caspita! — esclamava — questo gusto non se l’ha pigliato Gregorio settimo coll’imperatore Arrigo?» Rammentava d’aver letto quella storia, e d’averne udito predicare, nei verdi anni del Seminario, come della più bella pagina della chiesa: e alla maniera che una lucciola può guardare una fornace ardente, e credere di somigliarle; egli si compiaceva alcuni istanti nella immagine del fiero papa. Poi ripigliava la lettura dei salmi, biasciando a verso a verso; e all’ultimo amen si levò in piedi stizzito, e proruppe: «Adesso vado io!»

Si mise in capo il cappello con piglio risoluto, e [p. 65 modifica]nell’andare passò pel salotto, ove stava seduto a dire anch’egli le ore, un Minor Osservante del convento di C..., il quale, fatto il quaresimale in D..., aspettava la domenica in Albis, per dare la benedizione papale, e tornarsene poi al proprio convento.

«Dove va, signor pievano? — chiese costui, vedendo don Apollinare pigliar l’uscio difilato.

«Posso dire in partibus infidelium! — rispose il pievano.»

Il frate scoppiò in una risata così piena, che s’appiccò fino a Placidia occupata in cucina; Placidia che non rideva di voglia manco tre volte l’anno.

Passin passino don Apollinare discese di castello; e sebbene quanti s’imbattevano in lui, s’affrettassero come l’altre volte, a sberrettarsi, a baciargli la mano che egli sapeva porgere con garbo da vescovo, gli pareva che la gente sapesse la poca obbedienza mostratagli da Giuliano, e perciò gli fosse meno rispettosa. E procedeva levando il bastone vivacemente, e poi misurandone il moto all’andatura, lo vibrava innanzi, lo appuntava a terra; schiacciando i noccioli di ciliegia dell’anno passato, o scansando i ciottoli della via. Giunto al piano, passò il ponte, ed entrò nel vico oltre il torrente. I borghigiani facevano le meraviglie, vedendolo andare diritto verso la casa della signora Maddalena, dove non era tornato da anni; le donne bisbigliavano con aria di mistero, e stavano lì per dirgli come la signora non vi fosse, ma nessuno l’osava.

Quando fu sul piazzale, egli si fermò un tantino e tossì; volendo che quei di casa lo udissero e s’affollassero a fargli accoglienza. Ma la signora era fuori; Giuliano toltosi di là dove Marta l’aveva lasciato a sedere, se n’era andato nel più remoto angolo del giardino; e là passeggiava, soffermandosi a tastare le boccioline or di questa or di quella pianta, come se avessero qualche legame co’ suoi pensieri d’amore. In casa non v’era che la fantesca; la quale non appena ebbe visto il pievano [p. 66 modifica]corse ad incontrarlo, tutta batticuore, inchini, e ringraziamenti interni alla Madonna, che anco questa volta l’aveva aiutata. La buona donna, se ci rammenta, s’era tirata in casa pregando il cielo che don Apollinare non venisse, o almeno indugiasse tanto da non trovarsi con Giuliano in quell’ora cattiva; e siccome questi non era più là ad aspettarlo, così essa credeva che il cielo se ne fosse proprio immischiato.

«Men furia e più memoria! — disse il pievano vedendola affrettarsi alla sua volta.

«O signoria, so che cosa vuol dirmi; ma stamattina sono tornata che la signora era in sul partire; darle colazione, aiutarla a vestirsi, correre su e giù..., sa pure che io qui sono Marta, ma faccio anche da Maddalena; e come diceva..., la sua ambasciata, il signorino... non l’ho ancora veduto...» — E subito aggiunse colla mente: «dacchè l’ho lasciato qui.

«E per dove è partita la signora!

«Ma..., se per in giù o per in su... non mi ha detto nulla... Già sarà per affari; morto il padrone buonanima tutti hanno approfittato per usurpare,...» Qui si picchiava mentalmente il petto, per le due bugie sgusciatele in un lampo; e pensando che se il pievano stava là un quarto d’ora, altro che purgatorio! faceva il conto agli anni di pena che s’era procacciata, contandone sette per ognuna di quelle bugie.»

Il prete che non soleva farsi uccellare, mise in disparte quel discorso, e fissandola bene tra ciglio e ciglio, le disse:

«Dunque il signorino si può vederlo?

«Ah! questo sì... — rispose essa rimescolata — cioè, posso guardare, era qui..., sarà là... sarà...»

Sarà di qua sarà di là, avrebbe dato i suoi salari di cinquant’anni, se in quel momento le campane del castello avessero suonato qualcosa, anco se occorreva una agonia, pur di vedere il pievano tornarsi addietro: invocò un’altra volta il cielo, ma il cielo l’abbandonò; [p. 67 modifica]e don Apollinare segnando col bastone in fondo all’orto, mostrò d’aver scoperto Giuliano, che si vedeva traverso il fitto degli alberi, non ancora fronzuti. Senza dire alla vecchia nè ai nè bai, s’avviò da quella parte, punto da una smania che gli correva dal cuore sino al sommo dell’unghie; ma da uomo avvisato si seppe rattenere, e pigliare in viso un poco di calma.

Giuliano gli dava le spalle; ma udendo le pedate, si volse e vide lui, e Marta dopo che trinciava segni, faceva l’occhio supplichevole, e coll’indice teso su dal mento in sulla bocca, pareva volergli dire mille cose, e che fosse prudente. Salutando cortese per amor di lei, e per l’onor della casa, egli si fece incontro al pievano; questi rispose con un cenno, e subito uscendo nelle piacevolezze, disse alla fantesca;

«State allegra, Marta, che con questa sorta di ortolani avrete la più bella ortaglia del mondo!» — E rise in cadenza, soggiungendo a Giuliano: — Ebbene, torinese? Come si stà al paese del Re?

«Bene — rispose il giovane; — ma non quanto tra questi nostri monti; che qui almeno tutta questa primavera ci pare cosa nostra, e c’entra nel sangue bevuta a sorsi...

«Gioventù foco e fiamme! — sclamò don Apollinare: e Giuliano giocondamente a lui:

«Le spegneremo con due bicchieri di moscatello...»

Quasi non ebbe il tempo di proferire queste parole, che Marta, beata di vedere i propri timori risolversi in un brindisi, non attese d’essere comandata, ma andò da sè per la bottiglia, lesta che il pievano manco se ne avvide.

«Lasciate stare il moscatello dov’è; — disse egli a Giuliano, annuvolando improvvisamente; — lo beveremo se io partirò di qua amico...

«Amico? — sclamò il giovane — ma di casa nostra non so che uno sia mai partito scontento!

«Sarà... ma io in casa vostra ci vengo, non per avere [p. 68 modifica]cortesie, ci vengo per rimproverarvi di non avere obbedito! Voi non avete ancor fatta la pasqua?

«La pasqua? Oh io la faccio quando mi pare; anzi l’ho fatta con mia madre, e vorrei essere lasciato in pace con essa, sempre...!

«Proprio come un debitore che dicesse al creditore: non darmi noia! Bravo!

«Via, signor pievano, non vada in collera! In faccia a questa bella natura che si risveglia, in questi giorni di vera risurrezione, facciamo come gli uccelli; li sente? Cantano d’amore e d’accordo che è un desio. E in quest’inno che si diffonde dalla terra al cielo, non ci capisce nulla, lei? Questo per me è una pasqua! e non mi par vero, che noi così piccini, eppure fatti a godere di sì grandi cose, ci abbiamo a guastare tra noi...

«Come sarebbe a dire? — interruppe il pievano. — E chi siete voi che osate parlarmi a cotesto modo?

«Io? Non sarei mai venuto a dirglielo; ma poichè lo vuole, sappia che io oso molto di più! Oso persino alzare la voce e la mente al cielo, dove mia madre m’insegnò da bambino a cercare quel padre che non s’addonta di udirci parlare amorosi tra noi; che capisce il suo, il mio, tutti i linguaggi; quel Dio che io amo, e che ella vorrebbe che io temessi...

«Orgoglioso! — gridò il pievano, cui tremolavano le guancie, e il viso si faceva rosso: — orgoglioso ubriaco di letture infami! Li voglio! andiamo, venite a darmi tutti i vostri libri!»

«I libri? E perchè non mi chiede addirittura i pensieri, il cuore, l’anima mia?

«Ah giovane traviato! Uno come voi non ce l’ho mai avuto nella mia pieve; non ce l’hanno in tutti i parrochi delle Langhe! E non so che gran peccato io abbia commesso, per meritare il castigo di una pecora così marcia in mezzo al mio branco. Me ne duole per voi; ma verrà il vostro giorno, e vorrei che Dio v’aspettasse in buon punto. La morte galoppa, e sarà una bella gloria [p. 69 modifica]pel vostro casato, che si porti il vostro cadavere nel borro selvaggio, cogli scellerati, cogli empi, le cui ossa contaminerebbero quelle dei fedeli defunti...!»

Questo borro selvaggio era una sorta di baratro, nelle selve di quelle parti, vicino a Montenotte; e di quei tempi si credeva che vi fossero portati di notte, a lume spento, tra nugoli di corvi e fischi di diavoli, coloro che morivano in cattivo odore a Santa Chiesa. Giuliano udendolo menzionare dal pievano non si sdegnò, ma sorrise mestamente e rispose:

«A lei duole per me; ma io mi dovrei dolere molto più per lei, che crede di servire il Signore spaventando i semplici con codeste novelle! Ma che vuole che faccia a me il borro selvaggio? Più in questa che in quella terra la pace del sepolcro sarà tutt’una per me..., in fondo al mare, come in una chiesa, sotto una zolla di questo orto, come sotto una piramide dell’Egitto...

«Ma che vi ha fatto la Chiesa? Che vi ho fatto io..., vostro pastore?

«La Chiesa? Oh! quando io era fanciullo, e vi veniva la sera..., e udiva là dentro quelle voci di donne, di vecchi, di giovanetti, cantare le litanie, mentre l’oscurità discendeva, e avvolgeva gli altari e noi, e tutto nelle tenebre; io pigliava colle mie le mani di mia madre, e stringendomi ad essa mi pareva d’andare portato in un vuoto misterioso e dolcissimo...! E poi quando s’accendevano i ceri, e vedeva lei all’altare incensare in alto, e benedire la moltitudine silenziosa e reverente, provava certe ebbrezze...! E la Chiesa l’amava! E amava anche lei, signor pievano; e nel mio pensiero mi pareva di veder Dio che lo mirasse di lassù; che le facesse cenni; ed io lo credevo l’uomo più grande, più buono, più santo dell’universo!

«Oh...! tornate, Giuliano; torna, figlio mio, con noi... Vedremo Dio...»

Così dicendo, fosse commosso o fingesse, il pievano era lì per abbracciare il giovane; senonchè questi ritraendosi: [p. 70 modifica]

«No — rispondeva con calma — io col gregge, col branco non ci tornerò più, non vedrò più quel Dio...

«E perchè? — proruppe allora don Apollinare, ripigliando il suo posto, severo.

«Perchè? Non mica perchè io non creda; non mica perchè io nutra odio per lei no; ma che vuole? ho cavato la lucerna di sotto al moggio; ho un po’ letto la storia; ho pensato al bene che voi preti avreste potuto fare, e al male che avete fatto; ho capito che voi foste sempre dalla parte dei più forti, ed io amo i deboli...; e voi preti, soldati, principi, tutti, mi parete una mano di congiurati, che avete a capo un Dio di vostra testa, un Dio che ha figli reietti e figli beniamini; e vi godete in suo nome il mondo, beni e persone!

«Sciocco! sciocco! sciocco! E se non fossimo noi, i vostri coloni, che s’assaettano mattina e sera a lavorare i vostri campi, e stentano il boccone; v’accopperebbero un bel giorno, e vi lascerebbero a mangiare ai lupi sull’aia, dove non avete sudato, eppure andate a dividere il grano...!

«Signor pievano, manco se ella mi avesse tirato uno schiaffo, io non le avrei fatto l’oltraggio che ella si fa da sè con le sue parole. Bella gloria per la Chiesa l’essere tenuta in codesto conto da’ suoi stessi preti! Ah! la parabola dell’Epulone pare che Gesù l’abbia detta ieri...; ma se tutti i sacerdoti la pensano come lei, lo parrà ancora di qui a migliaia d’anni...!»

«Ma Epulone è all’inferno, ed Eleazaro nel seno d’Abramo! Ed è più facile ad un camello passare per la cruna d’un ago, che ad un ricco entrare nel regno dei cieli...! Questa consolazione, ai poveri, l’ha lasciata Iddio...

«Ebbene! — disse Giuliano — allora le ripeto che io non vo’ sapere di questo Dio. Smettiamo di parlare di lui!

«Ed egli vi punirà colla morte del corpo e con quella dell’anima...! [p. 71 modifica]

«No..., egli quando gli pare, ci coglie sulla via di Damasco, e di Saulo fa San Paolo! Ma via, ha più nulla a chiedere da me?

«Che veniate a fare la pasqua; chè questo scandalo nella mia pieve non lo voglio soffrire!

«Ripeto che la Pasqua la faccio con mia madre: e salendo talvolta su qualcuno di questi monti, mentre nasce il sole o quando va sotto. In quelle ore piene di voci misteriose, io m’inginocchio volentieri, e guardo, e ascolto... Allora Dio mi si fa sentire più vicino..., e rifaccio la pasqua alla mia maniera con lui....

«Ah! ah! — sclamò il prete, e si vedeva chiara la collera che gli fiottava dentro: — penso che voi vorreste salirne uno dei monti, ma uno tanto alto, da poter vedere la Francia e Parigi, e le carnificine, che desiderate di poter fare anche qui!

«Sì — rispose il giovane con sicurezza meravigliosa — la Francia e Parigi....; ma non occorre tanto...! Vede laggiù il Settepani, San Giacomo, tutta quella catena? I varchi sono facili, e dall’altro versante, forse in questo punto, l’esercito della repubblica salisce?

«Salisce,.. salisce, un corno! — urlò il pievano, terribile in vista non si capiva bene se per minaccia che gli paresse d’aver ricevuta, o che volesse fare: — matto voi e chi vi somiglia! Già! Li vedete? Aspettano i Francesi per farci scannare! Aspettate pure, che noi pregheremo tanto, e tanto faremo pregare in chiesa, che il Dio degli eserciti manderà su quei monti legioni d’Arcangeli a nostra difesa. Oggi bandirò un triduo in onore di San Giorgio, di San Martino, di tutti i Santi che hanno portate armi; vi nominerò dall’altare, vi farò conoscere a tutto il borgo..., ma pregherò il Signore che v’illumini, mi vendicherò di voi colla carità.

«Della carità mandi a farne laggiù a quella svolta, oltre quei vigneti. Là, una povera donna muore di stento con quattro fanciulli che le piangono intorno.... Là, lei ed io potremo fare insieme la carità che m’ha insegnato mio padre.... [p. 72 modifica]

«Vostro padre era un....

«Zitto! — gridò il giovane con tanta maestà della persona e nel viso, che più non potè darne Michelangelo al suo Davide — zitto, e se ne vada subito! Quà ella non può più stare da uomo; da prete, nessuno ha bisogno di lei; vada e non si volga addietro!»

Nelle parole e nell’atto di Giuliano v’era da cacciare ben altri che il prete, il quale non se lo fece ridire e partì. Ma si sentiva l’animo rintuzzato, far dentro come focoso cavallo, che raccolto col freno e tormentato collo sprone, gonfia le nari, s’impenna, sbuffa, tesse colle gambe su poco suolo rabbioso e soffre; ma si farà vedere quando gli verrà dato lanciarsi di carriera.

Passando vicino la Marta, a quale tornata che quella sorta d’alterco era sul forte, stava poco discosta, coll’impaccio d’una bottiglia e di due bicchieri in mano; non badò al profondissimo inchino, che la poveretta fece per rabbonirlo, o per mostrargli che essa non ci poteva nulla. Ma come avesse voluto lasciarle un’altra ambasciata, disse tra denti: «sfacciato! l’avrà a pagare!» E via più che di passo, in pochi istanti disparve oltre l’arco, in fondo al piazzale.

«Ahimè!» povera donna, — sclamò Marta — vecchia come la terra d’un castagneto, e chi sa che cosa mi toccherà vedere!

«E che volete vi tocchi? — Le chiese il giovane che s’era avvicinato, soave nella voce, e mettendole sopra la spalla una mano.

«Certe parole — rispose essa scotendosi quella mano di dosso — bisogna proprio averle imparate dal diavolo! Lasciavano il segno nell’aria come le saette!

«Oh santa semplicità! — esclamò egli sorridendo mestamente; — Una volta, che in una città di questo mondo, i preti stavano abbrucciando un uomo, che loro non piaceva guari; una vecchierella come siete voi, recava legna da aggiungere al fuoco, per aiutarli, e dare gloria a Dio con essi!» [p. 73 modifica]

«E una volta — rimbeccò Marta provocata da quel raccontino: — una volta che saranno sessant’anni, ed io me ne ricordo; lo speziale qui di D..., per aver detto a un prete molto, ma molto meno di quello che voi diceste al signor pievano; fu condannato a starsi ginocchioni in mezzo alla chiesa, con due birri uno per lato, e con un grosso cero acceso tra le mani, legate, la domenica dell’ulivo, tutto il tempo della messa grande. Sì, sì, ridete; ma non rise la sua povera moglie morta di vergogna; non rise lui, che stato in carcere parecchio tempo, uscì spiantato bottega e figli: perchè gli era cascata addosso la maledizione di Dio. E siccome questa maledizione cascherà anche sopra questa casa..., così io ho deciso di andarmene. Sono vecchia, ma se non troverò un tozzo di pane lavorando, l’accatterò di porta in porta; pur di salvar l’anima non mi fa di morire, se occorre, anco in mezzo la via...!»

Qui Marta imbambolava: e Giuliano che s’era sentito cader l’animo, al racconto di quella moglie morta miseramente; subito gli si affacciò il pensiero, che così triste ventura, avrebbe potuto cogliere la sua povera madre; nè potè por mente all’ultime parole della vecchia. Accennandole di moversi, le tenne dietro silenzioso fino al sedile di pietra fuori l’atrio; e là sedette un’altra volta, chè in casa non aveva cuore d’entrarvi. Marta invece si mise dentro, e si diede attorno ad ammanire il desinare, l’ultimo che le pareva di cuocere in quella cucina, governata da lei cinquanta e più anni. Faceva per non uscire di là col rimorso di avere trasandata una faccenda anche piccina; che se no avrebbe mandato all’aria piatti e tegami: e di qual animo fosse si può pensare.

Rimasto solo, egli tornò a meditare; e parlava a bassa voce tra sè, come coloro che sono travagliati da forte passione. «Sicuro! — diceva — a conti fatti il meglio è che io parta. E me ne duole, perchè questo signor pievano crederà d’avermi impaurito. Ma se io [p. 74 modifica]rimango? E se gli si fosse annestato il capriccio di farmi un qualche gioco? Mia madre ne morrebbe, come la moglie di quello speziale! Eppoi...., non potrebbe andarne rotto il mio matrimonio? Si fa presto a mettere uno in conto d’eretico al signor Fedele; ed egli che quasi si picca d’essere una colonna della Chiesa, la sua figliuola non me la darebbe più, di certo! Sì, sì.... sto a vedere quel che mia madre porta da C..., do una corsa fin lassù, dirò a Bianca.... che cosa ci diremo con Bianca? Non ci siamo parlati mai! Come era bella ieri, mentre andava in chiesa! E mi ha veduto, e a me parve mi raggiasse in viso il sole! E il giovedì santo! Mi feci vedere troppo improvviso.... dalla confusione inciampò nel lembo della veste, e damigella Maria se n’accorse, perchè le agguantò la mano, e le parlò....: forse le chiese che avesse..., chi sa che abbia risposto? Io..., io se fossi stato in lei, avrei risposto: «ho veduto un giovane che gli voglio bene, e che ne vuole a me tanto... tanto....»

La signora Maddalena spuntò dall’arco in quell’istante camminando a piedi; e gli ruppe il filo di quei dolci pensieri. Egli balzando ritto, le corse incontro, e coll’anima tutta negli occhi, le disse: «dunque?»

«Andiamo in casa: — rispose essa colta a quel modo; e per non farsi leggere in viso, passò rapidamente innanzi a lui, che cansando Marta venuta oltre, forse per spiatellare lì ogni cosa alla padrona, seguì sua madre su per le scale.

Se di queste ve ne fossero state venti da salire sino al tetto, la signora Maddalena le avrebbe fatte tutte, per pigliare quell’altro poco di tempo; tanto le pareva d’essere sprovveduta di fermezza e di parole acconcie al fatto del figliuolo; sebbene v’avesse studiato sopra tutta la via. Ma più su del secondo piano non si poteva ascendere; ond’essa fattasi animo, si fermò, si volse a lui che le stava ai panni coll’agonia di udirla, e senza dargli tempo di tornarle a dire quell’«ebbene?» spasimato, rispose: [p. 75 modifica]

«L’ho veduta....

«E le hanno detto di sì?

«Sì...., ma sai pure..., sono certe cose..., basta! se tu ti condurrai bene...

«Oh! per me..., mi dicano quel che debbo fare.... Vede? solo a pensare che le hanno detto di sì, e che quella dell’Alemanno era una favola.

«Che sapevi tu d’un Alemanno...? — sclamò senza volerlo la signora, facendosi in viso come un panno lavato.»

Giuliano la guardò fisso, e le colse negli occhi la verità.

«Ah! dunque era vero? — proruppe — per carità, mamma, parli..., mi dica tutto, non tema di nulla, parli..., o monto a cavallo, vado da me a vedere, e stassera mi perdo...!

«Perdiamoci insieme una volta! — disse la signora, smarrito per un istante il disegno fatto C... con don Marco, ma subito ripigliandosi: — che cosa t’ho detto? che Alemanno mi vai maledicendo? Ebbene? E se uno chiede una zitella in isposa, gli è forse come l’avesse sposata?

«Sì... perchè ella non sarebbe così sbigottita! — E abbandonandosi su d’una scranna, colla fronte tra le mani, i capegli scomposti; — oh stolto, proseguiva Giuliano, stolto che io fui a tardare tanto! l’ho meritato...! l’ho meritato...! dunque hanno fatto gli sponsali! Non v’è più speranza? E Bianca ha potuto dimenticarmi?

«Giuliano — disse la signora — forse il meglio è che tu sappia la verità tutta intera. Io avrei voluto non dirtela; ma sii uomo, perchè tu non faresti che mettere il tuo ed il mio nome sulle labbra ai maligni della vallata...

«E vengano, parlino i maligni! son qua! — gridò egli levandosi in piedi: ma essa ingegnandosi di quetarlo colle mani, coll’atto del viso, colla voce:

«Sì, lo so — proseguiva — noi non li temiamo; ma [p. 76 modifica]pazienza se vi fosse da disperarsi! Allora direi vada all’aria ogni cosa! Invece, se tu avrai giudizio qualche anima del purgatorio pregherà per noi; e Bianca, vedrai, non acconsentirà a sposarsi a quello straniero; me l’ha promesso.

«Proprio l’ha promesso a lei? — disse il giovane di subito sentendo rinascere la speranza: — o Bianca, tu l’hai promesso, tu mi fai questa grazia, e già dubitava di te!» — E rimase colle mani giunte, come se la fanciulla fosse stata davvero dinanzi a lui.

Allora la signora, pigliando consiglio dallo stato del figliuolo; gli raccontò ogni cosa seguitale a C...., e più animandosi a misura che lo vedeva rischiararsi: — ecco, diceva, così ti voglio, pieno di speranza e di fede. L’Alemanno poi e il signor Fedele facciano pure: Bianca è sicura di sè; Don Marco è dalla parte nostra; i Francesi son lì alle porte....

«Domani, fossero qui domani! — sclamò Giuliano! afferrando l’idea che sua madre non aveva esposta intera: — venissero domani, e avessi cento vite, tutte le porrei a combattere con essi, contro queste orde di schiavi!

«Combattere? — disse la signora rimescolata e pentita d’aver toccata quella corda; e facendosi severissima in faccia, — tu, sin che io sarò viva, questa parola non la proferirai più...! Sii buono, dà retta a chi ti vuol bene; prima di tutto fa di essere medico, e parti per Torino...

«Oh...! — rispose Giuliano, spirando da tutta la persona l’aria d’un guerriero pigliato dallo sconforto; — gli è che noi, allevati come siamo..., si riesce una razza d’imbelli..., e a partire ci aveva pensato da me. Partirò sì, ma prima voglio andare a C...

«Tu guasteresti ogni cosa! Finiresti di rovinare Bianca, e mostreresti di non obbedire una madre che tu vedi e sai quel che farebbe per te...

«Ma che male c’è a vederla ancora una volta, a dire addio a don Marco... [p. 77 modifica]

«No..., tu partirai.

«Ebbene! — disse il giovane chinando il capo — domani all’alba partirò.

«Oh! non ti si scaccia mica! — sclamò la signora, che pur di saperlo disposto a non tornare a C..., l’avrebbe rattenuto, anzichè fargli fretta a partire. Ma egli non si lasciò smuovere, e ripetè severo:

«No... no mamma, l’aveva bell’e deciso, parto domani.»

Appunto in quel momento, Marta d’in fondo alla scala, mandava su quel noioso annunzio del desinare, già troppo ritardato, e messo in tavola a raffreddarsi. Essi discesero, sedettero a mangiucchiare colla malavoglia della sera innanzi; ma alla fantesca pareva non finissero mai, dalla tanta smania di rimanere sola colla signora, per dirle del gran parlamento fatto dal giovane col pievano; e del suo proposito di lasciar quella casa. Così i minuti le si facevano ore, ma alfine Giuliano si levò da mensa ed uscì. Allora essa raccolse quanto fiato potè, e si fece oltre verso la signora per cominciare; senonchè questa si tolse da sedere, e parlando prima di lei:

«Animo — le disse — prepariamogli un po’ di roba...

«Come? — sclamò la vecchia — che se ne va? che il Signore gli ha toccato il cuore?

«Che Signore... che cuore... che cosa mi dite? — chiese la signora, guardando Marta, e maravigliando di quell’esclamazione, e della sorta d’allegrezza che l’aveva accompagnata.»

La vecchia ondeggiò un istante; e in quell’istante capì, quanto le sarebbe poi riuscito amaro lasciare quella casa che si poteva dir sua; quella padrona che l’aveva tenuta più da amica che da serva; per buttarsi su d’una via, in cerca di pane e di ricovero. Se Giuliano partiva, che vi poteva essere di meglio per lei? Avrebbe potuto rimanere tranquilla al proprio posto, chè il pericolo d’offendere Dio servendo un peccatore era bell’e [p. 78 modifica]cessato. E quanto a sè abbandonò del tutto il suo disegno; ma quanto al pievano, quel che gli era seguito col signorino, non le riuscì tenerlo sullo stomaco, manco un minuto. Vinta dalla propria natura, e dallo sguardo della padrona, cominciò dall’ambasciata avuta in castello al mattino; e le narrò ogni cosa, sino al modo in cui don Apollinare se n’era andato imbestialito mezz’ora prima. Le eresie buttate dal giovane, e la minaccia del prete di fargliela costar saporita, diedero alla signora il tuffo; e le venne addosso una smania, che le pareva di non poter durare sino all’alba dell’indomani. E se non fosse stata la tema di vederlo intestarsi a rimanere, avrebbe pregato Giuliano a montare a cavallo, e a partire subito segnato e benedetto. Ma si quetò un poco pensando, che alla fine delle fini, per acchiapparlo bisognavano birri, e che a D...., come Dio voleva, di quella roba non ve n’era. Chi sa? forse il pievano aveva minacciato così per minacciare; o alla peggio non avrebbe spacciato uno di carriera per avere da C.... o da altri luoghi man forte. Di là all’indomani non c’era molto, e in ogni caso Giuliano si sentiva in gambe per scampare di forza. Non potendo divorare le ore, affrettò quella faccenda del fardello; e pur confusa com’era, aiutata da Marta, adoperava ogni diligenza perchè nulla avesse a mancare. Brache di nanchino per la state che s’avanzava; camicie di tela casereccia con belle gale agli sparati; e sottovesti, e giubbe, e calzette di seta, riponevano col garbo concesso dal turbamento, cercata da prima ogni cosa se bisognasse qualche rammendatura.

Così facendo parlavano sottovoce perchè Giuliano non le avesse a sentire; non sapendo che egli era discosto da casa un trar di schioppo, in parte donde poteva scoprire le lontane ruine del castello di C..., alcune cime a lui note, certi sentieri biancheggianti nelle montagne, e fino una rupe su d’una vetta selvaggia e foresta, dove don Marco soleva accompagnare lui e gli altri suoi scolari a diporto. Messosi a giacere sull’erba, coll’occhio or [p. 79 modifica]su l’una or sull’altra di quelle viste, immaginava che Bianca stesse sull’altana di casa sua a pensare a lui; pianse d’affetto; e provò non sapeva che pietà per quel soldato, che nella sua fantasia gli pareva di vedere umiliato dai rifiuti della fanciulla. Stette così adagiato, finchè s’avvide del sole che andava sotto, e allora tornò verso casa. Il sentiero correva fra due siepi di biancospino e di rose silvestri che facevano allora le boccioline; ed egli veniva giù, ascoltando una voce di suono dolcissimo, la quale cantava alle rondinelle una soave canzone. L’affetto del canto, temperava la rozzezza delle parole; e le rondini, tornate di quei giorni, radendo a volo i prati, levandosi in alto alcune braccia, stando a brillare un istante, e ripiombando fulminee, parevano far segni di rispondenza amorosa alla cantatrice.

Giuliano diede un’occhiata per di sopra al siepe, e vide che la cantatrice era Tecla, una figlia sedicenne di Rocco, il suo colono. Essa stava seduta all’un dei capi d’una lunga tela greggia, distesa là sull’erba, perchè tra per l’acqua che vi si buttava sopra, e pel sole divenisse bianca. E se ne raccoglieva sulle ginocchia, tirando e addoppiando di quella, quanto erano lunghe le sue braccia nude fino al gomito; e la tela s’accorciava man mano, strisciando sull’erba; e per il fruscìo la giovinetta non avendo inteso la pedata di Giuliano, proseguiva a cantare. A un tratto si accorse di lui che s’era fermato lì accosto, e tacque arrossendo. Finito di raccogliere la tela, si levò in piedi rimescolata, e tenendosela in fascio contro il seno, stette vergognosa di vedersi guardata come non s’era mai vista da niuno.

«Perchè non canti più? — le chiese il giovane: ed essa cogli occhi bassi e col cuore agitato, fece atto di partirsi senza dir nulla.

«A buona Tecla, tu sei felice! — proseguì Giuliano — oh! se Bianca fosse nata qui, lontana da quella gente... e povera come te. Se tu fossi Bianca! Addio Tecla, va... canta, canta pure, che sei felice.» [p. 80 modifica]

La fanciulla si tolse di là dimessa e sbigottita. Egli stette a guardarla, poi sclamò: «in verità vorrei essere nato contadino, perchè sento che a falciar erba e a vangare campi sarei felice come sei tu!» Qui subito pensando al colloquio avuto con don Apollinare, soggiunse sdegnoso, e parlando a sè stesso: «e tu! — tu osi dire che questa povera gente è felice? E sai tu l’anima di questa fanciulla? Tu che ti trattieni a guardarla; e le dai del tu; e solo che ti venisse in capo, potresti farla piangere, mandandola ramminga coi suoi, fuori del tuo podere?»

Così pensando fu in casa. Là Rocco, il padre di Tecla stava pigliando gli ordini della signora, che gli raccomandava di tenersi lesto all’alba, col suo bardotto e colla giumenta del figliuolo. Il quale aggiunto qualcosa di suo, e stato in sala un altro poco; prese licenza e andò a gettarsi sul letto, dove quanto fu lunga la notte non gli venne fatto dormire mezz’ora di seguito, travagliato com’era dai pensieri che ogni poco gli rompevano il sonno.

In sala rimasero la signora e Marta, le quali ad ogni più leggero rumore tremavano, e credevano fossero i birri. Vegliavano per essere pronte a far fuggire il giovane prima dell’ora fissata, dove occorresse; ma quando l’orologio di castello ebbe suonate le sei d’Italia, e per tutto fu quiete altissima, la fantesca disse:

«Signora, se ne vada pure a riposare, che oramai se qualcosa aveva ad accadere non saremmo più qui...»

E tanto fece e disse, che la signora, sebbene non volesse per nulla, dovè andarsi a riposare. Ma prima salì in camera a Giuliano, che appunto dormiva uno di quei corti sonni che ho detto. S’avvicinò cauta, facendo schermo colla mano al lume, che dandogli negli occhi non lo destasse, e lo guardò con amore lungamente. Povera donna! A quel che già sapeva da lui, e a quel che le era stato detto da Marta, circa al fatto del pievano; pensò che della fede in cui l’aveva allevato, egli nè serbasse punta [p. 81 modifica]o poca. Provò al cuore una stretta dolorosa, e stesa la destra lo segnò leggermente dalla fronte al petto, come usava fargli da bambino, appena adagiatolo nella culla prima di coprirlo. Così facendo non osava neanche fiatare dalla tema che destandosi se ne avesse a male; poi in punta di piedi uscì di quella camera, e discese nella sua, dove stette un’altra mezz’ora a pregare per sè e per lui.

Marta vegliava a terreno, menando i ferruzzi a fare la calza, e stava tutta orecchi. Ma per tutta la notte non udì nulla mai, salvo che la gatta, la quale aggomitolata sul seggiolone della signora, faceva le sue perpetue fusa. La vecchia bestia si destava di quando in quando, e porgeva orecchio anch’essa, non se udisse birri a venire, ma allo sgrigliolio dei ferruzzi di Marta, scambiandolo forse pel rosicchiare d’un sorcio. Vedendo la fantesca, chinava la testa, e subito si rimetteva a ronfare.

Come si fu messo un po’ d’albore, e s’udì Rocco parlare colle due bestie arnesando; Marta aperse la finestra della cucina e s’affacciò. O l’aria del mattino le spianasse le rughe, o la lunga veglia avesse potuto nulla sopra di lei, essa era come si fosse levata allora allora da letto. Chiamò la signora Maddalena, e poco dopo Giuliano discendeva anch’egli vestito e stivalato, pronto a partire. Egli si trattenne con sua madre, a parlar con grande passione; disse, ascoltò, promise tutto quel ch’essa volle; bevve una tazza di latte, mangiò un pane; poi baciata la mano a lei, e strettala a Marta, uscì sul piazzale e fu in sella d’un balzo. Rocco montò un po’ meno agile sul bardotto, avendo in groppa il fardello del giovane; e questi innanzi, ed egli dopo, pigliarono la stradicciuola, che menava a varcare i monti, pei quali le due valli della Bormida sono divise.

Le donne stettero a guardargli dietro, e v’era poco discosto Tecla, venuta quella mattina più sollecita dell’altre volte, a recar latte per la famiglia. Tenutasi in disparte, finchè essi furono partiti, aveva gli occhi lagrimosi, e [p. 82 modifica]pareva accorata. Marta fattalesi all’orecchio, le bisbigliò: «che piangi, sciocca? Va altrove, che la padrona ha bisogno di tutt’altro che di vedere le tue lagrime. Va, va, che tuo padre tornerà, e di qui a stassera non c’è molto.»

Tecla se n’andò, lasciando la vecchia punto dubbiosa di avere indovinata la cagione del suo pianto; e questa rientrò in casa colla signora. La quale sfatta per quel che aveva patito dal giorno innanzi, sedette come persona inferma; e voltasi alla fantesca le disse:

«Marta; e tutta la paura che ebbimo del pievano? Fummo pur pronti a pensar male....

«Che vuole! — rispose Marta — ieri mattina egli se n’è andato così furioso; il signorino glie ne aveva dette di così grosse! Ho fatto i giudizi temerari.... povera me, chi si salverà farà la gran bella giornata....!»

In verità, sebbene i fatti dessero ragione ai pentimenti di Marta, il pievano s’era partito il dì innanzi da quella casa, proprio col proposito di pigliar vendetta a suo modo del giovane giacobino. Risalendo in castello v’aveva meditato sopra, e non vedeva l’ora d’averlo tra le mani senonchè, rientrando nel presbiterio, s’era abbattuto in donna Placidia che gli porgeva una lettera, suggellata grossamente con cera di Spagna, e il Minore Osservante che gli si faceva incontro, dicendo in tuon di celia:

«Non ha gli occhi cavati, non il naso tagliato, non gli orecchi mozzi, dunque gli infedeli si sono convertiti....?»

«Ah! padre, — sclamò il pievano, cui il sangue rimescolato dalla procella di poco prima, flottava tuttavia assai forte, — ella parla d’infedeli per celia, ma qui nella mia pieve ho di peggio! Qui vi sono i rinnegati....

«Rinnegati! — urlò il frate battendo insieme le palme: — Che mi dice mai rinnegati? O le mie prediche? Ne parlerò domenica dando la benedizione papale.

«Eh! il rinnegato non ha visto nè lei nè la chiesa! Altro che prediche...! Adesso vado a C.... mi presento [p. 83 modifica]al generale Alemanno, gli dico le cose; e quel Giuliano laggiù, cui non fanno paura nè Dio nè Santi, quel Giuliano laggiù che vuol fare scuola di religione e di morale a me..., lo colgo e l’aggiusto io! Placidia, dite a Mattia che ponga la bardella sulla giumenta...»

Parlando alla sorella, si rammentò della lettera che essa gli aveva data; e mentre il Minore Osservante rispondeva alla sfuriata di lui, con un’altra sfuriata, come dicessero i salmi un verso per ciascuno; egli alzò il suggello, aperse il foglio, vi piantò gli occhi sopra, e lesse colla mente:

«Molto reverendissimo signor pievano. Vengo con questo piccolo foglio a farle sapere, che questa volta i regicidi, scomunicati, scellerati Francesi, hanno il diavolo dalla loro; perchè i nostri vengono perdendo, dalla marina verso in qua ogni giorno. Sui monti di Nizza, fu ieri grosso parapiglia, e per quel che so se il Dio di Sabaot non ci aiuta, finirà male. Le dico che non dormo nè dì nè notte, e se mai avessi a fuggire, faccio conto di venire da lei, per scampare da quei briganti, e con questo mi sottoscrivo.

«Sì sì! sottoscrivi e vieni! — sclamò don Apollinare diventato tutt’altr’uomo nella voce, nel gesto, nel viso; — vieni e mi troverai qui colle braccia aperte!....

«Che è? che è? — dissero ad un tempo il frate e donna Placidia, mossi dal turbamento di lui, che aveva parlato ansando come chi patisse d’asma.

«C’è che i Francesi ci coglieranno colle calze bracaloni! Legga padre, legga quel che scrive il Rettore di Montefreddo!»

Il frate prese la lettera e lesse ad alta voce; donna Placidia si cacciò la mano nella saccoccia del grembiale, si recò tra le dita i pippori del suo rosario, e per poco non recitò la preghiera che soleva allo scoppiare dei temporali: «Santa Barbara, San Simone, liberatemi dal lampo e dal tuono.» Il pievano poi, mentre l’altro leggeva, cercato un suo vecchio cannocchiale, pose la mira [p. 84 modifica]sulle gole dei monti verso la marina, là dove sapeva di scoprire Montefreddo; terricciuola sulle creste dell’Appennino dalla quale la lettera veniva. Non durò fatica a vederne il campanile biancheggiante nel verde degli abeti, come vela solitaria in golfo lontano; e solo si tolse dall’occhio quell’arnese, quando il frate, letta la lettera una e due volte, gli disse:

«Signor pievano, mi pare che sarebbe da uomo prudente aver pazienza, circa a quel giovinotto di cui parlavamo or ora...

«Ben detto! sclamò il pievano — non è tempo da cercarsi nemici. Ma! Eravamo così tranquilli! Si faceva il dover nostro e stavamo come il pesce in mare! Bisognava che i Francesi diventassero pazzi, per darci queste noie...!»

Qui entrarono in ragionamenti che a noi non fanno gioco, e finirono mettendo in disparte ogni pensiero di conciar Giuliano alla loro maniera. L’indomani poi quando lo seppero partito, l’uno e l’altro rallegrandosi assai di quella partenza, la chiamarono fuga, e se ne lodarono molto.

In questa guisa Giuliano potè andarsene libero, ma la signora Maddalena e Marta, ignorando le intenzioni avute dal pievano, rimasero con una sorta di rimorso pei giudizi temerari fatti sopra di lui.