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e don Apollinare segnando col bastone in fondo all’orto, mostrò d’aver scoperto Giuliano, che si vedeva traverso il fitto degli alberi, non ancora fronzuti. Senza dire alla vecchia nè ai nè bai, s’avviò da quella parte, punto da una smania che gli correva dal cuore sino al sommo dell’unghie; ma da uomo avvisato si seppe rattenere, e pigliare in viso un poco di calma.

Giuliano gli dava le spalle; ma udendo le pedate, si volse e vide lui, e Marta dopo che trinciava segni, faceva l’occhio supplichevole, e coll’indice teso su dal mento in sulla bocca, pareva volergli dire mille cose, e che fosse prudente. Salutando cortese per amor di lei, e per l’onor della casa, egli si fece incontro al pievano; questi rispose con un cenno, e subito uscendo nelle piacevolezze, disse alla fantesca;

«State allegra, Marta, che con questa sorta di ortolani avrete la più bella ortaglia del mondo!» — E rise in cadenza, soggiungendo a Giuliano: — Ebbene, torinese? Come si stà al paese del Re?

«Bene — rispose il giovane; — ma non quanto tra questi nostri monti; che qui almeno tutta questa primavera ci pare cosa nostra, e c’entra nel sangue bevuta a sorsi...

«Gioventù foco e fiamme! — sclamò don Apollinare: e Giuliano giocondamente a lui:

«Le spegneremo con due bicchieri di moscatello...»

Quasi non ebbe il tempo di proferire queste parole, che Marta, beata di vedere i propri timori risolversi in un brindisi, non attese d’essere comandata, ma andò da sè per la bottiglia, lesta che il pievano manco se ne avvide.

«Lasciate stare il moscatello dov’è; — disse egli a Giuliano, annuvolando improvvisamente; — lo beveremo se io partirò di qua amico...

«Amico? — sclamò il giovane — ma di casa nostra non so che uno sia mai partito scontento!

«Sarà... ma io in casa vostra ci vengo, non per avere