Le rime volgari/V. Regola da piantare et conservar melaranci

V. Regola da piantare et conservar melaranci

../IV. Capitulo de la reformazione de l’orno a la vita cristiana IncludiIntestazione 29 novembre 2020 75% agricoltura

V. Regola da piantare et conservar melaranci
IV. Capitulo de la reformazione de l’orno a la vita cristiana

[p. 133 modifica]

V

Regola da piantare et conservar melaranci, composta per il mag.co cavaliere et clarissimo doctor in iure civili et canonico, Messer Pandolfo Collenuccio da Pesaro.


     Produce per sua patria e sua natura
una felice pianta l’oriente;
lá è sì pronta che non vòl cultura.
     Di questa il legno e scorza e la semente,
5le fronde, il fiore, il frutto e la radice
pel suo grato uso onora quella gente.
     Dui regni di tal selve son felice,
che ’l magnanimo Ciro ebbe in sua forza,
Assiria e Media: il latin nome il dice,
     10Ora mutato il vecchio nome ammorza
il vulgo e ’l chiama arancio, come avviene
che la piú parte la migliore sforza.
     Italia, a cui nascosto mai fu bene
ch’alcun’altra provincia solo ornasse,
15di questo ne privò sue culte arene;
     né pria che in Ellesponto trapassasse
le romane armi vincitrici, alcuno
il nome intese, nonché ’l trapiantasse.
     Crebbe l’imperio e da per sé ciascuno
20la bella Italia ornò di prede e spoglie;
né fu de li altrui beni alcun digiuno.
     Allor piantaron l’onorate foglie
di quest’arbor gentil nostri maggiori,
da cui sì grato frutto si ricoglie;

[p. 134 modifica]

     25ma non senza fatica de’ cultori,
né senza cura, studio e diligenza,
di cotal pianta n’ebbe alcun onori.
     Però queste mie rime la scienza
e di piantare e conservare insegna
30con la ragione e con l’esperienza:
     né para a alcun questa mia carta indegna,
ché a li animi gentil l’agricoltura,
senz’altru’ offesa, è sempre onesta e degna.
     Vòle il terren quest’arbor per natura
35umido e grasso, e quando questo manchi,
d’acqua e letame crescati la cura.
     Da tre venti coperti vòl soi fianchi,
settentrion, ponente e dal tirreno:
peggiore il terzo che i fa secchi e stanchi.
     40Però da valli e fiumi fa’ ch’almeno
sian ben difesi: perché il freddo spira
notturno sempre, benché sia sereno,
     l’aer marino. Il sol che dritto mira
quando si leva, a l’arbor nostro piace,
45e a darti il frutto ancor piú presto il tira.
     Bona è la terra che in tal modo giace,
che dal troppo è difeso freddo e caldo,
e il vento di ch’io ho detto sempre tace.
     A piantarlo in dui modi ti riscaldo:
50e semente e propagine il produce,
ma il primo del secondo è ancor piú saldo.
     Quando a voler piantarlo ti riduce,
piglia del pomo bello e ben maturo
le piú salde semente ch’el adduce;
     55mira che sian del mezzo, e sia ben puro
il pomo, tutto integro e ’l seme sano:
se è verde o secco, questo non ne curo.
     A filo un seminario e culto e piano
fa’ che distingue con letame e terra,
60e polverizza e trita con la mano;

[p. 135 modifica]

     poi la semente con lo dito atterra.
Sotto sia mezzo dito, et una spanna
fra l’una e l’altra; e cosí le sotterra
     ad una ad una, e col letame inpanna
65ben macero di sopra, e sia di bove:
miglior è assai e la terra manco affanna.
     Poi con l’orciolo a ciascun loco, dove
piantasti, adacqua, e fa’ che ti sia a mente:
adacquar dico sempre, se non piove.
     70La sera adacqua e fa’ continuamente
che sempre il terzo di l’acqua l’infonda;
piú se la state è senza pioggia o vente.
     Il tempo di piantarli non si asconda:
marzo e aprile son boni a cotal opra,
75se primavera è tepida e ioconda.
     Quando ad ottobre arai la pianta sopra
la terra nata, tenera e gentile,
per lo futuro verno fa’ che copra:
     forcine e pali intorno, e poi suttile
80stanghe di sopra, e alte sian tre piedi.
Stendi ginestre e paglia, ovver fenile.
     Quando la primavera a l’anno riede,
leva il coperto e fa’ che ’l caldo sole
quella ancor veda, come il mondo vede.
     85Un studio ancor sempre sovente vòle
la pianta, che il terren d’intorno movi
e che l’erbe si levin, come sòle.
     Due volte il mese ronca e fa’ removi
tutta la terra con un piccol legno;
90guarda che pianta o scorza non commovi.
     Del sequente anno il studio ora t’insegno.
A l’altro marzo o april, serà la pianta
un cubito alta, ovver circa quel segno;
     un altro seminario allor con tanta
95cura, quanta a quel primo, fa’ comporre,
e la vergella tenera trapianta.

[p. 136 modifica]

     Non aspettar, ché ’l tempo se ne corre,
e prima tante fosse fa’ che facci,
quante son piantoline c’hai a porre.
     100Da l’una a l’altra, acciò che non s’impacci,
un cubito distante fa’ che sia,
e del letame in essa ancora cacci.
     Poi da la madre la vergella invia
cavar, sì destramente che le crine
105de la radice non le butti via;
     poi taglia o torci a modo pur d’uncine
quella radice dritta che va sotto,
alquanto prima lá verso la fine.
     Con diligenza poi la metti in sotto;
110calca il letame intorno col terreno,
che piú che prima un dito sia condotto.
     Poi subito l’orciol fa’ che sia pieno:
adacqua, e per la pianta che non scosse,
facci una canna appresso e non sia meno.
     115La terra intorno intorno a quelle fosse,
riducila et adatta in un bel vaso,
che ritenga l’umor quando vi fosse.
     Cura poi di roncarla e darli l’aso
di lieve zappatura e che si tempre
120d’acqua la state, e non ne sia disaso.
     Al settembre il letame si contempre
la perduta grassezza del passato,
e questo studio fa’ che li sia sempre.
     La terza primavera vedra’ alzato
125a dui cubiti il capo de la pianta,
se tal studio serà continuato.
     Allor, con qual terren di sopra canta
la rima mia, lavora e ben conduce,
e per la terza volta quel trapianta.
     130Non altra diligenza qui si adduce,
se non che di dui cubiti si scosti,
che l’una a l’altra non tolga la luce.

[p. 137 modifica]

     A questa terza pianta altro non costi:
quanto ebbe la seconda, tanto dona
135in questa, e quella cura qui non osti.
     Letame, acqua, roncon cosí consona
il torcer o tagliar quella radice:
legata al pal, dal vento si ripona.
     Un dito sia piú sotto, e ancor si dice
140che ’l vaso a questa intorno si consente,
e tanto a questa quanto a l’altre lice.
     Ecco tre anni ormai da la semente;
il quarto crescerá ’l lieto arboscello
a quattro piedi: si ti poni a mente.
     145Allora con la mano o col coltello
leva la cima de la tenerezza,
acciò che in tondo cresca e sia piú bello;
     ma fa’ che tutti li anni, con destrezza,
vergella o germinetto, che d’intorno
150nasce, a le piante togli, e con fermezza
     in suso tira, e guarda ben che ’l corno
del falcetto la scorza non offenda,
e forzati al tagliar non far ritorno.
     Converrá allor che l’arbor si distenda
155in tondo, e in se medesmo ’l suo vigore
terrá, sempre ingrossando fin che ’l renda.
     Questo al quart’anno: il quinto poni il core
a veder la grossezza, ch’a cinqu’once
ascenderá o circa ’l suo valore.
     160Or qui la nova terra ben s’acconce
col ferro e col letame a filo e sesto,
che quel ch’ora farai piú non si sconce.
     Et a fare il giardin qui serai desto,
ché non piú seminario né vergella,
165ma un arbor giá da frutti será questo.
     Le fosse cava, e fa’ che si divella
l’una da l’altra tre gran passi ad occhio,
poi l’ordina con squadro e con livella.

[p. 138 modifica]

     Fàlle profonde fin sopra ’l ginocchio,
170e quattro piedi aranno di larghezza:
letame in fondo, e a questo solo abbi occhio.
     Leva la pianta poi con leggerezza,
con piú terra che pòi, né si dimene:
fa’ che sii accorto e non lo fare in frezza.
     175In mezzo de la fossa allor la tiene;
di terra secca intorno che si trova,
con letame, le fosse fa’ ripiene.
     Premi il terreno e calca e qui renova
il vaso detto, né piú sopra pone
180che quattro dita de la terra nova;
     adacqua allora e poi qui li compone
tre pali in terzo sotto le sue foglie,
che la forza dei venti non lo sprone.
     Fatto è il giardino ormai, né ancor si scioglie
185la mente de’ pensier né di fatica,
né sazie sono ancora le mie voglie.
     (Ahi nostra vita! e pur convien ch’io il dica:
ov’è il fin de li affanni, ov’è il riposo?
Chi piú schiva il pensier, pur vi s’intrica.
     190A li occhi nostri ’l ver sempre è nascoso,
fin che a l’estremo poi quella ne venga,
che ’l viver nostro ci fa sì dubioso).
     Fatto il giardino, e piú convien sostenga
continuo affanno ’l suo cultor, se vòle
195che l’aspettato frutto ne rivenga.
     (Manca a doler l’ingegno e le parole
de la nostra natura, che ha sì posto
nostro esser, che di pena mai lo tòle!)
     Dico ch’ogni anno, subito che accosto
200vede ’l monton del gran pianeta, prenda
la dura zappa, poi ch’è’l giardin tosto:
     mova la terra e sotto sopra renda,
poi, quando maggio rinverdisce i colli,
di novo a simil opra la riprenda.

[p. 139 modifica]

     205Vieti poi ’l fervido luglio, che li tolli
ogni vigor: convien ch’ancor s’adopre
a procurar che i piedi sian ben molli;
     far vasi intorno e circondar sì l’opre,
che sia capace d’acqua alcuna soma,
210e per rivi condur l’acqua di sopre.
     Se fontana non v’è, la bestia assoma,
e con la man dal fonte glie la porta:
cosí l’ardor del caldo tempo doma.
     Ma fatto il vaso, subito riporta
215l’acqua di sopra, e guarda non sia aperta,
ché la radice il caldo non comporta.
     Al settembre la man tua si converta
di novo con la zappa a ripianare
la terra intorno e a i vasi far coperta;
     220e letame ben macero portare
d’intorno a ciascun arbor: per un passo
se in piano, ma se in piaggia sopra ha’ a dare.
     Il zappatore ogni anno mai sia lasso,
ma di letame basta ogni terz’anno;
225ciascun due some vòl, benché sia basso.
     (E se ancor del letame nol’ l’affanno,
ciascun settembre basterattene una).
Queste son quelle, che ’l frutto ti dánno.
     Quando l’aurate pome poi s’aduna,
230ogni terz’anno l’arbore riguarda,
se fra le rame è germinata alcuna.
     O secca fronda o ramo inutil guarda
che non vi sia, ma con suave mano
la falcetta a portarli non sia tarda.
     235E acciò che l’altro anno non sia vano
l’arbor di frutti, fa’ che ’l pome coglie
col suo peduccio, perché gli è piú sano.
     Ancor per empier meglio le tue voglie,
fa’ che ben noti il terzo gran precetto
240(né’l maggior da mie rime si discioglie):

[p. 140 modifica]

     Abbi nel coglier tutto il tuo rispetto,
che còlti sian prima che la neve
il pome tenga in l’arbore subietto.
     Questo sol nòce tanto, e tanto è greve,
245che fa lo frutto amaro e poi lo snerva,
e l’arbor secca e fa la vita breve.
     Inteso ha’ ormai come si pianta e serva
l’arbor gentil, ch’è fra noi peregrino,
che diligenza solo lo conserva.
     250Concludo in tre versetti il mio cammino:
fa’ che li noti, e tienli ne la mente;
dirai che ai pomi aranci io sia indovino.
     «Zappa, letame et acqua primamente.
La scorza intera il ferro non offenda.
255Germini et erba fa che sia niente».
     Se ’l ciel dia vita, e terra la difenda
da li contrari venti, come è ditto,
non hai possession che piú ti renda.
     Et ora a me che tal dottrina ho scritto,
260dacché tue piante avrai cosí fornite,
non altro premio chiedo che non fitto
     amico sii, et al giardin m’invite.