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138 rime volgari


     Fàlle profonde fin sopra ’l ginocchio,
170e quattro piedi aranno di larghezza:
letame in fondo, e a questo solo abbi occhio.
     Leva la pianta poi con leggerezza,
con piú terra che pòi, né si dimene:
fa’ che sii accorto e non lo fare in frezza.
     175In mezzo de la fossa allor la tiene;
di terra secca intorno che si trova,
con letame, le fosse fa’ ripiene.
     Premi il terreno e calca e qui renova
il vaso detto, né piú sopra pone
180che quattro dita de la terra nova;
     adacqua allora e poi qui li compone
tre pali in terzo sotto le sue foglie,
che la forza dei venti non lo sprone.
     Fatto è il giardino ormai, né ancor si scioglie
185la mente de’ pensier né di fatica,
né sazie sono ancora le mie voglie.
     (Ahi nostra vita! e pur convien ch’io il dica:
ov’è il fin de li affanni, ov’è il riposo?
Chi piú schiva il pensier, pur vi s’intrica.
     190A li occhi nostri ’l ver sempre è nascoso,
fin che a l’estremo poi quella ne venga,
che ’l viver nostro ci fa sì dubioso).
     Fatto il giardino, e piú convien sostenga
continuo affanno ’l suo cultor, se vòle
195che l’aspettato frutto ne rivenga.
     (Manca a doler l’ingegno e le parole
de la nostra natura, che ha sì posto
nostro esser, che di pena mai lo tòle!)
     Dico ch’ogni anno, subito che accosto
200vede ’l monton del gran pianeta, prenda
la dura zappa, poi ch’è’l giardin tosto:
     mova la terra e sotto sopra renda,
poi, quando maggio rinverdisce i colli,
di novo a simil opra la riprenda.