Le rime di M. Francesco Petrarca/Canzone XXXIX
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CANZONE XXXIX.
Una pietà sì forte di me stesso,
Che mi conduce spesso
Ad altro lagrimar ch’i’ non soleva:
5Che vedendo ogni giorno il fin più presso,
Mille fïate ho chieste a Dio quell’ale
Con le quai del mortale
Carcer nostr'intelletto al Ciel si leva:
Ma infin'a qui niente mi rileva
10Prego, o sospiro, o lagrimar ch’io faccia:
E così per ragion convien che sia:
Che chi possendo star, cadde tra via,
Degno, che mal suo grado a terra giaccia.
Quelle pietose braccia
15In ch’io mi fido, veggio aperte ancora;
Ma temenza m’accora
Per gli altrui esempj; e del mio stato tremo;
Ch’altri mi sprona, e son forse a l’estremo.
L’un penser parla con la mente, e dice:
20Che pur'agogni? onde soccorso attendi?
Misera, non intendi,
Con quanto tuo disnore il tempo passa?
Prendi partito accortamente, prendi;
E del cor tuo divelli ogni radice
25Del piacer che felice
Nol pò mai fare, e respirar nol lassa.
Se già è gran tempo fastidita, e lassa
Se di quel falso dolce fugitivo
Che ’l mondo traditor può dare altrui;
30A che ripon’più la speranza in lui,
Che d’ogni pace, e di fermezza è privo?
Mentre che ’l corpo è vivo
Hai tu ’l freno in balia de’ pensier tuoi.
Deh stringilo or che puoi;
35Che dubbioso è ’l tardar, come tu sai:
E ’l cominciar non fia per tempo omai.
Già sai tu ben, quanta dolcezza porse
Agli occhi tuoi la vista di colei
La qual'anco vorrei
40Ch’a nascer fosse per più nostra pace.
Ben ti ricordi (e ricordar te ’n dei)
Dell’imagine sua; quand’ella corse
Al cor, là dove forse
Non potea fiammma intrar per altrui face.
45Ella l’accese; e se l’ardor fallace
Durò molt’anni in aspettando un giorno
Che per nostra salute unqua non vene,
Or ti solleva a più beata spene,
Mirando ’l ciel, che ti si volve intorno,
50Immortal', ed addorno:
Che dove del mal suo quaggiù sì lieta
Vostra vaghezza acqueta
Un mover d’occhio, un ragionar', un canto,
Quanto fia quel piacer, se questo è tanto?
55Dall’altra parte un pensier dolce e agro,
Con faticosa, e dilettevol salma
Sedendosi entro l’alma
Preme ’l cor di desio, di speme il pasce;
Che sol per fama glorïosa, ed alma
60Non sente quand’io agghiaccio, o quand’io flagro
S’i’ son pallido, o magro;
E s’io l’occido, più forte rinasce.
Questo d’allor ch’i’ m’addormiva in fasce,
Venuto è di dì in dì crescendo meco,
65E temo ch’un sepolcro ambeduo chiuda.
Poi che fia l’alma de le membra ignuda
Non può questo desio più venir seco.
Ma se ’l Latino, e ’l Greco
Parlan di me dopo la morte, è un vento:
70Ond’io, perchè pavento
Adunar sempre quel ch’un’ora sgombre,
Vorre’ il ver abbracciar, lassando l’ombre.
Ma quell’altro voler di ch’i’son pieno,
Quanti press’a lui nascon par ch’adugge;
75E parte il tempo fugge,
Che scrivendo d’altrui, di me non calme:
E ’l lume de’ begli occhi che mi strugge
Soavemente al suo caldo sereno,
Mi ritien con un freno
80Contra cui nullo ingegno, o forza valme.
Che giova dunque perchè tutta spalme
La mia barchetta, poi che ’nfra li scogli
È ritenuta ancor da ta’ duo nodi?
Tu, che dagli altri, che ’n diversi modi
85Legano ’l mondo, in tutto mi disciogli,
Signor mio, che non togli
Omai dal volto mio questa vergogna?
Ch’a guisa d’uom che sogna,
Aver la Morte innanzi gli occhi parme,
90E vorrei far difesa, e non ho l’arme.
Quel ch’i’ fo veggio, e non m’inganna il vero
Mal conosciuto; anzi mi sforza Amore,
Che la strada d’onore
95Mai nol lassa seguir, chi troppo il crede;
E sento ad or ad or venirmi al core
Un leggiadro disegno aspro, e severo;
Ch’ogni occulto pensero
Tira in mezzo la fronte, ov’altri ’l vede:
100Che mortal cosa amar con tanta fede,
Quanta a Dio sol per debito convensi,
Più si disdice a chi più pregio brama.
E questo ad alta voce anco richiama
La ragione sviata dietro ai sensi;
105Ma perchè l’oda, e pensi
Tornare; il mal costume oltre la spigne:
E agli occhi depigne
Quella che sol per farmi morir nacque,
Perch’a me troppo, e a sè stessa, piacque.
110Nè so, che spatio mi si desse il Cielo
Quando novellamente io venni in terra
A soffrir l’aspra guerra
Che ’ncontra me medesmo seppi ordire:
Nè posso il giorno che la vita serra,
115Antiveder per lo corporeo velo;
Ma variarsi il pelo
Veggio, e dentro cangiarsi ogni desire.
Or ch’i’ mi credo al tempo del partire
Esser vicino, o non molto da lunge;
120Come chi’l perder face accorto, e saggio;
Vo ripensando ov’io lassa’ il viaggio
De la man destra, ch’a buon porto aggiunge:
E dall’un lato punge
Vergogna, e duol, che ’ndietro mi rivolve;
125Dall’altro non m’assolve
Un piacer per usanza in me sì forte,
Ch’a patteggiar n’ardisce con la Morte.
Canzon, qui sono; ed ho ’l cor via più freddo,
Della paura, che gelata neve,
130Sentendomi perir senz’alcun dubbio:
Che pur deliberando, ho volto al subbio
Gran parte omai de la mia tela breve;
Nè mai peso fu greve,
Quanto quel ch’i’ sostengo in tale stato;
135Chè con la Morte a lato
Cerco del viver mio novo consiglio;
E veggio ’l meglio, e al peggior m’appiglio.