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P A R T E . | 189 |
Che dove del mal suo quaggiù sì lieta
Vostra vaghezza acqueta
Un mover d’occhio, un ragionar', un canto,
Quanto fia quel piacer, se questo è tanto?
55Dall’altra parte un pensier dolce e agro,
Con faticosa, e dilettevol salma
Sedendosi entro l’alma
Preme ’l cor di desio, di speme il pasce;
Che sol per fama glorïosa, ed alma
60Non sente quand’io agghiaccio, o quand’io flagro
S’i’ son pallido, o magro;
E s’io l’occido, più forte rinasce.
Questo d’allor ch’i’ m’addormiva in fasce,
Venuto è di dì in dì crescendo meco,
65E temo ch’un sepolcro ambeduo chiuda.
Poi che fia l’alma de le membra ignuda
Non può questo desio più venir seco.
Ma se ’l Latino, e ’l Greco
Parlan di me dopo la morte, è un vento:
70Ond’io, perchè pavento
Adunar sempre quel ch’un’ora sgombre,
Vorre’ il ver abbracciar, lassando l’ombre.
Ma quell’altro voler di ch’i’son pieno,
Quanti press’a lui nascon par ch’adugge;
75E parte il tempo fugge,
Che scrivendo d’altrui, di me non calme:
E ’l lume de’ begli occhi che mi strugge
Soavemente al suo caldo sereno,
Mi ritien con un freno
80Contra cui nullo ingegno, o forza valme.
Che giova dunque perchè tutta spalme
La mia barchetta, poi che ’nfra li scogli
È ritenuta ancor da ta’ duo nodi?
Tu, che dagli altri, che ’n diversi modi
85Legano ’l mondo, in tutto mi disciogli,
Signor mio, che non togli