Le piacevoli notti/Notte VIII/Favola II
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FAVOLA II.
Il savio e aveduto medico, quando vede una infermità doversi causare in alcun corpo umano, a conservazione sua prende quelli rimedii che li paiono migliori: non aspettando l’infermità sopravenga; e perciò che la piaga recente con agevolezza maggiore si sana che non si fa la vecchia. Così parimenti — mi perdonarete, donne, — debbe fare il marito, quando prende moglie: ciò è non lasciarla aver balía sopra di lui, acciò che, volendole poi provedere, non possi, ma l’accompagni fino alla morte: sì come avenne ad un soldato, il quale, volendo castigar la moglie, e avendo troppo tardato, pazientemente sopportò fino alla morte ogni suo diffetto.
Furon — non molto tempo fa — in Corneto, castello di Roma nel patrimonio di santo Pietro, duoi fratelli giurati, i quali non altrimenti s’amavano, che se di uno istesso ventre nati fossero: l’uno di quali chiamavasi Pisardo, l’altro Silverio: ed ambidue facevano l’arte del soldato, ed avevano stipendio dal papa. Ed avenga che l’amor tra loro fusse grande, non però abitavano insieme. Silverio, che era minore di età, non avendo governo, prese per moglie una figliuola d’un sarto, Spinella chiamata: giovane bella e vaga, ma di cervello gagliarda molto. Fatte le nozze, e menata la moglie a casa, Silverio della lei bellezza sì fattamente s’accese, che li pareva non poterle dar parangone; e le compiaceva di tutto quello che ella gli addimandava. Per il che Spinella venne in tanta baldanza e signoria, che nulla poco conto faceva del suo marito. Ed il caprone era già venuto a tal condizione, che, quando le imponeva una cosa, ella ne faceva un’altra: e quando egli diceva, vien qua, ella andava in là, e di lui se ne rideva. E perchè il minchione non vedeva per altri occhi se non per gli suoi, non ardiva riprenderla, nè al diffetto prendeva rimedio; ma a suo bel grado la lasciava far ciò che voleva. Non passò l’anno, che Pisardo prese per moglie l’altra figliuola del sarto, nominata Fiorella: donna non men bella d’aspetto, nè men gagliarda di cervello di Spinella sua sorella. Finite le nozze, e tradotta la moglie a casa, Pisardo prese un paio di bracche da uomo e duo bastoni; e disse: Fiorella, queste sono bracche da uomo; piglia tu l’un di questi, ed io prenderò l’altro: e combattiamo le bracche, qual di noi le debba portare; e chi di noi sarà vincitore, quello le porti: e chi sarà perditore, quello stia ad ubidienza del vincente. Udendo Fiorella le parole del marito, senza mettergli intervallo di tempo, umanamente rispose: Ahimè, marito, che parole son queste che voi dite? Non siete voi il marito, e io la moglie? Non debbe star la moglie ad ubidienza del marito? E come io mai potrei far tal pazzia? Portate pur voi le bracche, ché a voi più ch’a me si convengono. — Io adunque — disse Pisardo — porterò le bracche, e sarò il marito; e tu, come mia diletta moglie, starai all’ubidienza mia. Ma guarda che non cangi pensiero, nè vogli tu esser marito, e io la moglie, acciò che poi tu non ti dogli di me. Fiorella, che era prudente, confermò quanto gli aveva detto, e il marito in quel punto le diede il governo di tutta la casa; e consegnolle le robbe, dimostrandole il modo e l’ordine del viver suo. Dopo disse: Fiorella, vieni meco, chè io ti voglio mostrare e miei cavalli, ed ensegnarti come li debbi governare, quando fia bisogno. E giunto alla stalla, disse: Che ti pare, Fiorella, di questi miei cavalli? Non sono belli? Non sono ben tenuti? A cui rispose Fiorella: Signor sì. — Ma guarda — disse Pisardo — come sono maneggevoli e presti; e presa una sferza in mano, toccava or questo or quello, dicendo: Fatti qua, fatti là. Ed i cavalli, stringendosi la coda fra le gambe, e facendosi tutti in un groppo, ubidivano al patrone. Aveva Pisardo tra gli altri un cavallo assai bello di vista, ma vicioso e poltrone: e di lui poco conto teneva; ed accostatosi a lui con la sferza, diceva: Fatti qua, fatti là; e lo batteva. Ed il cavallo, di natura poltrone, si lasciava battere, non facendo cosa alcuna di quello che voleva il patrone; anzi tirava calzi or con uno piede, ora con l’altro, ed ora con ambiduo. Onde vedendo Pisardo la durezza del cavallo, prese un bastone fermo e sodo, e li cominciò pettinare la lana di maniera, che se gli stancò intorno. Ma il cavallo, più ostinato che prima, si lasciava battere, nè punto si moveva. Pisardo, vedendo la dura ostinazione del cavallo, s’accese d’ira; e messa mano alla spada, che a lato aveva, l’uccise. Fiorella, veduto l’atto, si mosse a compassione del cavallo; e disse: Deh, marito, perchè avete voi ucciso il cavallo? Egli era pur bello; egli è stato un gran peccato. Pisardo con turbata faccia rispose: Sappi che tutti quelli che mangiano il mio, e non fanno a mio modo, premio di sì fatta moneta. Fiorella, udita tal risposta, molto si contristò; e tra se medesima diceva: Ahimè misera e dolente, come sono io con costui mal arrivata! Io mi credevo aver per marito un uomo prudente; ed hommi incappata in un uomo bestiale. Guarda come per poco o per niente egli ha ucciso così bel cavallo! e così tra sé molto si ramaricava, non pensando a che fine il marito questo diceva. Per il che Fiorella s’era posta in sì fatto timore e spavento del marito, che, come mover lo sentiva, tremava tutta; e quando egli le ordinava cosa alcuna, subito l’essequiva, nè a pena il marito aveva aperta la bocca, ch’ella lo intendeva: nè mai vi era tra loro parola alcuna che molesta fosse. Silverio, che molto amava Pisardo, sovente lo visitava, e desinava e cenava con esso lui; e vedendo e modi e i portamenti di Fiorella, molto si maravigliava: e tra se stesso diceva: Dio, perchè non mi toccò la sorte di aver Fiorella per moglie, sì come l’ebbe Pisardo mio fratello? Guarda come ella governa bene la casa, e fa gli servigi suoi senza strepito alcuno. Guarda come è ubidiente al marito, e fa ciò che egli le comanda. Ma la mia — misero me! — fa tutto ’l contrario; ed usa contra di me quel peggio che usar si puole. Trovandosi un giorno Silverio con Pisardo, e ragionando di varie cose, fra le altre disse: Pisardo, fratello mio, tu sai l’amore che è tra noi: io volontieri saprei da te qual via tenuta hai in ammaestrare la moglie tua, che ti è sì ubidiente e tanto ti accareccia. Io a Spinella non posso sì amorevolmente comandare cosa alcuna, che ella ritrosamente non mi risponda; e appresso di questo fa tutto ’l contrario di quello che io le comando. Pisardo, sorridendo, puntalmente gli raccontò l’ordine e il modo che egli tenuto aveva, quando a casa la tradusse; e li persuase che ancor egli dovesse fare il simile, e veder se gli giovasse: e quando questo non gli giovasse, non saprebbe che ricordo dargli. Piacque a Silverio l’ottimo arricordo; e presa licenza, da lui si partì. E giunto a casa, senza indugio alcuno chiamò la moglie; e prese un paio delle sue bracche e duoi bastoni, e fece tanto, quanto Pisardo consigliato l’aveva. Il che vedendo. Spinella disse: Che novità è questa, Silverio, che voi fate? Che capricci vi sono sopraggiunti nel capo? Sareste mai voi divenuto pazzo? Non credete voi che noi sapemo che gli uomini, e non le donne, debbeno portare le bracche? E che bisogna ora, fuor di proposito, tal cosa fare? Ma Silverio nulla rispondeva; e continoava l’incominciato ordine, dandole la regola del governo della casa. Spinella, maravigliandosi di questo, sgrignando disse: Parvi forse, Silverio, che ancor io non sappia il modo di governar le cose vostre, che così caldamente me le mostrate? Ma il marito taceva; e andatosene con la moglie alla stalla, fece parimente di cavalli tutto quello che fatto aveva Pisardo, e ne uccise uno. Spinella, vedendo tal sciocchezza, tra se medesima pensò lui aver veramente perso lo senno; e disse: Deh, ditemi per vostra fè, marito mio: che accidenti sono questi che vi sono sopraggiunti nel capo? Che vogliono dir queste pazzie che voi fate senza considerazione? Sareste forse voi per vostra mala sorte divenuto insensato? Rispose Silverio: Io non sono impazzito, ma tutti quelli che viveno a mie spese, e non mi ubidiscono, castigo in cotal guisa come hai veduto. Accortasi Spinella del fatto bestiale del sciocco marito, disse: Ahi, meschinello voi! par bene che il cavallo vostro sia stato una semplice bestia, avendosi sì miseramente lasciato uccidere. Ma che pensiero è il vostro? pensate voi far di me quello che fatto avete del cavallo? Certo, se voi lo credete, v’ingannate molto; e troppo tardo siete stato a provedere a quello, che ora vorreste provedere. L’osso è fatto troppo duro, la piaga è ormai incancarita, nè vi è più rimedio; più per tempo voi dovevate provedere alla vostra strana sciagura. O pazzo e senza cervello! non vi avedete di quanto danno e di quanto scorno state vi sono le vostre innumerabili sciocchezze? E di questo che ne conseguirete voi? Certo, nulla. Udendo Silverio le parole della sagace moglie, e conoscendo per lo troppo amore nulla aver operato, deliberò a suo mal grado la trista sorte sino alla morte pazientemente sofferire. Spinella, vedendo il consiglio non esser stato profittevole al marito, se per lo adietro aveva d’un dito fatto a modo suo, nello avenire fece d’un braccio; perciò che la donna ostinata per natura più tosto patirebbe mille morti, che mutare la ferma sua deliberazione.
Risero assai le donne della sciocchezza di Silverio; ma molto più ridevano, quando le soveniva il duello delle bracche, qual di loro portar le dovesse; e perciò che le risa crescevano e il tempo volava, la Signora fece di atto che ogniuno tacesse, e Cateruzza con l’enimma l’ordine seguitasse; ed ella, sapendo il voler suo, così disse.
Vorrei, donne, morir con esso voi,
S’indovinar sapeste, com’è detta
La cosa mia, che tanto piace a voi:
Anzi a ciascun, che la gusta, diletta.
Ella mi dà co i dolci accenti suoi
La lingua in bocca; ed io la tengo stretta.
Ma avertite che, quando giaccio seco,
Ogni un mi può veder, se non è cieco.
L’enimma da Cateruzza recitato fu di maggior piacere, che la favola da lei raccontata; perciò che diede materia ampia di ragionare: e chi ad un modo, e chi ad un’altro l’interpretava; ma la loro interpretazione era molto lontana dal vero. Onde la prudente Cateruzza, tutta gioiosa e festevole, sorrise alquanto; e con licenza della Signora, in tal maniera l’espose: Il mio enimma altro non dinota, eccetto la piva sordina; la quale dà la sua lenguetta in bocca di colui che la suona: e tiella stretta, e diletta molto gli ascoltanti. Piacque ad ogni uno la dichiarazione del sottil enimma: e quella sommamente comendò. Ed acciò che non si consumasse tempo, la Signora ad Arianna impose che l’ordine seguisse; ed ella con gli occhi bassi, fatta prima la convenevole riverenza, in tal modo la bocchetta sciolse.