Le nozze di Tetide e Peleo
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LE NOZZE DI TETIDE E PELEO
di
CAIO VALERIO CATULLO.
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Canta la fama che gli annosi pini,
Tronchi sul Pelio, di Nettun per l’onde
D’Eëta navigassero a’ confini
4E del lontano Faside alle sponde;
Quando lo stuol fortissimo de’ Mini
Desiderosi di rapir le bionde
Auree lane di Colco, il lieve legno
8Sciogliere osaro pel salato regno.
La santa Dea che all’ardue rocche impera,
Pino a pin connettendo, avea costrutto
Il cocchio che al soffiar d’aura leggera
12Agil trasvola sul ceruleo flutto.
Essa non tacque all’animosa schiera
Le nautiche arti, onde per anco istrutto
Mortal non era; e di sua man la prora
16Spinse pe’ calli invïolati ancora.
Come gli umidi piani il rostro aperse
E sotto i remi il mar fessi d’argento,
Dalle candide spume il coro emerse
20Delle Nereidi attonite al portento.
Quel dì vago spettacolo si offerse
Alle umane pupille: a cento a cento
A fior dell’increspate acque marine
24Schierate le vezzose Oceanine.
Allor Peleo per Teti arse d’amore,
Nè Teti disdegnò nozze terrene;
Allora de’ celesti al genitore
28Di Teti e di Pelèo piacque l’imene.
Salvete, o nati a secolo migliore,
Avventurosi eroi, nelle cui vene
Corre sangue immortal! Tetide bella.
32Te madre fortunata il canto appella;
E te, splendor del Tessalo paese,
Peleo, da’ fati a sì gran nozze eletto,
A cui Giove la ninfa non contese,
36Ond’ei stesso portava acceso il petto.
Dunque è ver che co’ divi occhi ti prese
La bella Nettunina? E prediletto
Genero fosti all’Oceàn che serra
40Co’ flutti interminabili la terra?
Come, corsi più dì, l’alba prescritta
In cielo apparve, alle regali porte
Tutta Tessaglia in festa si tragitta
44E di lieti drappelli empie la corte.
Han doni in mano: l’allegrezza è scritta
Ne’ volti. Già di Sciro e della forte
Larissa, già di Tempe e di Cranone
48Riman vota ogni piazza, ogni magione.
A Farsaglia s’avvian, tutti a Farsaglia
Convengono gli sparsi abitatori.
Alla campagna alcun più non travaglia,
52Si ammorbidisce la cervice a’ tori:
Niun più pota le vigne e più non taglia
L’inutil ombra agli arbori; i lavori
Taccion ne’ solchi e rugginosi ed atri
56In disparte riposano gli aratri.
Ma nel più chiuso delle regie sedi
Tutto è luce d’argento: i vasi d’oro,
Son d’avorio i sedili, e sotto i piedi
60Calpestasi de’ re sparso il tesoro.
Locato in mezzo della Dea qui vedi
Il letto genïal, vago lavoro
D’indico dente, sovra cui distesa
64Pende coltre superba in ostro accesa.
De’ prischi eroi l’immagini e le chiare
Imprese son dipinte in quella vesta.
Cogli occhi volti al pin che via pel mare
68Porta Tesèo, coll’anima in tempesta,
Arïanna di Dia sul lido appare,
Ignara se ancor dorma ovver sia desta,
Come quella che sente e crede appena
72Sola trovarsi sull’ignuda arena.
Ma già co’ remi lo spergiuro amante
Fende i campi marini e si ritira.
Col piè sull’alga, pallida in sembiante.
76Lui da lontan la giovane rimira
Stupida e fissa a guisa di Baccante
Sculta nel marmo: guarda e non respira;
Guarda incerta ondeggiando, e del suo male
80Crudel presentimento in cor l’assale.
Già la mitra sottil dalle sue bionde
Chiome in terra è caduta: il vel disciolto
Più le nevi del seno non asconde,
84Nè più porta il bel cinto al fianco avvolto;
Vaghi fregi ch’or gioco erran dell’onde
Presso i suoi piedi. Ma del crine incolto,
Della mitra, del manto a’ flutti in preda
88Già non par che la misera s’avveda.
Teseo sol pensa: in lui sol uno ha fisse
Le luci, in lui sepolto ogni pensiero.
Ahi di che spine il core le trafisse
92La cruda madre dell’alato arciero,
Diva Ericina! E l’innocente afflisse
Nella stagion che baldanzoso e fiero
Teseo da’ porti uscì d’Atene e scese
96All’infausta magion del re Cretese.
È vecchio grido popolar, che infetta
Da crudo morbo l’infelice Atene
Col sangue de’ suoi figli a scior costretta
100Del trucidato Androgeon le pene,
Di verginelle e di garzoni eletta
Schiera mandasse alle gortinie arene,
Belli, innocenti nell’età più fresca,
104Al crudo Minotauro orribil esca.
Cotanto lutto del paterno nido
Teseo mirando, non patì l’oltraggio,
Ma giurò di morir pria che a quel lido
108Ancor l’infame pin fesse passaggio:
Salse animoso sulle navi, e fido
Il vento supplicando al suo vïaggio,
Sen venne e del magnanimo Minosse
112Alle sedi superbe appresentosse.
Come in lui volse i desïosi lumi
La regal figlia, che su casto letto
Odorato di vergini profumi
116Crescea blandita sul materno petto
Quali crescono i mirti in riva a’ fiumi
O le rose amoreggia un zefiretto,
Da lui gli accesi rai prima non tolse,
120Che fiamma spaventosa in petto accolse;
E per l’ime midolle il reo veleno
Sentissi errar degli amorosi strali.
Divo garzone, che cotante in seno
124Levi tempeste a’ miseri mortali;
E tu, regina Venere, che il freno
Reggi di Golgo e dell’Idalia, in quali
Flutti, ahimè!, travolgeste la delira
128Che del biondo stranier arde e sospira!
O quante volte svenne di paura
E si fece più pallida dell’oro,
Quando l’ardito giovanetto a dura
132Pugna scendea col formidabil toro,
Fermo di correr l’ultima sventura
O di mercarsi glorïoso alloro.
Al ciel, che tutta non udìa l’inchiesta,
136Ella voti porgea tacita e mesta.
Perocchè qual del Tauro in sulle cime
Quercia che il capo a’ venti agiti altera,
O resinoso larice sublime
140Divelto dall’indomita bufera
Cade all’ingiuso e ruinando opprime
L’ampia foresta; la biforme fera
Cotal cadeva rovesciata al piano,
144L’aure ferendo colle corna invano.
Doma cadea dalle robuste braccia
Dell’invitto Tesèo, che senza offesa
Di nobile sudor sparso la faccia
148Il piede ritraea dall’alta impresa.
Del labirinto per la cieca traccia
Con un filo reggea l’orma sospesa;
Con un candido fil, sicura aita
152De’ curvi calli a ritrovar l’uscita.
Ma dove erro lontan dal mio subbietto?
Che più dir deggio? Come la donzella
Involossi del padre al dolce aspetto
156Ed alla compagnia della sorella?
Come lasciò nel desolato tetto
La madre, che piangendo invan l’appella?
Forse dirò come a sì sante cose
160Il soave di Teseo amor prepose?
O come ascesa sul veloce abete
Di Dia sen gisse allo spumante lito?
O gli occhi avvinta di fatal quïete
164L’abbandonasse il perfido marito?
Antichissima fama ancor ripete,
Come furente pel deserto sito
Ella il cercasse; e di voci alte e tronche
168Facesse risonar l’erme spelonche.
Certa omai de’ suoi danni, in sulla vetta
Or salia d’una rupe e protendea
Lo sguardo sull’azzurra onda soggetta
172Che immensa all’orizzonte si perdea;
Or calava ne’ flutti, e semplicetta
Il lembo della veste sospendea;
Stanca ristava e singhiozzando a’ venti
176Affidava i novissimi lamenti:
«Così, poi che m’hai tolta al patrio regno
Soletta m’abbandoni in mezzo a’ mari,
Empio? Nè temi degli Dei lo sdegno?
180Nè sai quante sciagure a’ tuoi prepari?
Dunque ritrarti dal crudel disegno
Nulla ha potuto? Nè ’l membrar de’ cari
Primi giorni vissuti in tanta spene
184T’ha commosso a pietà delle mie pene?
Ah queste, no, non son, queste, o spergiuro,
Le promesse non sono d’una volta;
Non è questo quel rosëo futuro
188Che all’alma promettevi ignara e stolta;
Ma che a nido d’amor lieto e sicuro
Stata sarei nelle tue case accolta.
Sognate voluttà, vani contenti
192Che tutti si portâr per l’aria i venti.
Donna non sia, che più creda verace
Il giuro dell’amante e la promessa.
L’amante per aver quel che gli piace
196Di giurare e promettere non cessa;
Ma poi che spenta ha la sua sete e tace
La cieca voglia, che l’ardea, repressa,
De’ giuramenti più non ha paura
200E le date promesse più non cura.
Eri a morte devoto, allor ch’io venni
Con mio periglio a trarti in salvamento:
Perdere il fratel mio prima sostenni
204Che abbandonarti nel fatal momento:
In mercè della fede che ti tenni
A lupi ed avoltoi preda divento,
Lassa! nè fia chi morta mi ricopra,
208Poca polve al mio fral gittando sopra.
In quali rupi, in quai solinghe grotte
Errante leonessa il sen t’offriva?
Qual mar dall’onde in gran tempesta rotte
212Ti vomitò sulla deserta riva?
Qual Sirti, o Scilla che i navigli inghiotte,
Qual Cariddi, o crudel, ti partoriva,
Che per la vita, che t’ho salva, questi
216Render, perfido, puoi premi funesti?
Se non t’era in piacer d’avermi a sposa,
Poi che tel vieta il vecchio padre, almanco
Teco tratta m’avessi ossequïosa
220Schiava fedel che ognor ti fossi al fianco!
Sì superba non son, nè sì ritrosa
Ch’io non godessi al piè leggiadro e bianco
Apprestarti lavacri e d’un eletto
224Purpureo drappo ricoprirti il letto.
Ma perchè all’aure i miei lamenti io spargo
Ebbra di sdegno e per dolore insana?
Sorde son l’aure; e quell’infido il largo
228Ha già preso del mare e s’allontana.
Io guato intorno il solitario margo,
Nè sovra l’alghe appar sembianza umana;
Così di tanto il fato anco m’insulta,
232Che vuol ch’io muoia a tutto il mondo occulta.
Oh, non fossero mai nel dì primiero
Giunte l’attiche navi a queste bande!
Nè mai recato lo sleal nocchiero
236Avesse al Minotauro ostie esecrande!
Nè questo traditor, questo straniero
Che sotto forme grazïose e blande
Sì rei proponimenti in petto accoglie,
240Mai posto avesse il piè nelle mie soglie!
Or dove me n’andrò? Quali sentieri
Fia che additi speranza al core afflitto?
A’ monti Idei? Ma tempestosi e neri
244I flutti mi contendono il tragitto.
Dal genitore che soccorso io speri?
Dal genitor che ingrata ho derelitto
Per seguitar lo sconosciuto amante
248Che del sangue fraterno era grondante?
O che col fido amore io mi consoli,
Col fido amor di lui che m’abbandona?
Nave non veggo che di qua m’involi;
252Nudo ed immenso è ’l mar che m’imprigiona.
Io lochi qua rimiro ignoti e soli,
Erme piaggie, ove d’uom voce non suona;
Sabbia sol miro squallida, deserta,
256Chiuso ogni scampo e la mia tomba aperta.
Morrò: ma tronchi i miei vitali stami
Già non saranno, nè questi occhi miei
Si chiuderanno al sol, pria ch’io non chiami
260Alla vendetta mia tutti gli Dei.
Voi, terribili Erinni, che l’infami
Punite col fragello opre de’ rei,
Voi, cui del cor l’inesorabil ira
264Dalla fronte di serpi irta traspira,
Qua qua tosto correte: il grido estremo
Udir vi piaccia, che dall’imo core
A voi sollevo smanïando e fremo
268In preda alle mie fiamme, al mio furore.
Che se veraci sono i guai che gemo,
Fate indarno non cada il mio dolore;
Ma qual qui Teseo per obblio mi lascia,
272A’ suoi rechi e a sè stesso immensa ambascia.»
Dopochè queste voci dal profondo
Petto all’aure commise la dolente,
Accennò ’l capo il gran Rettor del mondo
276Della vendetta in segno che le assente;
Tremò la terra e l’Oceàn dal fondo
Tutto turbossi al cenno onnipotente;
Si scosse il cielo, e spaventosi lampi
280Gittâr le stelle pegli eterei campi.
Ma d’improvviso buio l’intelletto
A Teseo si coprì, che sull’istante
In altissimo obblio pose il precetto
284Che pria nel core gli sedea costante.
Promesso aveva al genitor diletto,
Tosto che al porto si vedesse innante,
Far di candide vele il legno adorno,
288Segnal della vittoria e del ritorno.
Poichè, se fama è vera, il dì che uscìa
Teseo d’Atene, Egeo, che la sua prole
Vedea de’ venti infidi irne in balìa,
292Mosse, stretto al suo sen, queste parole:
«Figlio, diletto figlio, o della mia
Sconsolata vecchiaia unico sole,
Figlio che or or tornato alla mia corte,
296Pur mandar son astretto incontro a morte,
Quando pure il mio fato e l’animoso
Tuo cor da me ti vogliono diviso,
Che non ancor lo stanco e desïoso
300Sguardo ho satollo nel tuo caro viso,
Non io partire ti vedrò gioioso,
Nè tu l’insegne vestirai del riso;
Ma pria lordo di polve i bianchi crini
304Io piangerò gli avversi miei destini.
Poi sul pino maggior del tuo naviglio
Vele vo’ porre colorate in nero
Che siano indizio, a chi vi volge il ciglio,
308Del mio dolor ch’è sì cocente e fiero.
Che se d’Itono la gran Diva, o figlio,
Che ognor di nostra schiatta e dell’impero
Fu scudo, ti darà che del nefando
312Tauro nel fianco insanguini il tuo brando;
Ricorda, o figlio, nè dal cor giammai
T’esca il mio detto: appena la nativa
Discovrirassi a’ vigili tuoi rai
316Per tanto tempo sospirata riva,
Fa’ che calino tosto i marinai
L’infausto panno; e candida e festiva
Sull’albero maggior la vela ascenda,
320Tal ch’io da lungi le mie gioie apprenda.»
Questo ricordo che sì saldo stette
Finora in mente di Tesèo, leggera
Nebbia allora sembrò, che dalle vette
324Spazzan dell’alpe i venti a primavera.
Ma ’l padre che sedeva alle vedette
Sovra una rupe, da mattina a sera
Il mar spiando con pupille immote
328E due rivi di pianto in sulle gote,
L’atteso legno come vide in prima
Con brune vele dirizzarsi al porto,
Disanimato come quei che stima
332Il figlio suo dolcissimo già morto,
Tratto di senno dall’aerea cima
Precipitossi e nel mar giacque assorto.
Allora Teseo entrò le auguste porte
336Funeste ancor per la paterna morte.
E tal di suo fallire ebbe mercede
E d’un colpo fortuna lo percosse,
Quale per sua perfidia egli già diede
340Alla vezzosa figlia di Minosse;
La qual piangendo la tradita fede
Guata la nave che pel mar già mosse,
Triste, affannata, in preda tuttaquanta
344All’immenso dolor che il cuor le schianta.
Ma d’altra parte nel tappeto aurato
Bacco volava di letizia pieno,
Dai Satiri saltanti accompagnato
348E dal suo fido vecchierel Sileno,
Te cercando. Arïanna, ed infiammato
Delle divine tue bellezze il seno.
I suoi seguaci intanto ebbri e satolli
352Per le valli trescavano e pe’ colli.
Ohè gridando, squassano i capelli:
Chi scuote il tirso: con adunche mani
Qual degli uccisi buoi strappa le pelli
356E ne disperge i sanguinosi brani;
Questi van cinti di serpenti: quelli
Ne’ dischiusi canestri i riti arcani
Stan compiendo in disparte, orgie tremende,
360Che orecchio di profani non intende.
Col pugno sollevato altri percote
I risonanti concavi timballi;
Altri desta agitando argute note
364Da’ tintinnanti tremoli metalli;
Qual poste al corno le gonfiate gote
Di lungo reboato empie le valli,
Cui del flauto barbarico si accorda
368Orribile stridor che i campi assorda.
Di sì vaga pittura e sì pomposa
Il tappeto regal sparso ridea,
Che il letto ricopria, dove già sposa
372Dormito avrebbe la leggiadra Dea.
Poi che l’accorsa gioventù bramosa
Di mirar fu satolla, il piè togliea;
Il piè toglieva riverente e muta,
376Dando loco de’ numi alla venuta.
Quale al soffiar d’un zefiro clemente
S’incalzano nel mare onde sovr’onde,
Mentre l’aurora ascesa in orïente
380Annunzia il sol che più non si nasconde;
All’alito leggier procedon lente
E con tenue romor batton le sponde;
Poi crescono col vento a poco a poco
384E splendon da lontan, come di foco:
Tal dalle soglie del regal soggiorno
Le accolte innumerabili persone
Pe’ campi si spandevano e ritorno
388Facea ciascuno alla natal magione.
Di tanta folla non sì tosto intorno
Furo sgombre le vie, primo Chirone
Dalle vette del Pelio discendea
392E doni boscherecci in mano avea.
Quanti più vaghi fiori ornan le rive;
Quanti n’educa sugli eccelsi monti
La selvosa Tessaglia o l’aure estive
396Crescon sul fresco margine de’ fonti,
Stretti in ghirlanda, delle belle Dive
Chiron portava a coronar le fronti:
Posolli appena, che d’un casto odore
400Riser beate l’intime dimore.
Venne il Penèo, che delle muse a’ cori
Abbandonava le convalli erbose
Della sua Tempe, fra sublimi orrori
404Di foresta antichissima nascose;
Alti faggi portava e dritti allori
Svelti allora dal suol, pioppe ramose,
Non senza larghi platani fronzuti
408E cipressi che al ciel poggiano acuti.
Tai piante intorno alle superbe mura
Il Dio poneva in ampio giro e spesso,
Perchè lieto d’orezzo e di verzura
412Dell’augusta magion fosse l’ingresso.
Segue Prometeo; nè di quella dura
Catena più già porta il segno impresso,
Che lo stringea, quando alla rupe affisso
416Pendea dall’alto sull’aperto abisso.
Colla consorte veneranda Giove
Scende e co’ figli dall’Olimpo: il piede,
Febo, tu solo rivolgesti altrove
420E la tua suora che sull’Ida ha sede;
Chè uguale contro Peleo ira vi move
Per le temute nuzïali tede.
Lieti gli Dei si assisero al convito,
424Che di superbe dapi era imbandito.
E sedean banchettando. Intanto chine
Per molta etade e tremolanti al canto
Dan le Parche principio. Alle divine
428Membra avvolgono intorno un bianco manto
Con roseo lembo, e portan bende al crine
Che alle nevi in candor tolgono il vanto;
La man però dall’opera non cessa
432E l’eterno lavor segue indefessa.
Regge la manca la conocchia avvolta
Di molle lana: il fil la destra ingiuso
Trae con dita supine e poi rivolta
436Torce vibrando in presti giri il fuso.
Menda nell’opra non appar che tolta
Non sia dal dente ognor; tal che per uso
Sparse le Dee di morsecchiati fili
440Mostran le labbra pallide e sottili.
Deposte a’ loro piedi ampie fiscelle
Serbano i velli della bianca lana.
E n’eran colme, allor che le Sorelle
444In voce che sonava oltre l’umana
Impresero a cantar quanto le stelle
Già fisso avean per ora non lontana.
Versi cantâr che i posteri più tardi
448In niuna parte troveran bugiardi.
«O Peleo invitto, o grande e generoso
Fermo sostegno dell’Emonio trono,
Tu che tanto pel figlio andrai famoso,
452De’ veri vaticini ascolta il suono.
Voi frattanto segnando il calle ascoso
Alle sorti che ancor nate non sono,
Aggiratevi, o fusi, e tosto ordita
456Tosto per voi sia dell’eroe la vita.
Già spunta in ciel dalle marine spume
L’astro caro ad amor: la tua diletta
All’apparir del sospirato lume
460A’ tuoi beati talami s’affretta;
E posando al tuo fianco in sulle piume
Le braccia intorno al collo ambo ti getta.
Aggiratevi, o fusi, e tosto ordita
464Tosto per voi sia dell’eroe la vita.
Mai non fur visti più giocondi amori
Rallegrar le domestiche pareti;
Nè mai fu visto più concordi cori
468Legare Amor di vincoli sì lieti,
Come i soavi vincoli di fiori
Che ’l Tessalo garzon legano a Teti.
Aggiratevi, o fusi, e tosto ordita
472Tosto per voi sia dell’eroe la vita.
Sposi leggiadri, a voi daran le sfere
Achille, l’imperterrito campione,
Cui ben sapranno le contrarie schiere
476Se dorso o petto opponga alla tenzone.
Vincitor fia che stampi orme leggiere,
Correndo colle cerve al paragone.
Aggiratevi, o fusi, e tosto ordita
480Tosto per voi sia dell’eroe la vita.
Eroe nessun di sè tanto confidi
Che gli contenda nelle pugne il vanto,
Quando vermigli pe’ troiani lidi
484Di sangue andranno Simoenta e Xanto;
E le mura abbattendo i prodi Atridi
Ilio porranno e tutta Frigia in pianto.
Aggiratevi, o fusi, e tosto ordita
488Tosto per voi sia dell’eroe la vita.
Fede pur esse di sua impavid’ alma
Faran le madri nell’immenso affanno,
Quando de’ figli sull’estinta salma
492Di cener brutto il crin discioglieranno,
E gli egri petti coll’inferma palma
Consunte di dolor percoteranno.
Aggiratevi, o fusi, e tosto ordita
496Tosto per voi sia dell’eroe la vita.
Quale ne’ campi, se tra folta biada
In sul meriggio il mietitor si mise,
Sotto la falce che la via dirada,
500Le bionde spiche cadono recise;
Tal dietro sè l’irresistibil spada
Un monte lascierà di genti uccise.
Aggiratevi, o fusi, e tosto ordita
504Tosto per voi sia dell’eroe la vita.,
De’ mille e mille che da lui fien vinti,
Coll’Ellesponto parlerà dolente
Lo Scamandro che i flutti orridi e tinti
508Volve del sangue della teucra gente;
E per l’ingombro de’ gran corpi estinti
Move più lenta al mar la sua corrente.
Aggiratevi, o fusi, e tosto ordita
512Tosto per voi sia dell’eroe la vita.
Anco sepolto interminabil guerra
Farà co’ Teucri, ancora avrà sue prede.
Allor sull’alto tumulo che il serra,
516Porre vedrassi il delicato piede
Regal fanciulla, e cader tosto a terra
Sotto il vindice ferro che la fiede.
Aggiratevi, o fusi, e tosto ordita
520Tosto per voi sia dell’eroe la vita.
Perocchè d’Ilio le gran mura appena
Rovesciate saran dal ferro argivo,
Che del tuo sangue, o bella Polissena,
524Correr farai su quel sepolcro un rivo;
Quando, qual ostia che agli Dei si svena,
Sul ginocchio cadrai di lena privo.
Aggiratevi, o fusi, e tosto ordita
528Tosto per voi sia dell’eroe la vita.
Dunque, sposi, su via, petto con petto,
Alma con alma si confonda insieme.
Ne’ suoi talami accolga il giovinetto
532La pudibonda vergine che teme,
Nè la candida Teti abbia a dispetto
Se Dea le coltri d’un mortale or preme.
Aggiratevi, o fusi, e tosto ordita
536Tosto per voi sia dell’eroe la vita.
Domani come il giorno in ciel risplenda,
Col bel nastro di prima la nutrice
Più non potrà, se a visitarla ascenda,
540Alla fanciulla cinger la cervice.
A’ nipoti pensando i lai sospenda
Anch’essa l’accorata genitrice.
Aggiratevi, o fusi, e tosto ordita
544Tosto per voi sia dell’eroe la vita.»
Tali cantando avventurosi auguri
Le nozze festeggiâr de’ divi amanti
Le veridiche Parche, a’ dì venturi
548Il vel squarciando co’ celesti canti.
O bella etade! allor solean ne’ puri
Alberghi de’ mortali i numi santi
Calar sovente dall’eterea sfera,
552Chè pietade derisa ancor non era.
Ne’ suoi fulgidi templi allor scendea
Giove ogni anno a’ bei riti, e di cavalli
E di rote volubili vedea
556Ferver di Creta i polverosi calli;
E Bacco sul Parnaso conducea
Delle sue donne scapigliate i balli,
Mentre il popol di Delfo uscendo a gara
560Onorava il gran Dio d’incenso e d’ara.
Spesso fra l’ire della pugna atroce
Marte allora si vide: e senza benda
O la regina del Triton veloce
564O la Rannusia vergine tremenda
Esortar con la mano e con la voce
Le armate schiere alla tenzone orrenda.
Ma poscia che la terra infetta e rea
568Fu di delitti e posta in bando Astrea;
Poi che del sangue del fratel vermiglio
Fessi il fratello; ed efferati i cori,
Vider la prole con asciutto ciglio
572Scendere nella tomba i genitori;
Bramò la morte dell’adulto figlio
Per passar senza biasmo a novi amori
Lo snaturato padre, ed empie e sozze
576Celebraro le madri inceste nozze;
Nè da tanto furore i penetrali
De’ domestici numi andaro intatti;
Fatto più scarso il ben; cresciuti i mali,
580Conculcate le leggi, infranti i patti;
Ben parve iniqua stanza agl’immortali
Questa terra di sangue e di misfatti.
Quindi più non vi scendono; o ritorno
584Fan tosto in ciel pria che li colga il giorno.