Venne il Penèo, che delle muse a’ cori
Abbandonava le convalli erbose
Della sua Tempe, fra sublimi orrori 404Di foresta antichissima nascose;
Alti faggi portava e dritti allori
Svelti allora dal suol, pioppe ramose,
Non senza larghi platani fronzuti 408E cipressi che al ciel poggiano acuti.
Tai piante intorno alle superbe mura
Il Dio poneva in ampio giro e spesso,
Perchè lieto d’orezzo e di verzura 412Dell’augusta magion fosse l’ingresso.
Segue Prometeo; nè di quella dura
Catena più già porta il segno impresso,
Che lo stringea, quando alla rupe affisso 416Pendea dall’alto sull’aperto abisso.
Colla consorte veneranda Giove
Scende e co’ figli dall’Olimpo: il piede,
Febo, tu solo rivolgesti altrove 420E la tua suora che sull’Ida ha sede;
Chè uguale contro Peleo ira vi move
Per le temute nuzïali tede.
Lieti gli Dei si assisero al convito, 424Che di superbe dapi era imbandito.