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Le signorine...

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LE SIGNORINE...

Se non mi decido ad aggiungervi il vecchie, o almeno il mature, non c’intendiamo più, poichè non v’è altra parola italiana che voglia significare la fanciulla che quasi arriva o che ha passata la trentina, a meno che non si ricorra alla zitellona, una parola da lasciare ai nipoti impertinenti e che col tempo non si troverà nel vocabolario che come ricordo di un tipo scomparso.

La ragazza che ha oggi trentanni, non la riconoscereste se la incontrate per la strada, e v’accade, vedendola in un salotto, di chiederle di suo marito: poichè la zitellona d’oggi, la vecchia signorina — chiamiamola con queste due parole che si correggono l’un l’altra — la vecchia signorina del giorno d’oggi conserva un’aria giovanile anche al di là dei trentanni, e quando eroicamente s’è liberata d’ogni [p. 133 modifica]speranza d’amore, piglia l’aria di una giovane signora, dignitosa e sicura di sè.

Non vantatevi, signorine, di avere più spirito delle vostre zie: ringraziate i tempi che sono mutati.

* * *

Una volta non erano un’eccezione le mammine di diciott’anni. A venticinque, la fanciulla non maritata era considerata matura,’ la mamma cominciava a disperare ed essa guardava spaurita al suo avvenire. Un triste avvenire, una povera vita era: da bambinona sempre passiva, fasciata come una mummia da mille pregiudizi che chiamavano convenienze.

L’avere quarantanni non era punto una ragione per uscir sola: bisognava essere accompagnata dalla mamma o dalla cameriera, o anche da una nipote di diciott’anni... maritata. Notate che allora vi era anche una grande diversità nel modo di vestire della signora e della signorina, sì che questa portava sul vestito il suo brevetto di disponibilità.

Alla sposa il cappellino bianco colle piume. [p. 134 modifica]di una foggia particolare; lo scialle turco, le pelliccie, il crêpe de la Chine, i velluti, le trine e i gioielli; alla zitella gli abiti freschi di mussolina o di lana, e i nastri svolazzanti: non gioielli; tutt’al più dei braccialettini... di velluto o di capelli intrecciati, o un Dieu vous garde smaltato sull’argento. Una toletta che ci fa pensare a molt’altre cose semplici e fresche che non ci sono più; ma che era però uno de’ tratti che segnavano la figura della zitellona.

Non essendoci la via di mezzo, essa era obbligata a darsi le arie di giovanetta cogli abitini chiari, quando già il suo viso era patito e la persona aveva perduto tutte le morbidezze de’ vent’anni e, quando proprio diventava ridicolo, non c’era che rifugiarsi nella semplicità senza colore e senz’arte che accentuava ancora di più le linee dure e le magrezze ascetiche.

E nella vita morale quant’altre proibizioni! L’amicizia con una signora maritata non era considerata come possibile dalle mamme di allora: l’occuparsi molto de’ nipotini, specialmente se maschi, era pure agli occhi di [p. 135 modifica]certune una cosa sconveniente; non parlo dell’occuparsi di letteratura, di impiegarsi, o di frequentare le Università, di viaggiare. Chi l’avrebbe pensato allora?

V’erano delle restrizioni perfino nella musica! Certe opere e certe romanze bisognava proprio che una ragazza avesse i capelli grigi prima di udirle e la voce fessa prima di cantarle: e nella pittura, lo studio non andava più in là della testa e delle mani. Mille cose infine le erano proibite perchè ragazza, mille altre perchè vecchia, e la sua vita diventava così un gioco di parole, una ridicola altalena fra gl’inconvenienti di due età opposte, senza che potesse mai fermarsi in quel mezzo giusto e sereno ch’era il privilegio delle maritate. E finiva lei stessa per diventare una caricatura, di quelle che fanno sorridere ma che piangono, esse.

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Non c’era pericolo che alcuno, vedendola non capisse che essa era una zitellona, e che almeno per isbaglio le arrivasse un [p. 136 modifica]complimento: la sua ingenuità vera o impostale dalle convenienze, la sua ignoranza delle cose del mondo, finivano col darle una leggera tinta di fatuità che era oggetto dei sorrisi pietosi o delle burle dei nipoti birichini, ed essa, comprendendo, diventava ritrosa o ardita, sempre sgraziata, sempre tale da allontanare, da togliere a un uomo, qualsiasi idea di farle la corte. Se era timida, spesse volle si trovava isolata anche nella sua propria famiglia, nel circolo de’ suoi amici, in quel mondo che viveva e sentiva come ella non doveva vivere e sentire.

Di qui, o le creature tranquille e rassegnate che si fossilizzavano sui telai da ricamo, o quelle che s’attaccavano alla divozione con tutta la sterile passione del loro cuore e versavano per i dolori di Cristo tutte le lacrime lungamente represse di un loro proprio segreto dolore.

C’erano però anche quelle che non perdevano le illusioni, e continuavano a pettinar alla bambina i loro capelli radi e a stringersi ne’ lunghi busti attaccando le stringhe alla maniglia dell’uscio. Esse seguitavano a ridere [p. 137 modifica]infantilmente a un complimento fatuo, nascondendo modestamente gli occhi sotto la manica bianca dal ditino prepotente che se ne stava sempre vezzosamente ritto, e a mettersi in crocchio colle giovinette, dicendo: «noi ragazze». E la loro giornata era tutto uno sbadiglio, con nna sola ora interessante: la passeggiata nei luoghi più frequentati, di fianco alla vecchia mamma, con un’aria ubbidiente c composta di signorina ammodo che potrebbe benissimo trovar un marito per la strada.

Le ragazze di spirito erano i granatieri: ma purtroppo lo spirito veniva un po’ in ritardo, verso la cinquantina; il più delle volte uno spirito liberato dalla morte della madre, oppure una reazione dopo lunghi anni di sommissione... non sempre sottomessa.

Ah! eccole a cinquant’anni padrone del mondo finalmente! di godersi la propria libertà passeggiando per le vie, portando orologio d’oro e pelliccie di martora!

Dragoni addirittura diventavano quelle che potevano amministrare un patrimonio, sfogando tutta la propria attività nel mostrare alle maritate che si sta molto meglio senza [p. 138 modifica]l’imbarazzo di un marito e di figlioli.

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I tempi sono mutati.

La parola signorina, entrata ormai nell’uso comune, conserva l’illusione di giovinezza molto più in là di quel che non fosse una volta. Noi non osiamo però, come i francesi, chiamar signorina una ragazza... di settant’anni; parrebbe una mezza canzonatura, un ricordare indiscretamente il marito che non c’è, un supporre quasi che essa stia aspettandolo ancora. Ed esitiamo a dirlo a una maestra o a una direttrice di scuola, anche se giovane, quasi che le scemasse autorità.

È però certo che quel signorina, fino a una certa età è una cortesia; e l’illusione che può procurare ha, in questo caso, tanta influenza sulla realtà da potersi dire un beneficio. C’è anche questo: che la maggior parte delle fanciulle ora si marita dopo i vent’anni, e fino allora sono così occupate de’ loro studi da non avere il tempo di sognare: arrivano così ai venticinque anni con apparenza così giovanile da [p. 139 modifica]far strabiliare il pubblico curioso che s’affolla, avido delle età, nella sala municipale de’ matrimoni.

Gli anni passano così veloci! Non si ha tempo di pensare che se ne vanno; la vita è così interessante che la ragazza spesse volte non si accorge che è passato il giorno in cui ha compito i trentanni.

Trentanni! quand’era bambina lei le parevano vecchione le ragazze di trentanni! Ora ella si guarda nello specchio e non si ritrova punto stecchita o sgraziata, no, no; non ha l’aria nè di beghina nè di granatiere. Se ripensa a dieci anni fa, si trova è vero più indonnita, ma non si dice da tutti che la trentina è la più bella età della donna? E in fondo al cuore ella non ha perdute tutte le speranze...

.... A buon conto però è meglio acconto- darsi la vita «come se il marito non ci capitasse più... Esce sola, va a prendere a scuola i nipotini, fa visite a parenti e a amiche, si gode conferenze e concerti, s’occupa di opere benefiche, legge i capolavori non più nei volumi ad uso della gioventù, e si fa condurre alle più belle commedie. [p. 140 modifica]

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La signorina, anche quella che non ha bisogno di lavorare per vivere, ha al giorno d’oggi una vita intellettuale e morale molto più libera di quel che non abbia la donna maritata. Checchè si dica, ora la signora si occupa molto più della sua casa e de’ suoi bambini di quel che non facesse una volta. Le nostre mamme ballavano e si divertivano più di noi, fidandosi nelle persone di servizio molto più di quello che — con ragione — non ci fidiamo noi. La casa seguita a diventare più confortable e ad acquistare attrattive da soddisfare ogni natura femminile, e la signora vi si piace e, se è madre, nel suo piccolo mondo regna l’incessante attività che domina in tutto il grande: e non è che ne’ ritagli di tempo ch’essa può scrivere o leggere, suonare o riprendere i pennelli.

La maggior parte delle signorine invece, quando ha messo in ordine la sua stanzina e badato alle proprie robe, riordinati i cassetti di un fratello, se c’è, ha poi tutto il tempo libero per l’amicizia e per occupazioni piacevoli. [p. 141 modifica]

Quella dolce amicizia colla donna maritata, che riesce così utile alla fanciulla! Ella può confidare i suoi sogni, le idee tristi, le fantasticherie, senza pericolo che trovi chi gliel’accarezzi troppo: essa stessa, davanti alla vita pratica e più prosaica della sua amica, si accorge che le sue idee sono sogni e che la vita va compresa diversamente.

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Esse non hanno tempo d’annoiarsi: per esse è la letteratura, la musica e la pittura, il ricamo, i lavori d’intaglio e di ceramica; ogni giorno s’inventa per esse un nuovo genere di lavoro d’ago, una nuova occupazione artistica.

E non ci sono restrizioni. Nell’arte possono versare tutta la passione che ribocca dalla loro anima e trovare così squisite e profonde soddisfazioni da non farle accorgere della loro vita senza amore. Per esse infine è la beneficenza.

Certo, ci sono fanciulle che vorrebbero ma non hanno tempo da dedicarsi a occupazioni piacevoli in casa o utili fuori... La famiglia è [p. 142 modifica]numerosa, oppure di quella modesta agiatezza cui l’arte pare un lusso, e bisogna agucchiare, tener in ordine la casa, essere l’aiuto anche dei fratelli c delle sorelle maritate, la infermiera delle cognate, la bambinaia de’ nipotini. Creature buone che non pensano mai a loro stesse, neppure per contare i loro anni.

Signorine ignoranti e vuote, che non sapranno pensare che al loro vestito nuovo e sospirare un marito, ce ne saranno sempre; ma l’istruzione che si dà oggi alle fanciulle fortifica la loro mente ed educa il loro cuore. Non maritate, ora non sono messe in disparte, ma sanno quasi divenire il perno della loro famiglia; sono esse che fanno camminar la vecchia casa mantenendovi, per così dire, giovane e attiva la circolazione, portandovi grazie alle loro relazioni col di fuori una vita intellettuale che rallegra i vecchi e rende la casa piacevole ai fratelli.

Osserviamo come le nonne d’ora, che non hanno più la cuffia e gli occhiali e non si imbacuccano negli scialli, abbiano anche meno sussiego; nonne, mamme e signorine, come hanno press’a poco lo stesso taglio di vestito. [p. 143 modifica]così nella vita si somigliano e s’accomunano in una confidente intimità.

Per questo le signorine, invecchiando, non si fossilizzano in ingenue intolleranze; comprendono il mondo, e sanno essere all’occasione il medium fra i vecchi che hanno dimenticato d’essere stati giovani, e i giovani che non pensano che diventeranno vecchi.

Esse conoscono le burrasche, i drammi della vita coniugale; sanno che anche nei matrimoni più felici ci sono nubi e sacrifici: sanno quali atroci sofferenze costa spesso alla madre la vita della sua creatura; quante cure, quante fatiche, e così spesso quanto strazio morale costa l’allevar figlioli, e se capita loro di maritarsi non accettano ad occhi chiusi: ci pensano.

* * *

Ci pensano: perchè oggi non c’è più la signorina che possa dire: non ho scopo nella vita e mi faccio una famiglia per averlo.

Oh, quanto lavoro, che grande, che vasta, che santa missione chiama tutte le persone indipendenti! [p. 144 modifica]

Io vorrei fossero a preferenza per le giovani senza marito i posti d’impiegata e di maestra, che sono spesso per le maritate a danno della scuola o della famiglia. Vorrei fossero per esse le cariche di ispettrici di asili e di scuole, di visitatrici di ospedali e di amministratrici d’istituti di beneficenza, che adempirebbero con maggior assiduità, portandovi tutto l’affetto che non possono versare in una famiglia propria.

Simpatiche, colte, operose signorine... di trent’anni, mi passano davanti alla mente, in questo momento, e vorrei fermarle qui perchè tutte le giovinette vedessero che care donnine punto infelici si può essere anche senza marito, quando si ha l’amore di studî serî, quando si ha l’animo aperto a tutte le dolci ed alte cose e il carattere preparato ad opere utili e buone.

A nessuno è possibile oggi il chiudere egoisticamente il mondo fuor dell’uscio di casa propria. Il farlo è una colpa: freme e geme di fuori una triste fiumana, e barricare la propria casa perchè non venga allagata, è accrescere il male degli altri; ciascuno di noi ha dei doveri verso quel prossimo che molta gente [p. 145 modifica]non s’accorge quanto spesso ci sia vicino.

La felicità perfetta diventa sempre più un sogno: essa s’allontana dalla vita sempre più... se ne va al di là ad aspettarci. Poichè anche quando fra le pareti della nostra casa tutto ci sorride, i dolori e le miserie crescenti del di fuori entrano a portare la loro ombra alla nostra tavola, a farci accorti che v’è del superfluo; vengono ad appannare il nostro specchio, quasi a rimproverarci le nostre vanità, vengono a scolerei in un momento di ozioso riposo quasi a chiederci conto del tempo perduto.

Chi non ha danaro, dia il suo tempo agli altri. Noi che abbiamo una famiglia nostra, siamo molte volte prese da un senso di dolore di non poterlo trovare per i mille altri doveri che la coscienza ci addita intorno.

Signorine, essi sono per voi!