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Le signorine e il loro servizio sociale

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Le signorine e il loro servizio sociale
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LE SIGNORINE
E IL LORO SERVIZIO SOCIALE

Nella sala del Gran Consiglio a Berna si riunì il Congresso dell’Alliance Nationale des femmes suisses, sotto la presidenza di Madame Campionier; e la signora Hilficher, che due anni fa aveva esposto la sua idea sui giornali di Zurigo e su Vita Femminile Italiana, presentò una proposta concreta riguardo il servizio sociale che dovrebbero prestare le signorine. Molte, troppe fanciulle della classe agiata, finiti gli studî, passano anni in quello che si chiamò ozio occupato, cioè perdendo il tempo in meticolose e monotone cure per la casa che potrebbero essere sbrigate in un’ora, quando sapessero che nella giornata le attende un lavoro più interessante; oppure sciupando la loro intelligenza in un dilettantismo artistico senza profitto e che non eleva il loro spirito; o [p. 147 modifica]tutte prese da una vita frivola che le lascia scontente.

Questa loro posizione di aspettatrici è infatti, non sappiamo se più ridicola o dolorosa. Le migliori energie si sfibrano; le attitudini e le facoltà buone si esauriscono in una vita senza scopo.

Tra l’approvazione simpatica delle donne svizzere la signora Hilficher propose dunque che, come i giovani sono chiamati al servizio militare, il quale, ella disse «educa soprattutto quelli della classe agiata a sane discipline sociali mettendoli in stretti rapporti con cittadini d’altre classi, economicamente e socialmente inferiori», così «le fanciulle fra i diciotto e i vent’anni debbano essere obbligate almeno per un anno a un servizio sociale, cioè in opere filantropiche, in cura dei malati, assistenza ai poveri, in scuole di bambini, in amministrazioni di istituti di beneficenza, secondo le attitudini».

«Non sarebbe bene, dice la signora Hilficher, che lo Stato approfittasse di queste forze non utilizzate, per l’adempimento dei tanti obblighi che per alto costo di mano d’opera non [p. 148 modifica]possono essere compiuti del tutto o soltanto insufficientemente? Mentre i figli della patria compiono il loro dovere di cittadini come soldati, non potrebbero le figlie prestare le loro forze allo Stato come aiuto nell’assistenza pubblica?»

Chi ha dapprima sorriso, udendo la proposta del servizio obbligatorio per le signorine, si fa pensoso man mano che la signora Hilficher svolge la sua idea e tutta una luce nuova rischiara la questione che si era dapprima presentata come un paradosso. Nulla svilupperebbe infatti meglio il senso del dovere e dell’ordine nella fanciulla, nulla potrebbe meglio giovare a infonderle fermezza di propositi, energia ed attività, e a renderla capace di diventare nella sua casa un membro veramente utile, anche se non potrà crearsi il suo nido.

Noi ci chiediamo però se sia veramente necessario farne un servizio obbligatorio e se tutta la bellezza di spontaneità, che ha ogni lavoro compiuto dalla gioventù con entusiasmo, non arrischi di esserne sciupata. Sia permesso a chi va da parecchi anni facendo una simile propaganda fra le signorine italiane, di [p. 149 modifica]dire come esse infatti sappiano organizzarsi e compiere un serio lavoro senza bisogno d’una legge speciale.

Il pubblico maschile colto e lavoratore, comincia ad accorgersi di questo magnifico fiorire d’intelligenze e di buone volontà femminili. Vi sono babbi che guardano e ascoltato con stupore e con fierezza le loro belle figliole che sanno tracciarsi un, programma di vita operosa, il quale non impedisce loro di essere eleganti e carine. Un soffio nuovo d’attività, d’altruismo, d’idealità, entra per merito loro nelle case della borghesia agiata e della vecchia nobiltà. Io le vedo aumentare ogni anno di numero, queste donnine forti e buone, e intorno a me esse formano ormai un reggimento.

Ancora pochi anni fa la mia scrivania traboccava di lettere che avrebbero destato il più grande stupore degli uomini se io le avessi pubblicate tutte. Alcune apparvero nelle pagine di una mia Rivista; le avevo intitolate «Saluto delle anime» ed erano le più tristi pagine di tutto il fascicolo. Poteva sembrare una posa, ed era la verità: quelle anime nuove alla vita, di fanciulle di diciotto o vent’anni, [p. 150 modifica]vibravano di un dolore tanto più intenso perchè senza causa apparente, e quindi tenuto gelosamente nascosto per paura che fosse incompreso. Anime solitarie malgrado fossero circondate da famiglie numerose; volontà scoraggiate da ostacoli tradizionali che impedivano loro di esplicarsi, virtù che si ripiegavano con un senso d’inutilità, occulte e frementi ribellioni di caratteri schietti e forti.

Che facciamo? Che siamo? È così che si deve vivere, a vent’anni? nell’età degli entusiasmi e della fioritura d’ogni dono più bello che Dio concesse all’umanità?

— No, — dissi io, madre, a quelle fanciulle. — No, non è così che dovete vivere!

E bastò così poco per dar ali a tutte quelle buone volontà prigioniere! In poche pagine che intitolai: Il vostro salario, dissi della necessità, del dovere che ogni fanciulla nata, senza alcun suo merito, in una posizione agiata, ricambiasse alla società in altrettanto amore per i diseredati, in lavoro utile ad essi, il salario che aveva ricevuto dalla Provvidenza.

Inoltre dissi della reciproca diffidenza che tiene separate le giovanette della classe agiata [p. 151 modifica]dalle giovartene lavoratrici, e come dovessero avvicinarsi per conoscersi, aiutarsi, e simpatizzare. È così che si fondò a Milano il primo Circolo di signorine che la domenica si riuniscono a operaie per leggere insieme, far musica e divertirsi. A poco a poco quella Società si trasformò in un mutuo soccorso e in una scuola, e ora inaugurò persino una villetta, ove le lavoratrici stanche ed anemiche vanno l’estate a riposarsi, e le signorine per turno tengono loro compagnia. Dalla Grigna e dalla cima del Resegone, io ricevo le loro fotografie, in cui le vedo unite come sorelle, con i visi ridenti, ombreggiati dai grandi cappelli di paglia. Quali sono le signorine senza una professione? Quali le lavoratrici? Non si distinguono, le prime sono fiere quand’io le chiamo lavoratrici anch’esse.

Dietro quel primo Circolo altri ne sorsero, nelle grandi e nelle piccole città.

Non è lavoro sociale?

In ogni città d’Italia si vedono signorine dirigere Patronati per operaie, Istituti e Opere a cui qualche anno fa si sarebbe creduta incapace anche una madre; ed esse entrano in [p. 152 modifica]Comitati di beneficenza, in Consigli di opere di protezione per le giovani, di asili infantili e ne sono anzi le vere lavoratrici.

Sono sorte in Italia Società di fanciulle che lavorano per i poveri, e che hanno compreso come ben poco merito vi è nello starsene sedute sur una poltroncina o sdraiate in giardino a far saltare il filo di lana sull’uncinetto, ma come sia necessario conoscere coi propri occhi i poveri bimbi che rivestiranno. È così che il Natale vede ai lettini degli ospedali le fresche figurine delle giovanette chinate sorridenti a far ballare le marionette davanti ai malatini. E non basta, esse hanno compreso che occorre sapere come si possano medicare, curare queste povere creaturine malate. Fare il corso di infermiera è ormai entrato nelle abitudini delle signorine italiane.

Ecco dunque che senza bisogno di leggi, esse compiranno tutte il loro servizio sociale: e con tanto maggior cuore ed entusiasmo, perchè non obbligatorio.

Ed anche — pare — con tanto maggior merito.