Le murate di Firenze/Cap. XXVIII: Quarta veduta

Cap. XXVIII: Quarta veduta

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CAPITOLO XXVIII.

Quarta veduta.

Qui anzi che mostrarti qualche cosa di meglio, incominciò a dire il buon genio, ti presento i due più gran malvagi che la terra sorregga; guardali prima che io te ne parli e li osserva.

Ritti in piedi in mezzo della stanza, e stretti l’uno accanto all’altro, parlottavano fra loro due individui, uno prete, l’altro secolare. Il prete tremava tutto come una bubbola, ed aveva scritto in fronte: l’ippocrita. Di pelle olivigna, sotto una fronte profondamente solcata da linee trasversali, sbirciava due occhi semichiusi a modo dei porci. In tutto il suo contegno dimostrava ad un accorto osservatore la finzione e la malvagità. Il secolare era un torso corpulento; schienuto panciuto, grosso, che parea una torre; in fronte avea scritto: il mestatore. Mostravano di esser coetanei in sui cinquant’anni, e di esser fra loro collegati in intima amicizia.

Ebbene, buon genio, li ho veduti, e presagisco brutte cose; ora parlate voi.

— Sono a soddisfarti: nel mio racconto chiamerò il prete Tremerello, il secolare Trippaccia. Ora ascolta.

Tremerello sortì i natali da poveri parenti di professione agricoltori. Avviato per la carriera ecclesiastica, nonostante le ristrettezze della famiglia, fu mantenuto per qualche anno in una vicina città, perchè ivi attendesse allo studio delle ecclesiastiche discipline; ma come quegli che duro era di cuore non solo, ma di cervice ancora, poco apparò e a gran fatica potè [p. 62 modifica]ottenere di essere fatto sacerdote. Fin d'allora conobbe che da’suoi meschinissimi meriti poco o nulla vi era a sperare, e che volendo ascendere qualche grado della ecclesiastica gerarchia, era duopo usare la finzione e l'astuzia. Procacciò quindi di ingrazianarsi col mostrare umiltà, docilità, pietà e zelo grandissimo: vestì fino da allora la maschera dell'ipocrisia e giurò di non deporla che dinanzi a Dio, perchè dinanzi a Lui ogni finzione vien meno.

Adulando, piaggiando, confettando quanti potevano giovarlo, spione sempre e referendario infame, tanto seppe fare il dinoccolato, che riuscì ad ottenere una parrocchia di campagna. Brutto di sembianze e in atti rozzo, non poteva correre il palio nel campo di amore, ma come quegli che per natura inclinato era a lussuria, non potè starsi di non amoreggiare, mangiò purché fosse carne, sfoiandosi con qualche vecchiaccia brutta e squarquoia. Che se talvolta colse a caso qualche rosa, ciò potè far solo approfittanao della semplicità di qualche campestre forosetta che nulla si conosceva del mondo.

Proseguì e avanzò sempre nella via dello infingimento e della ipocrisia, e calunniando tutti quelli che potevano contendergli avanzamenti, affettando uno zelo che non aveva, simulando quella cristiana religione che iniquamente contaminò, e quella evangelica carità che misconobbe sempre, di parroco di campagna passò rettore di una cura in un piccolo paese. Ogni simile, appetisce al suo simile, non prima incontrò Trippaccia che furono amici, e si collegarono assieme in lor ribalderie.

Benchè tu li sappia percorrere ora di conserto una via istessa, ben diverso fu il sentiero che in gioventù batterono. Trippaccia non fu da giovinetto un [p. 63 modifica]bastracone pingue, goffo, pesante, corpulento come or lo vedi, ma invece un fuseragnolo agile, snello, mingherlino, vivace spiritoso. Regalato da natura di un avvenente aspetto, pieno di ardenza e di brio, disoccupato, e libero da ogni rattento, scapestrò all'impazzata lussureggiando con ogni sorta di femmine. Non vi fu fiore che non cogliesse, rosa che non sfiorasse; ardito e accorto ogni rivale bravava, ogni pericolo affrontava, ogni difficoltà vinceva. Si trovò spesso a gravi cimenti, fu insidiato, inseguito dai genitori e dai mariti delle donne sedotte, ma la sorte lo assistè sempre, e potè sempre camparne la pelle.

Venne finalmente il suo castigo, la pinguetudine, il buzzo ingrossò, e divenuto allora un bacchillone nel campo di amore, lasciò questa carriera per darsi a perfidiare nella persecuziune del suo prossimo. Fece creder virtù quel che era in lui necessità, e simulando compunzione e ravvedimento, si diede al bigottismo onde meglio riuscire nei suoi perversi disegni.

Fu allora che si combinarono, si conobbero, accostarono e strinsero in intima amistà questi due scellerati. Tremerello godeva la prima dignità ecclesiastica nel paese; Trippaccia fu onorato spesso della primaria dignità civile, e così collegati poterono misfare a lor talento contro i lor dipendenti.

Eccoti in breve qual fu ed è tuttora il lor piano di guerra. Mostrare a tutti esteriormente amore, amicizia, benevolenza, e nutrir nell’animo odio, disamore malevolenza a tutti; infingere commiserazione, offrire soccorso allo sventurato, all’infelice, all’oppresso, per perseguitarlo, opprimerlo, rovinarlo, senza pietà, occultamente; penetrare con dimostranze di amorevolezza i più reconditi pensieri le intenzioni di, ognuno, per abusarne poi a di lui danno e rovina; brigar sempre [p. 64 modifica]e interessarsi in tutto simulando zelo e carità, per non lasciare che alcuno sfugga ai loro artigli, e le punture ne provi e i graffi. Stabilito e ordinato così il piano di lor malvagie operazioni, giurarono di mantenerlo sempre, e di abusare amendue di quei poveri che disgraziatamente avevano in mano, per più sicuramente e facilmente conseguire l’iniquo intento.

— Dio mio! Che mi raccontate mai? Ma è egli vero tutto quel che mi dite?

— Sappi che qui nulla si vede, nulla si dice che vero non sia, di questo puoi stame sicuro: guai se una sola bugia fosse proferita nel palazzo della Verità!

Oh mostri d'iniquità!

— Per le dignità di cui erano insigniti, per la loro attività, prontezza, avvedutezza, nello spiare e riferire, per quello zelo di religione, che seppero sempre e così bene simulare, per essersi mantenuti sempre vili assentatori, schifosi adulatori, ebbero l’appoggio, goderono la stima e l’amicizia di alcune autorità, e poteron quindi indurle allucinate, sedotte a favorire, assecondare sostenere i loro perfidi disegni. Derivava da ciò, che quanti si vedevano dalle autorità perseguitati e minacciati, ricorrevano per favori, per consigli e per aiuti a questi due malvagi, ed essi tutti accoglievano volentieri compassionandoli, e mettendogli iniquamente in sospetto e in diffidenza oneste persone, che manco per sogno pensaron mai a’lor danni. Intanto essi si protestavano sinceri amici, si dichiaravano protettori di quanti li richiedessero di lor valido appoggio, e per meglio ingannare, consegnavano anche, a cui le desiderasse, lettere aperte di raccomandazione, nelle quali facevano mostra della più sviscerata e sollecita affezione verso dei perseguitati. Ma intanto che questi [p. 65 modifica]miseri tutti contenti e ringalluzzati da essi partivansi con una lettera di favore che soprasperavano dovergli tornare a grand’uopo, essi secretameate scrivevano a quelle autorità stesse, nelle quali erano diretti i lor raccomandati, prevenendole come si sarebbero ad esse presentate persone con loro commendatizie, che avevan creduto prudente rilasciargli per evitare che contro di essi si concepissero sospetti, ma che non fosse atteso quanto in quelle scrivevano, e si ritenesse fermo, perchè vero, quanto avevano in precedenza scritto o detto. Io stesso con questi occhi che mi vedi in fronte, ho lette diverse di queste infami lettere, e so positivamente che si contennero sempre di questa guisa, che cioè mentre simulavano di impegnarsi a tutt’uomo per il bene di un infelice (bersagliato e perseguitato per detto e fatto loro) proseguivano poi occultamente a calunniarlo, a procurargli tutto il peggio che potessero mai.

Fra i tanti fatti di questo genere che potrei conferirti, uno solo te ne racconterò, e basterà a chiarirti la loro tattica diabolica. La figlia di una sorella di Trippaccia si innamorò di un giovane nato e domiciliato in un vicino paese di un altro Stato contermino, e col consenso e soddisfazione dei genitori lo ebbe a marito. Cinque o sei anni poi, questo giovine fu accusato (non ti dirò se a dritto o a torto) di premeditato omicidio. Arrestato dovè lasciare nell’angoscia la moglie e tre teneri figli, e fatto alcun tempo fu condannato a cinque anni di galera. Possessore di diversi stabili viveva egli comodamente, ma le enormi spese che dovè sostenere durante la sua procedura e carcerazione, sbilanciarono di tal guisa i suoi interessi, che ritornato in libertà si trovò ridotto ad estrema miseria. Stretto dalla [p. 66 modifica]necessità pregò lo suocero a prestargli soccorso e tutto si pose nella di lui generosità.

Lo suocero, conterazzano di Trippaccia, penetrato dalla infelice condizione del genero, offerse generosa ospitalità e ad esso e alla di lui famiglia, e poco dopo tutti li accoglieva in sua casa. Il giovane, riconoscente a tanto benefizio, procacciò di non essere per intero a carico dello suocero, aiutandosi di prestargli ogni sorta di servigi, e di promuovere nei di lui poderi la maggior rendita possibile.

Sebbene a nissuno dasse fastidio, a niuno fosse di peso, eccetto il suocero, e vivesse una vita ritirata e solitaria, non potè evitare la malevolenza di Trippaccia e di Tremerello, ai quali fu sempre di insopportabile peso la pace e la contentezza altrui. Costoro si intesero di distruggere l’opera benefica del suocero, e di contrastare al genero quel poco di pace che allor godeva, insinuando al governo di bandire dallo Stato questo straniero. Posero mano all’opera, rappresentando alle superiori autorità che questo giovane spargeva per il paese massime e sentimenti rivoluzionari e sovversivi; che la di lui permanenza in quel luogo era sommamente pregiudicievole alla pace e tranquillità dei paesani, e che era quindi prudente e provvido l’allontanarlo quanto prima fosse possibile. Le autorità al solito crederono cecamente alle calunnie di questi due iniqui, e fecero subito sentire al forestiero, che esse non potevano tollerare la di lui dimora nello Stato, se prima non si procurava l’opportuno salvacondotto del governo.

Questa inaspettata ordinanza portò la costernazione nella infelice famiglia del disgraziato giovine, e senza por tempo in mezzo, la di lui moglie si recò tutta affannosa dallo zio Trippaccia, e desolatamente [p. 67 modifica]piangendolo scongiurò a volersi impegnare per ottenere al marito il richiesto salvacondotto. Il giovane stesso, ben lontano dal sospettare tanta iniquità in costui, implorò la di lui assistenza, il di lui soccorso. Trippaccia imprecando ai detrattori e maldicenti, promise di fare tutto il possibile per scongiurare questo disastro; fece leggere al giovane le lettere che scriveva in di lui favore, e si condusse con tanta sottigliezza di infingimento, che fu creduto sinceramente addolorato della disgrazia di questa povera famiglia. Intanto, di concerto con Tremerello proseguiva a far premure, perchè, questo giovane (da essi detto pericolosissimo soggetto) fosse sollecitamente espulso dallo Stato. Le lettere che aveva fatte vedere al giovine non furono mai spedite, ma invece di quelle ne furono mandate altre che parlavano ben diversamente.

Come è a credere il Governo si negò di otriare il bramato salvacondotto, e il giovane insieme con questo rifiuto ricevè l’ordine di partire immediatamente dallo Stato. Ed ecco che questo infelice dovè lasciare un’altra volta la moglie e i figli nel pianto, ritornare in patria senza aiuti e senza speranze. Passato qualche mese, di notte tempo e più secretamente che il potè, andò a fare una visita alla sua famiglia in casa dello suocero. Trippaccia ne trapelò indizio, e fu così pronto a darne avviso all'autorità governativa, che il giovane, il quale attendeva la notte per ripartire, non fu a tempo di mettersi in salvo; fu arrestato in casa dello suocero, e dalla pubblica forza accompagnato al confine.

La di lui moglie, in seguito di questo fatto, si decise di seguire il marito assiem coi figli, soffrendo meglio di dividere con esso i disagi della povertà, che di vederlo esposto a nuovi e maggiori pericoli. Lo suocero, che volentieri sosteneva il peso di questa famigilia, [p. 68 modifica]quando l'avesse potuta tenere presso di sè, non era in grado di poterla molto giovare fuori del suo tetto, e si mostrò, e fu più ritenuto, che non sarebbe stato, nel mandarle soccorsi in denaro, perchè insinuato da Trippaccia a non favorire con indiscreta generosità l’ozio e l'accidia del genero. Così quella disgraziata famiglia, per l’opera infernale di questi due scellerati, dovè soffrire tutti gli orrori della più stretta indigenza.

— Caro genio, a questi vostri racconti io mi sento cader l'animo, e quando dovrò tornar fra gli uomini, non so più che via tenermi. Ma se l’uomo potesse vedere e leggere in cuore agl’altri ciò che essi pensano e meditano, e conoscer sempre il vero; io son d’avviso che in ventiqnattr'ore diventerebbe matto.

— O pazzia, o morte, ne sarebbero queste le fatali inevitabili conseguenze.

— Che brutta bestia è l’uomo in preda alle sue passioni! Orsù finite la storia di questi due birbanti.

— Io ti ho mostrato che il male altrui è pascolo e vita a questi due infami, ma non credere, che quando il possono, non intendano anche al loro interesse, al furto. Nei primi anni di loro amicizia nel paese venne in pericolo di morte un signore possessore di diversi buoni poderi, e padre di tre figli, due femmine e un maschio; questi era minore di età, e seguita la morte del padre sarebbe stato sottoposto a tutela. Esser tutore di un ricco pupillo, per uomini di questa risma, è sempre un campo che rende e frutta bene, perciò questi due volponi, già fra loro composti, furono al letto del moribondo, e colle lacrime agl’occhi si diedero a sospirare, luttare e disperare per la prossima perdita che dovevan soffrire dell’ottimo, del caro amico. Ora li sentivi compassionare la vedova che mancherebbe dello sposo non solo, ma di un fedele amico che la [p. 69 modifica]consigliasse e adiuvasse nel regolare, e condurre le cose di famiglia; ora deplorare la disgrazia del pupillo che sarebbe rimasto, Dio sa, in mano e alla balia di quali tutori; ora compiangere le figlie che nel loro collocamento non avrebbero avuto un occhio amorevole, attento che sorvegliasse e studiasse il soggetto, al quale si dovevano unire. Piagnucolarono tanto questi due ipocritoni, e così acceso trasporto di amore mostrarono alla famiglia del moribondo, che quando egli testò dei suoi beni e averi, dispose che questi due scellerati fossero colla vedova contutori del pupillo. Infelice! Non lo avesse mai fatto! Appena morto, i due volponi furono a consiglio per studiare e concertare i traghetti da correre onde i loro perfidi intendimenti sicuramente riuscissero a bene, e dopo lunghe disquisizioni vennero sottilmente al riciso partito, che Tremerello avrebbe presa a sostenere la parte del cicisbeo, dello spasimato, onde impegnare la vedova in amorosi pensieri e farla trasandata degl’interessi del figlio; mentre Trippaccia affettando uno sviscerato affetto al pupillo, una sollecita diligenza e precisione nell’amministrazione, si sarebbe studiato di allontanare e bandire da tutti il sospetto che si potesse intendere ed operare un tradimento, un furto.

Tremerello di buona gana imprese a compiere la sua parte, poiché trattandosi di donna matura, era quel caro cibo che gli abbracciava lo stomaco. Accortosi che la vedovuccia era smodatamente ghiotta del croccante, e che lo gradiva duro duro, accontossi con un pasticciere, e procacciò averne sempre buona provvigione. Li faceva fare a randello, e tutte le sere ne presentava la vedovetta di un bel tocco che era sempre secco stecchito. Non è a dire se la vecchiuccia se ne solluccherasse, oh la poverina! Ne era in cielo, e [p. 70 modifica]la non capiva più nella pelle, tanta era la gioia, il gaudio che l’animo le inondava.

Accettava ritrosetta il presente, ma intanto ne riconosceva l'amico con un graziosissimo sorriso; vinta dallo stimolo dell’appetito, volentieri lo abboccava addentava, e come quella che aveva tuttora i denti in bocca a meraviglia lo faceva croccare. Titillata poi, alleccornita dall’appetitoso sapore di quel dolce pastello, brandivasi tutta per lo intenso gusto, dimenavasi, contorcevasi abburattavasi balzellando come una cutrettola. Se non che rammollito lo zucchero dal tepor della saliva, dal calor della bocca, il croccante cominciava a tapefarsi e struggersi, e rinvenendo, invincidendo gradatamente impiccioliva: oh allora tu l'avessi veduta! Come soavemente, gentilmente, graziosamente lo biascicava leccandosi, crogiolandosi, sgrufolandosi infin che tutto disfatto non fosse.

Indi a compenso del ricevuto regalo invitava a cena il suo diletto, e lo confortava sempre con cibi squisiti, con vini generosi, razzenti, perchè gagliardo si conservasse e robusto a sollievo e sostegno della di lei vecchiaia. Incontrava spesso che nell'ora di cena, Trippaccia aveva bisogno di veder Tremerello, e allora la vedovuccia accarezzava in grazia del suo amico il nuovo arrivato, o la cena imbandivasi per esso pure. In quelle sere l’orgia era completa: si cioncavano, tracannavano spumeggianti e schietti vini, si trionfavano fior di vivande, scialando e sparnazzando senza misura e riserbo alle spalle del povero pupillo.

Le cose procedevano a meraviglia: la vedova era tutta presa dì Tremerello, tanto che a sol vederlo ricordava il croccante, e se ne sentiva venir l'acquolina in bocca; il pupillo, giovinetto ancora, poco vedeva e meno intendeva; immagina se quei due volponi ne [p. 71 modifica]seppero approfittare! La scena avrebbe avuta una più lunga durata se la vecchiuccia avesse agito di conserva e con secondo fine come i due imbroglioni, ma essa che sentiva solo gli impulsi del cuore, e di giorno in giorno facevasi del croccante ognor più ghiotta, e dell’idol suo più cacherosa, portò le cose allo stremo, tanto che lo scandalo fu grande, di amendue se ne levarono i pezzi, e Tremerello si trovò in brutt’acque e a serii cimenti. Una sera fra l’altre l’ebbe a buon mercato di potersela svignar gatton gattone per una porticella di sussidio, e di campar la pelle da una grandinata di sassi, che gli piovve improvvisa e fitta addosso nel mentre entrava in canonica.

Cominciarono allora alcuni a mettere in sospetto il pupillo, il quale continuamente spronato e adizzato a guardar bene il fatto suo, fece cuore, e dimandò di voler vedere qualche cosa de’ suoi interessi. Poco bastò perchè i sospetti divenissero certezze, ond’egli fatto ardito, ne fece pubbliche querele, rampognò, svergognò i due ipocritoni, i quali veduta la mala parata lo racchetarono alla meglio e lo lasciarono libero. Ma intanto si eran pappate molte cene e pranzi, e quel che meglio importa s’eran beccate fior di derrate.

Faccendieri, mestatori, affannoni, vivono tramando e ingegnando continui raggiri; e se sempre sono pericolosi e funesti, allora sono veramente esiziali quando lavorano alla coperta colla lima sorda. Però nel far male a tanti potrebbe adivenire che qualche cicala, sentendosi grattata, cantasse in vetta al palo, e sufolasse negl’orecchi dei traditi paesani ì loro malvagi e perfidi secreti, donde messi in sospetto più facilmente subodorassero e scoprissero lor trame.

— Ciò sarebbe un gran bene, e certamente avverrà, perchè chi troppo tira la corda la strappa. Ditemi, [p. 72 modifica]buon vecchio, donde viene quel muso da Giuda di Tremerello, e perchè trema egli così? — Egli è dì un paese molto di quà lontano, ma tu come toscano, ne avrai contezza; viene da Porto Santo Stefano.

— Ho inteso.

— Trema poi così in ragione dei suoi vizii; la lussuria, l’intemperanza hanno in lui prodotta una quasi totale paralisi, onde è ormai fatto impotente ad operare checchesia colle proprie mani. Dopo lunga e penosa malattia morirà costui roso e consunto dal rimorso degli innumerevoli suoi delitti, ma manco allora farà ritorno a Dio, conciossiachè il di lui cuore già da lungo tempo usato alla finzione, naturato all’ipocrisia, non saprà sinceramente compungersi e pentirsi, e fra le granfie di Satana disperato esalerà l'anima sozza. Trippaccia di goccia improvviso morrà e impenitente.

— Così Tremerello potendosi scaldare di vantaggio finirà di tremare, e il corpulento Trippaccia farà che Plutone di buon gusto rida vedendo cader nella fornace così grosso ciocco.

— Partiamo, disse il genio; perdemmo qui troppo lungo tempo e l’ora ci scatta.

Così dicendo prese cammino ed io lo seguitai.