Le avventure di Saffo/Libro III/Capitolo V
Questo testo è completo. |
◄ | Libro III - Capitolo IV | Libro III - Capitolo VI | ► |
CAPITOLO V.
La nuova crudele.
Il piacevolissimo refrigerio delle acque d’Ippocrene, e l’affettuosa e lieta ospitalità, sospendevano alquanto nel cuor di Saffo quel tirannico predominio, il quale vi aveva usurpato l’immagine di Faone. Omai ella anzi incominciava a dubitare delle predizioni di Stratonica, onde le parea potersi spegnere il di lei già in parte sopito ardore, senza acque così copiose, quanto erano quelle del mare. Nondimeno talvolta (siccome è consueto nelle passioni profonde) tutta sentiva riaccendere entro del seno la fiamma divoratrice; ma poi nuovamente, per mezzo delle occupazioni e de’ varj diletti, ritornava alla gratissima lusinga, se medesima ancora rimproverando di timida credulità alle profetiche menzogne. Rodope intanto, colla quale ella spesso, e a seconda de’ suoi pensieri apertamente ragionava, non tralasciò di esortarla a rispettare le dottrine e le predizioni della divinatrice, siccome da molti esempj comprovate veramente divine. Mentre così viveva Saffo alquanto dimentica delle sue cure in quella campestre solitudine, errava Faone nel vasto pelago lungi da quei lidi, e già spinto da’ contrarj flutti aveva vedute le sponde di Creta, e poi di Scío, e finalmente lo sforzava il vento a dirigere a quelle di Cipro involontario cammino con raccolte vele. Appariva già vicina la terra temuta, ed in vano ritorceva il timone il pallido nocchiero, perocchè la procella irresistibile trasportava il legno qual paglia leggiera al soffio di aquilone. Non appariva seno in que’ scogli infami per la memoria d’infiniti naufragj, ma in ogni parte scoscesi non offrivano luogo alcuno esente dall’imperio delle tempeste. La montuosa onda dileguandosi su quelle tetre rupi le mostrava grondanti e spumose, siccome presagio funesto di contraria fortuna; il mare turbato ripeteva i varj mesti colori del cielo caliginoso, il flutto emulava i muggíti del vento, e fra loro non si distinguevano le grida de’ nocchieri. Intanto stesi fuori tutti i remi, e curvandosi lo stuolo intiero de’ remiganti, si sforzavano i miseri di ritorcere in alto il corso, ma alla fine urtò il legno ne’ scoglj insidiosi, e in meno ch’io lo narro, fu assorto nell’onde. Apparvero quindi i naufraghi dispersi, altri luttando con la morte, altri già estinti galleggiavano, miserabil segno a quelli, che soffiavano nel flutto, confinante colle loro labbra. Due Cretesi nocchieri, più esperti degli altri nell’artificio di nuotare, sarebbero egualmente periti, se attaccandosi, per loro ventura, ad una ampia tavola, non fossero stati spinti insieme sull’arenoso lido. Ancora tremanti stringevano la tavola, non avvedutisi del fausto evento, siccome turbati dall’aspettazione della morte; ma poi vedendo lungi il flutto, si alzarono velocemente fuggendo l’onda che di nuovo incalzava, e giunti fuori del tratto di quella, si rivolsero al mare con fronte scolorita, e pupille ripiene di terrore contemplando la scena crudele dell’evitato pericolo. Primamente nell’animo loro la gioja della propria salvezza prevalse alla pietà dell’altrui morte; ma poichè videro infranti ne’ scoglj i laceri cadaveri, ed altri trasportati a ludibrio de’ venti, rimirandosi l’un l’altro mestamente, accrebbero colle loro lagrime le stille copiose, che giù da’ capelli e dalle vesti grondavano sul terreno: E quindi si avviarono entro terra maledicendo per sempre l’acque insidiose. Ma secondo l’instabilità de’ loro voti, poichè trovarono nella vicina città nuovo servigio in altro legno, ritornarono fra pochi giorni lietamente al mare tranquillo, e giunsero, non lungi dall’Etna, verso quelle medesime sponde, dove era il solitario albergo di Eutichio. Quindi ben presto a lui, che già aveva in ogni parte spediti messaggieri, giunsero le nuove del misero naufragio, nè sapeva con quali parole manifestarlo. Considerava altronde Eutichio saggiamente, che la fama avrebbe recata a Saffo tal novella, ed anco si lusingava, che siccome nauseosa, ma salubre medicina potesse, troncando ogni speranza, toglierle il veleno dal cuore. E mentre ch’egli così perplesso ritardava l’ingratissimo avviso, accadde, che Saffo, siccome talvolta soleva, trascorresse insieme con Rodope il lido, volgendo pensierosa gli occhi verso il mare, ed incontrasse que’ nocchieri; A tutti ella domandava le nuove di Faone, e però anche a questi ella le richiese, ma per sua misera curiosità. Conciossiachè intese dalle loro rozze labbra la intiera descrizione del naufragio colle più crudeli particolarità, senza raddolcimento alcuno di artificiose parole. Ed a chi mai concessero le muse uno stile così preclaro, che potesse ben esprimere lo spasimo atroce di ascoltare taluno, che narri come un volto amatissimo sia oscurato dalla morte! Da prima adunque il cuore di Saffo al suono di quelle amarissime parole languì come un fiore, su cui spiri un vento pernicioso, e poi la di lei mente descrisse a se medesima il caso cogli accidenti più luttuosi, e quindi rimase immobile su quelle arene, non dando altri segni del suo affanno, se non l’estremo pallore. Ma finalmente, simile al vicino etna, scoppiò l’interno dolore; ed ella empiva di ululati quelle sponde, rimproverando que’ nocchieri di funeste menzogne, come spinti da genio maligno ad inventarle, per recare a lei cagione infinita di sospiri. Quegli intanto maravigliandosi non meno della di lei angoscia che dello strano rimprovero, si discostarono abbandonandola, e si rivolsero al loro cammino. Allora Saffo li richiamò con miti parole, pregandoli di narrare come sapessero la sventura del garzone, ed essi attestarono di avere veduto il caso cogli occhi proprj. Mentre ella, con tanto infelice desiderio, interrogava a parte a parte le circostanze dell’orrendo naufragio, accompagnava il racconto loro con gemiti e con sospiri. Ma giunta la narrazione al misero momento, in cui urtò il legno e si disciolse, squarciò Saffo i veli, battè i piedi nelle arene, e deplorando verso il mare, esclamò: Oh! Nume ingordo ed insaziabile, come potesti ingojare qual vile alimento il più bel pregio di natura, il più leggiadro fiore di giovinezza, la più bella opera di Venere, la celeste sembianza di Faone? Rendimi, crudele Nettuno, ciò che mi hai rapito, anche in quel misero stato, in cui lo possiedi: getta su queste arene, con placido flutto, l’estinta di lui spoglia, onde abbiano almeno gli onori del rito funereo quelle membra, che mentre vissero meritavano i divini. Deh non errino galleggianti qual naufraga merce, perocchè sono meritevoli del più prezioso avello d’alabastro lucente, e de’ più fragranti balsami Egiziani! E ciò che più è crudele ad immaginarsi, mentre così la spoglia erra esposta alla barbara sentenza de’ venti nella interminabile pianura del liquido mare, geme lo spirito su la sponda di Acheronte, perchè l’inesorabile nocchiero a lui nega il tragitto negli elisi. Oimè non siate, o Numi, scortesi alle mie preghiere, quanto egli fu a’ miei sospiri; ma se da lui io nulla impetrai mentre visse, almeno io questo impetri da voi, mentr’egli è estinto, di riporre nella tomba bagnato delle mie lagrime colui, che se non era così crudele, doveva entrare nel mio talamo recinto di fiori con lieto sorriso! Che se la tua anima ignuda del corporeo velo può congetturare i miei pensieri, deh contempla la verità del mio dolore: tardi almeno pietoso ti dispiaccia vedere che ti sopravvivo, e teco in morte mi congiungi! Così dicendo si slanciò impetuosa verso il mare: l’ancella non potea seguirla o trattenerla, perchè stanca dagli anni, e però colla più intensa voce gridò chiamando i vicini nocchieri, i quali accorrendo trattennero la smaniosa donzella, che avea già tuffato nel mare un piede. Quindi sopraggiunta Rodope con sommessi ed affettuosi modi la ritrasse agli alberghi di Eutichio sempre scortata da due nocchieri, i quali ella non tralasciava di chiamare testimonj ingratissimi dell’evento lagrimevole, e messaggieri odiosi spinti in quel lido dalla malvagità di contraria fortuna.