Le avventure di Saffo/Libro II/Capitolo IX
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CAPITOLO IX.
Le ore pomeridiane.
Per quanto sieno gravi gli affanni che opprimono un’anima, non è leggiero conforto quello che proviene da un totale cambiamento di scena agli occhi lagrimosi, onde se non si acquista la calma, almeno cessa in parte l’amara ostinazione delle pene; parimenti è valevole l’altrui discreta pietà a sospenderle alquanto con amichevoli officj; quindi queste utilità riunite nel soggiorno di Eutichio, sedarono in qualche modo quell’estremo delirio che Saffo vi aveva seco portato nel cuore, nel quale anzi nasceva talvolta un dubbioso diletto nel rimirare intorno di se nuovo cielo, nuovo mare, altri uomini, altre abitazioni, costumi differenti. E ben ella comprendeva, che se fosse ivi giunta con animo tranquillo, tante erano le delizie del luogo, ed i sociali allettamenti, che non avrebbe invidiato il libero volo degli uccelli nell’aere sereno, vivendo in così piacevole albergo. Ma pure talvolta il prepotente amore turbava questa calma fallace, onde in mezzo de’ piacevoli ragionamenti, che si continuavano passeggiando per quegli ameni sentieri, le ricopriva la fronte mal nascosta mestizia, e spesso anche scendevano le lagrime a manifestarla, benchè terse furtivamente. Impallidisce il calvo nocchiero alla vista delle spumanti procelle; palpita il cuor nel seno del veterano guerriero al primo suono della tromba. Come adunque un giovine e femminile sembiante inesperto delle simulazioni, poteva nascondere quello che non può lungamente celarsi, l’indomito senso di amore? Quindi Eutichio, che per legge ospitale e per benevolenza quasi paterna, osservava nel di lei volto i moti dell’animo, la trasse in disparte lungo un’ombrosa via ricoperta da’ rami degli alberi cresciuti in retto solco, lasciando il rimanente degli ospiti ne’ fervidi colloquj già da loro intrapresi. Io vorrei in ogni modo, disse Eutichio, che questo mio soggiorno, e questi amici miei rasserenassero il tuo giovine volto, su di cui così sventuratamente amore ha distesa la funesta caligine che l’adombra. Imperocchè io non mi oppongo colla molestia di severe dottrine al disordinato impeto de’ tuoi desiderj, anzi vorrei per ogni onesto mezzo vincerli col sodisfarli, siccome la fame e la sete nè si sazia nè si estingue, se non col nutrimento e colla bevanda. Ma forse tu non sai, ch’io conosco Faone, la di cui famiglia mi è congiunta per antica ospitalità non meno che la tua, e mentre eravamo a mensa furono già da me spediti per ogni parte dell’isola opportuni messaggi, che mi recheranno avviso ovunque egli approdi; e quando in breve, com’io spero, ne avremo contezza, non avrai più destro paraninfo di me, il quale e colle parole e colle opere difenderò, quanto è permesso, i diritti del tuo cuore. Intanto ho subitamente spedito un messo a Scamandronimo, che tu hai lasciato nella vecchiezza sua pieno di lagrime, a lui manifestando, che soggiorni meco, e che avrò cura di te, come di figlia. Alle quali affettuose espressioni stette alquanto assorta nel tormentoso pensiero di avere abbandonato negli anni senili così buon genitore, ed ebbe in odio se medesima indotta da’ suoi delirj ad eccessi ignominiosi ed inescusabili, e poi rispose; Oh me indegna di rimirare la luce del cielo, posciachè l’ho resa tanto spiacevole ed oscura all’amico della mia infanzia, al sostegno della mia adolescenza, al pietoso consigliero delle mie pene, l’amato genitore! e il cielo, per rendere a me stessa più intollerabili i miei errori, fa che incontri la tua benigna ospitalità, di modo che riposta in mezzo de’ migliori conforti, rimango per mio rossore quanto mai più colpevole; nè posso che me medesima accusare, che non fui spinta a questi errori o dalla severità paterna, o da ostacolo ingiusto ed irritante, ma in me stessa risiede la cagione della mia vita omai deplorabilmente obbrobriosa! Così diceva ella, avvegnachè di tutte le circostanze della sua sventura avea nascosta ad Eutichio quella, che Venere fosse contro di lei adirata, e che Stratonica avesse profferito l’oscuro oracolo da lei richiesto. Che se da principio, palesando tutto il rimanente, trattenne nell’animo questa parte della sua avventura, temendone qualche derisione, molto più si confermò in questa renitenza, poich’ebbe uditi gli scherni contro di Encelado non impugnati da Eutichio. Egli intanto viepiù confortandola colle speranze di vincere Faone, ritornò agli ospiti radunati intorno di una fonte, alla quale tutti fissavano gli attenti sguardi colle labbra chiuse nel silenzio. Per verità, disse Eutichio, io vorrei sapere qual volume di arcana filosofia voi leggereste con tanta gravità, con quanta rimirate queste acque, le quali in un tratto hanno spento in voi gli ardori delle contese. Onde è verisimile l’accusa di questa amabile fanciulla, che alle medesime vi eccitasse in parte il vapore del vino; imperocchè osservando che queste fresche acque hanno in voi calmata la filosofica eloquenza, sembra che in voi la commovesse piuttosto la ilarità di Bacco, che la inspirazione di Minerva. Si alzarono tutti sorridendo a quel rimprovero, ed invitarono la fanciulla a sedere con loro; ed avendo ella accettato l’invito, si collocarono tutti ne’ lucidi marmorei sedili ch’erano d’intorno alla zampillante fontana. Nomofilo, a cui era grato specialmente il trattenersi con la fanciulla, si pose accanto di lei. Quindi Eutichio riassumendo la materia del ragionamento; Voi credete, disse, ospiti cortesi, che sia vano il proposto argomento, donde provenga l’attenzione colla quale si rimirano i fonti, e pure egli è meritevole, forse quanto altri gravemente discussi della vostra meditazione. Anzi io vi proporrò non meno l’altra questione che vi ha qualche corrispondenza: perchè mai nell’inverno nevoso sia tanto piacevole adunarsi intorno il domestico focolare, non solo per lo tiepido conforto dell’igneo vapore, ma forse anche più, per certo incognito diletto che la vivace fiamma desta in noi, di modo che talvolta a se richiama tutti i nostri pensieri in contemplarla. È vero, rispose Nomofilo, ma se ben si consideri quell’attenzione, altro non è che un riposo di pensieri, coll’apparenza di gravissima speculazione; e noi tutti, che quì siccome vedesti, eravamo intenti alla fonte con atti veramente degni di filosofica scuola, altri appoggiando il mento alla mano, altri ponendo la destra sulla fronte, altri colle braccia sul petto e il capo inclinato, i quali sono atteggiamenti convenevoli alle profonde meditazioni, noi tutti, ed io sarò mallevadore per gli altri, avevamo l’intelletto così vuoto di pensieri, che ciascuno troverà difficile il dirti quali erano i suoi, quantunque fosse così maestoso il silenzio. La quale asserzione non avendo alcuno impugnata; Or dunque, disse Eutichio, voi ben vedete, che se il pascere l’intelletto colla indagazione del vero, è nutrimento così grato, quanto ci promettono i filosofi, anche la indolenza de’ pensieri, e la indeterminata loro sospensione, produce una calma piacevole, di modo che abbia le sue dolcezze la stupidità, non meno de’ più sublimi ragionamenti. Oh, interruppe Saffo, pur troppo è vano l’orgoglio delle filosofiche esortazioni, se pretende vincere le angosce di un animo infelice col mezzo de’ raziocinj! Ma una fronte che mormora, gli uccelli che garriscono, il mare che sia placido, il vento che susurra, e più di tutti l’armonioso concento della musica e de’ carmi, rattemprano, almeno in parte, i più atroci dolori dell’animo nostro. E però, se un animo, privo di pensieri, è in calma, non me ne maraviglio, perchè dalle persecutrici idee provengono i tormenti del cuore. Tu sei ben più atta, disse Nomofilo, a fargli altrui provare, che a soffrirli per te medesima, o bella e speculatrice anima; ed io non so, come a questa tua fresca età, si possano formare così provetti pensieri, onde già parli di angosce interne, e desideri la calma. Forse, rispose Saffo, v’è animo così felice, che non si lagni d’involontarj pensieri? Sono anzi così frequenti, che molti procurano dimenticare se medesimi o nel tumulto de’ piaceri, o nelle vicende dell’ambizione, o ne i pericoli della gloria, o nella intemperanza de’ vizj, o nello splendore della magnificenza. Che se ricerchi taluno che goda di se medesimo, io credo che non lo troverai, se non fra’ Numi. Non fa d’uopo, disse Nomofilo, di così lungo viaggio, perocchè, o donzella amabile, quantunque così melanconica nelle speculazioni, io ti presento quello che tu ricerchi, ed egli è Eutichio. Perdona, amico ospite, disse Saffo, a te non appartiene quanto ho detto, perchè tu sei prescelto fra i saggi a vivere tranquillamente in quest’asilo della virtù. Tu me lo rendi gratissimo colla tua presenza, rispose Eutichio lietamente, e ti prego non credere che tante sieno le angosce dell’animo umano, onde sì raro sia quegli contento di se medesimo, perchè verrà tempo, io spero fra poco, che tu professerai più ilare filosofia. Così dicendo raccolse una rosa, e a lei porgendola soggiunse: Tu vedi che al più fragrante e bello de’ fiori la natura ha poste acute spine, così a’ più vivi contenti ella mesce amarissimi dolori; ma se non ti trattieni dal cogliere le rose, disgustata dalle spine, così non lascierai di procurarti gl’innocenti diletti della vita mortale, per quella mescolanza che abbiano di cure. Ed ella prendendo il fiore, rispose: Ospite giocondissimo, vi sono delle rose, le quali non compensano la molestia delle spine con alcuna soavità di fragranza o di colore; e forse tale è la mia vita. Volea dire di più, ma si trattenne per verecondia degli uditori. Eutichio rivolgendosi allora a Nomofilo disse: Non ci hai data alcuna spiegazione del piacere, con cui si mirano i fonti, ed il fuoco, quantunque ti compiaci di tutti dominarci co’ tuoi raziocinj. Sempre mi fai piacevole contesa, rispose Nomofilo, ed è mia ventura, che sia quì giunta questa fanciulla tanto ragionatrice, perchè spero, che ti condanni, malgrado l’affetto ospitale. Sappi adunque, diss’egli a Saffo, che questo Eutichio per te così cortese, è molestissimo persecutore de’ filosofici raziocinj, sostenendo, come in parte hai già inteso, che l’umana eccellenza non risieda nell’intelletto, ma nel cuore, non nella persuasione del vero, ma nelle magnanime opinioni. Per verità, disse Eutichio, io devo apprezzare l’ingenua tua fede, quando commetti tal causa a tal giudice, perchè son certo di vincerla, mentre ne fai arbitra una fanciulla, che non bilancierà di preferire il cuore alla mente. Appunto, rispose Saffo, e pochi vi saranno io credo contrarj in così illustre argomento, perocchè i pregi dell’intelletto eccitano spesso invidia, ed anco timore, siccome pericolosi, ma quelli del cuore ottengono da tutti benevolenza e lode, perchè non è dubbiosa la utilità loro. Quindi io vorrei che nella nostra pretensione intorno alla superiorità fra tutti gli animali, non insistessimo nell’esaltare le forze del nostro ingegno, posciachè in loro opera l’instinto effetti così maravigliosi, quanto non possiamo noi ottenere se non con lunghe discipline; e forse anche imparammo a tessere le tele da Aracne, la navigazione dalla Conca Nautilio, e l’uso de i remi da quella che chiamano aure marina; e le api ci dimostrano mirabil forma di repubblica forse meglio ordinata che le nostre, laddove ciò che con più evidenza distingue l’uomo, è la virtù, la quale risiede nel cuore. Quindi la beneficenza, la fede, la pietà, la grandezza d’animo, il valore, l’amor della patria, la benevolenza universale, sono que’ pregi all’uomo soltanto concessi, e per i quali soltanto è meritevole del supremo dominio. Or odi, disse Eutichio al suo competitore, qual dignità non acquista la filosofia in quelle giovani labbra, e vedi che non hai dove appellarti, perchè ti condanna un giudice da te prescelto. Anzi, rispose lietamente Nomofilo, io stimo per me favorevole tale sentenza, perchè non mai si sono così manifestati i pregj della mente umana, come in lei, che tutti ne riempie di maraviglia nel proferire tali dottrine, quali non si possono formare, se non da un intelletto partecipe de’ doni celesti. Sia come vuoi, rispose Eutichio, ella è per certo una piacevolissima fine di lite, quella in cui ciascuno è soddisfatto della sentenza. Ma pure non mi hai ancora sciolta la questione, dalla quale siamo deviati, donde provenga il diletto che si prova nella contemplazione delle fonti e del fuoco. Io credo, rispose Nomofilo, che ne sia cagione il variabile moto di quegli oggetti. Se così è adunque, andiamo noi pure in traccia di nuovo diporto mediante il moto e la varietà, avendo qui bastevolmente dimorato. Così dicendo, e già la umida notte incominciando a stendere l’ombroso velo, si ritirarono negli alberghi, dove lietamente si coricarono su i tappeti, rendendo loro più grato il riposo, di quel principio di stanchezza, che alle estreme ore del giorno provano le membra esercitate discretamente nelle occupazioni diurne.