Le Nuvole (Aristofane-Romagnoli)/Introduzione
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Le Nuvole sono una carica a fondo contro il filosofume e il nuovo spirito sofistico che invadevano Atene. La polemica seria si svolge nel contrasto fra i due Discorsi; la dimostrazione comica, nella favola, suggerita, questa volta, da un modello epicarmeo.
In una commedia del grande siciliano, un uomo un po’ grosso, assassinato dai debiti, ricorreva ad un filosofo che gli spiegava la dottrina d’ Eraclito. E, fra altre sottigliezze, gl’ insegnava (Framm. 170, 13):E così gli uomini: crescono questi, quelli van distrutti:
in perenne mutamento, in ogni attimo, son tutti.
Cambia ognuno, un solo istante non rimane tal’ e quale.
Ecco! È fatto già diverso! Questa è legge naturale.
E così, tu ed io, non èramo ieri ciò che siamo adesso;
e diversi, nel futuro, diverremo, al modo stesso.
E il neofita non udiva a sordo. A un antico creditore che esigeva il pagamento, rispondeva che quando aveva ricevuti! quattrini egli era un altro. E con analogo ragionamento scacciava, probabilmente a bastonate, un tale, invitato a pranzo il giorno avanti. I lettori han già riconosciuto in questo bifolco un antenato di Lesina, nel filosofo eracliteo una delle tante incarnazioni del sapiente, di cui abbiamo parlato nella introduzione e un predecessore del Socrate delle Nuvole. In questo non si ravvisano che poche linee, puramente esteriori, del vero Socrate: il camminare scalzo, il roteare lo sguardo. E lo stridente contrasto fra la dottrina socratica, quale risulta dai dialoghi platonici, e le teorie esposte dalla maschera aristofanesca, non può sfuggire ad alcuno. Veramente nel Fedone, Socrate dice chiaro che nella sua prima gioventù s’era occupato di quistioni metafisiche. Ma la primitiva immagine, non originale, di Socrate giovanetto, non poteva divenire né divenne mai popolare in Atene. E non meno inutile mi sembra scrutare nei vaniloqui del maestro di Lesina le tracce d’un sistema, da attribuire meglio a questo che a quel filosofo. La esposizione di Socrate non è un tutto organico. Nella parte negativa è una scelta delle più piccanti confutazioni escogitate dai filosofi naturalisti ad abbattere le superstizioni popolari intorno ai fenomeni naturali. La parte positiva pare anch’essa un’accozzaglia di varie dottrine. Troviamola vscpffiv aòyxptaic di Anassagora, la ctvv) (qui 5fvo?) di Democrito, la signoria dell’Etere e le Nubi animate di Diogene d’Apollonia. Non è improbabile che molte di queste teorie e confutazioni fossero raccolte nel libro Della Natura di Anassagora, libro che divenne popolare in Atene, ma fruttò il bando all’autore (432 a. C.). Certamente Anassagora dove’ riuscir tanto poco simpatico ad Aristofane quanto era ammirato da Euripide. E quando pensiamo alla supremazia sopra ogni cosa che le Nuvole assegnano alla mente (voO=). non possiamo non ricordare che apostolo di tal dottrina, la quale influì pur tanto sul fiorire della sofistica, fu appunto Anassagora, ’che n’ebbe il nomignolo di Mente: E Anassagora chiamano, l’eroe valido, Mente. Che per lui la mente, desta di colpo, tutte insiem le cose organò, che sconvolte erano prima. (Timone, 24 Diels). Tanto poi i filosofi, quanto la maggior parte degli intellettuali d’allora, discepoli tutti, più o meno fedeli, dei sofisti, erano, agli occhi d’Aristofane, null’altro che ciarlatani; e il nostro poeta non sa vederli che fra le nuvole. Qui il buon Trigeo, nel suo viaggio aereo, aveva scoperto due o tre poeti ditirambici: di qui, asseriva il Cinesia degli Uccelli, tolgono ogni ispirazione i poeti contemporanei. Questa immagine favorita prende rilievo e si obiettiva in figure concrete nel Coro delle Nuvole, costituito da donne nasute e cinte di veli cinerei, che simboleggiano nubi. La commedia, nella forma in cui la possediamo, è il rifacimento, forse non condotto a termine, della prima edizione, che non ebbe successo in Atene. Forse la dottrina di questo Socrate era ancor troppo elevata pel popolino. Le tracce della sovrapposizione sono evidenti. Senza entrare in minuti particolari, ricorderò la triplice ripresa della lezione di Socrate a Lesina (537; 702; 801), la duplice spiegazione della causa del tuono (435; 444 ), il brano corale (886 sg.) e la breve scenetta fra Socrate e Lesina dopo il contrasto fra ì due Discorsi, che sembrano male inquadrarsi nel contesto. E difficilmente sarà originaria la coesistenza dei due contrasti, l’uno fra il Discorso giusto e l’ingiusto, l’altro fra Lesina e Tirchippide. Il contrasto ci è già apparso nei Cavalieri, e lo troveremo in molte’altre commedie. Quello però delle Nuvole fra i due Discorsi, e l’altro fra Povertà e Scaracchia nel Fiuto, sembrano più immediatamente accennare alla origine e alla primitiva essenza di questo elemento drammatico cos! caratteristico della commedia attica. Queste due dispute ricordano altre forme letterarie volgari, che, in vari tempi e diverse regioni, si sviluppano indipendentemente, preludendo quasi sempre a qualche più ampia forma drammatica: ai Conflictus del Medio Evo, ai Débats francesi, ai Kampfgespràche di Hans Sachs, ai Contrasti insomma, che troviamo in ogni parte d’ Italia, dal Trentino e la Lombardia (Bonvesin de Riva) alla Toscana, all’ Umbria (Iacopone), alla Sicilia, a Napoli, dove, non saprei se ora, ma certo fino a poco tempo fa, se ne potevano udire in piazza. Il Carnevale romano, anche nella sua presente mortale anemia, ne conosce esempi; e sui muricciuoli si possono tuttora vedere il contrasto fra il Ricco e il Povero, fra la Morte e l’Avaro, fra il Contadino e il Cittadino. Il primo germe di questi contrasti devesi ricercare in quei canti amebei di sfida, cari ai contadini d’ogni tempo e d’ogni paese. Orazio, nell’avventuroso viaggio a Brindisi, ne gustò un saggio interessantissimo fra il nauta e il viator multa prolutus vappa. Anche la Grecia conobbe certo simili contrasti; e la farsa, che in origine, come vedemmo, frequentò più che altro le campagne, li assimilò presto, alterando, si capisce, il loro carattere, e sposandoli, pare, alla cantilena d’un flauto. Nelle Donne a Parlamento, infatti, una vecchia e una giovane si sfidano a can tare, e incominciano, botta e risposta. Ma prima, una di esse sente il dovere di scusarsi con gli spettatori se offre loro un tal vecchiume (979): Prima di me ti sei messa alle poste,. rancida vecchia? Di’, speravi forse ch’ io non ci fossi, e fare la vendemmia nella vigna deserta, e abbindolare col tuo canto qualcuno? Adesso provaci, ed io col canto ti rimbecco. Forse gli spettatori l’hanno a noia; eppure è divertente e comico. E segue il duello poetico, nella forma rudimentale che dove permaner sempre nella farsa. Ma come in Italia il contrasto si converti talora in vera e propria discussione dialettica, con sfoggio di teologia o di scienza del diritto, così nella commedia siciliana assunse carattere ampio e disquisitivo, e importanza sino a dare il titolo all intera opera: per esempio nel Lògos e Logina e nel Terra e Mare di Epicarmo. E abbiamo già letto nella introduzione il contrasto che nelle Fiere di Cratete si impegnava fra un utopista e un partigiano del progresso sociale. Or quando la commedia attica, per opera di Cratino, mise il becco nella politica, quale strumento meglio adatto per isvolgere una qualsiasi tèsi nella efficace forma del contradittorio, dell’antico contrasto, così caro al pubblico, e così sviluppato e raffinato dalla sottigliezza filosofica di Epicarmo? La nota passione degli Ateniesi per i processi contribui certo a fargli assumere quel carattere disquisitivo che tanto offende il nostro sentimento estetico nei drammi d’ Euripide. E in parte atte nendosi allo spirito di simmetria che oramai doveva incominciare a dominare il dramma attico, ma forse anche modellandosi sui dibattiti forensi, in cui le due parti avevano a disposizione uri tempo uguale, definito dalla clepsidra, i discorsi dei due contendenti si distesero per un ugual numero di versi. Circa i più minuti particolari di forma, il contrasto si modellò poi, come ogni altra parte della commedia, sul tipo della parabasi. Definitasi la forma, si gittano in essa, con procedimento che si verifica anche altrove nelle commedie di Aristofane, anche orazioni non in dibattito: tali, per esempio, l’allocuzione di Gabbacompagno, negli Uccelli, o quella di Prassagora, nelle Donne a Parlamento. Nulla però costringeva il poeta a introdurre nelle sue commedie un contrasto. Questo entra nella farsa ben prima che si fonda con essa l’inno falloforico. Ma non è punto un elemento essenziale della nuova combinazione, un sigillo della sua origine; e però può mancare. Manca infatti assolutamente in due commedie aristofanesche della prima maniera, gli Acarnesi e la Pace.