Le Mille ed una Notti/Storia del principe Habib e di Dorrat Algoase

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Storia del principe Habib e di Dorrat Algoase
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Storia del principe Habib.               Disp. XXI.

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LE


MILLE ED UNA NOTTI


NOVELLE ARABE



NOTTE CDLXVIII


STORIA


DEL PRINCIPE HABIB E DI DORRAT ALGOASE.


— Sire, la tribù de' Benou Helal (1) aveva per capo l’emiro Selama, che passava pel capitano più valoroso e sperimentato del suo tempo. Egli comandava a sessantasei tribù meno numerose, e manteneva sempre presso di sè mille cavalieri, il fiore di tutta l’Arabia.

«Benché l’emiro Selama fosse avanzato in età, non aveva ancora figliuoli, e desiderava assai d’ottenerne. Una notte ch’egli dormiva tranquillamente, gli [p. 2 modifica] parve udire una voce che dicevagli: — Avvicinati alla tua sposa; essa concepirà, e ti darà un figlio.» Selama obbedì alla voce celeste, e la sua sposa, Cantar Alaschraf (2), mise al mondo, dopo nove mesi, un figlio bello quanto la luna nella sua pienezza. L’emiro, pieno di gioia, prese il fanciullo fra le braccia, lo baciò, e chiamollo Habib od il prediletto.

«Camar Alaschraf non volle che suo figlio succiasse latte straniero, lo nutrì per due anni, ed ebbe la maggior cura della sua infanzia. Suo padre occupossi quindi della di lui educazione; fe’ venire molti maestri, scelse fra quelli che si presentarono l’uomo di maggior talento, e lo incaricò di formare il cuore e lo spirito del principino.

«Questo abile precettore seppe approfittare della felice disposizione dell’allievo; il principe imparò in breve a leggere, e vergare le sette specie di scritture più usate (3). All’età di sette anni, sapeva perfettamente la grammatica, la logica e tutte le altre scienze; avea lette le storie antiche, e conosceva la genealogia delle principali tribù arabe; sapeva a mente i versi di tutti gli antichi poeti, e ne componeva egli stesso colla maggior facilità. Suo padre fece allora riunire gli scheik di varie tribù, diede un gran pranzo, e distribuì loro magnifici regali. Tutti restarono meravigliati dello spirito e delle cognizioni del giovane principe, ed augurarono che sarebbe qualche giorno un uomo straordinario. Selama volle esperimentare davanti all’assemblea il talento del figlio pei versi, e gliene domandò alcuni. Il giovane rispose subito [p. 3 modifica] alla sfida con due versi contenenti l’elogio del padre e del maestro che avea presa cura della propria educazione. Tutta l’assemblea meravigliò della leggiadria e finezza delle espressioni, e convenne che il principe avea tanto talento per la poesia come per la prosa.

«L’emiro, tutto giubilante, abbracciò il figlio, lo strinse teneramente al seno, e diè ordine di far venire il suo maestro. Si alzò per riceverlo, lo prese per mano, e fattolo avanzare nel mezzo dell’assemblea, gli disse:

«— Dotto e saggio Abdallah, io conosco tutto il valore del servigio che mi hai reso, e m’affretto a compensarlo: ti dono quattro camelli carichi d’oro, d’argento e di cose preziose, e ti affido il comando di una tribù. Tu conosci i principii della giustizia, e formerai la felicità di quelli che saranno sotto le tue leggi.

«— Principe,» rispose Abdallah, «io non ho bisogno degli onori e delle ricchezze di questo mondo terrestre: è tempo di farmi conoscere; non sono un uomo, ma un genio. Occupava un posto distinto, e faceva giustizia in mezzo ai geni della mia specie, allorchè udii una voce celeste che diceva:

«— Va a trovare l’emiro Selama, che comanda alle tribù arabe della stirpe dei Benou Heial; abbi cura dell’educazione di suo figlio, ed insegnagli tutte le scienze.

«Obbedii a quest’ordine, mi presentai a voi, sollecitai l’onore di servir da maestro al vostro figlio, e l’ottenni. —

«Quando Selama udì quel discorso, si gettò ai piedi del genio, e gli disse: — Genio possente, ringrazio Iddio del segnalato favore che mi fece mandandovi a me. —

«Il genio fece rialzare l’emiro, volse gli sguardi verso il giovane Habib, e disse piangendo: — Se sapeste [p. 4 modifica] ciò che deve accadere a questo giovane principe quando io non sarò più a lui vicino!... — Che deva accadergli?» disse Selama con inquietudine. — Io non posso palesarvelo,» rispose il genio. Ciò detto, strinse il giovane contro il seno, mandò un grido, e disparve.

«Habib, vedendosi privo d’un maestro che tanto amava, dimostrò il suo dolore colle parole più commoventi. — Ov’è egli,» sclamava, «l’uomo al quale io debbo tutto il mio sapere? La sua perdita è per me il maggior dei mali, ed io non posso temerne altri. Come potrò vivere senza di lui? Giorno e notte la sua immagine mi sarà presente allo spirito; i miei occhi non potranno godere la dolcezza del sonno, il mio cuore sarà consumato di rammarico, ed il mio corpo affranto dall’angoscia! —

«L’emiro Selama e tutta l’assemblea prorompevano in lagrime. D’improvviso, si udì una voce pronunciar queste parole: «— Che il principe Habib non si lasci abbattere dal dolore, ma pensi a compiere i suoi alti destini; egli dovrà sostenere combattimenti e soffrire molti rovesci. È tempo, dopo aver coltivato il suo spirito, che impari ad indurar il corpo alle fatiche, a maneggiare le armi, e che si formi al mestiere della guerra. —

«Quelle parole riaccesero il coraggio del giovane. Terse il pianto, e disse al padre: — Il genio che mi aperse la carriera delle scienze m’avvertì, lasciandomi, di avviarmi in quella dell’armi; ardo già di segnalarmivi. Quant’è bello il saper maneggiare un cavallo, il servirsi destramente della lancia e della spada, l’escir vittorioso da una mischia, ed empire il mondo delle proprie gesta?

«— Mio caro Habib, • disse Selama abbracciandolo, «quanto godo di veder rifulgere in te tal ardore della gloria! Tu devi comandare un giorno alle più valenti [p. 5 modifica] tribù dell’Arabia, e sarai degno di marciare alla loro testa. Ma il mestiere dell’armi abbisogna di lungo e duro noviziato; fa d’uopo prepararsi ai combattimenti mediante tutti gli esercizi che formano un valoroso cavaliere; hai dunque bisogno d’un maestro che t’istruisca col suo esempio come coi precetti. Forse il cielo, il quale finora ebbe cura della tua educazione, terminerà egli stesso la sua opra. —

«Tutti gli scheik presenti desideravano servir di maestro al giovane Habib, e tutti cercavano, coi loro discorsi, d’attirare l’attenzione dell’emiro e fissare la sua scelta.

«In quel mentre si venne ad annunciargli che uno straniero domandava d’essere introdotto. Selama avendo ordinato che fosse lasciato entrare, lo straniero si presentò all’ingresso della tenda.

«Montava un destriero robusto d’una beltà perfetta, che sembrava superiore ai più bei cavalli dell’Arabia; la sua cotta di maglia, d’un tessuto stretto e fino, somigliava a quelle fabbricate dal profeta David (4); teneva in mano una mazza della pietra più dura, che quaranta dei più famosi guerrieri non avrebbero potuto portare; la sua larga scimitarra era lavoro d’un artista indiano, e la sua lancia fabbricata dal famoso Semher (5). Salutò graziosamente l’emiro e quelli che lo circondavano, smontò leggermente da cavallo, prese posto nell’assemblea, e volse così la parola a Selama:

«— La professione dell’armi ebbe sempre attrattive per me; ho acquistata qualche esperienza nei [p. 6 modifica] combattimenti, e vengo a farvene omaggio, ed offrire mie lezioni al principe Habib. Conosco che posso sembrar temerario sollecitando l’onore di servir da maestro a vostro figlio; ma se volete permettere di cimentarmi con voi, forse non mi stimerete indegno di questo posto glorioso. —

«Gli scheik vicini a Selama vollero impedire che accettasse la tenzone proposta dallo straniero, e gli rappresentarono ch’era forse un cavaliere malvagio e scortese, oppure qualche genio geloso della sua riputazione, il quale sperava vincerlo, usando l’astuzia e la perfidia. L’emiro, sprezzando il timore che voleano incutergli, rispose così:

«— Bravo cavaliere, la nobiltà del vostro contegno, la franchezza e lealtà dei vostri discorsi, m’annunciano ch’io posso, senza disonore, accettare la sfida che mi proponete. —

«Selama ordinò tosto che gli si recassero le sue armi; si rivestì d’una cotta di maglia fina ed alla prova quanto quella dello straniero, prese una scimitarra capace di fendere una roccia, una lancia lunga trenta cubiti, che poteva rovesciare una montagna, e si fe’ quindi condurre il migliore de’ suoi cavalli.»

NOTTE CDLXIX

— Tutta la tribù esci dalle tende per vedere la zuffa. I due campioni scendono in lizza come due furibondi leoni; s’allontanano dapprima, e si precipitano quindi l’un sull’altro colla celerità del [p. 7 modifica] lampo; le loro lance non possono resistere alla violenza dell’urto, e volano in pezzi. I due guerrieri non sono scossi dal terribile incontro, ed impugnano tosto il brando. I colpi son portati e parati da una parte e dall’altra con tal celerità che l’occhio stenta a seguirli; attaccansi, si stringono, s’evitano, fuggono a vicenda: l’aria rimbomba del fragor dell’armi; un nembo di polve avvolge i combattenti.

«L’emiro non tardò a conoscere d’aver da fare con un avversario non a lui inferiore; non giudicò opportuno di spingere più oltre la prova, e fe’ segno allo sconosciuto di desistere dalla mischia. Questi, smontato da cavallo, si gettò ai piedi dell’emiro, egli disse:

«— Se proposi un combattimento all’emiro Selama, non fu per la speranza di vincerlo; desiderava soltanto di non sembrare indegno del posto che sollecito presso suo figlio.

«— Prode cavaliere,» rispose l’emiro, «non ho mai incontrato un formidabil rivale come voi; voleva soltanto da me stesso provare il valore dell’uomo che darò per maestro a mio figlio, e son lieto di poterlo consegnare in mani come le vostre. —

«Ciò dicendo, l’emiro fe’ segno al giovane d’abbracciare lo sconosciuto. Il principe, pieno d’ammirazione per la maestria ed il valore mostrati da quel cavaliere, volò nelle sue braccia, e ne chiese il nome.

«— Mi chiamo Alabus (6),» rispose il cavaliere. — Questo nome,» ripigliò il giovane con vivacità, «non potrebbe essere se non contro la verità, imperocchè, lungi dal sembrar austero e di cattivo umore, come sembrerebbe indicare il vostro nome, riunito [p. 8 modifica] tutto ciò che può piacere, e sento già molta affezione per voi. —

«Alabus sorrise, e strinse al seno il principe, che lo prese per mano e non l’abbandonò più.

«— Cavaliere,» disse l’emiro, «mio figlio troverà in voi un altro me stesso; spero che approfitterà degnamente delle vostre lezioni, e diventerà il più valoroso dei nostri guerrieri. — Farò il possibile,» rispose Aiabus, «e sono già sicuro dell’esito. —

«Il giovane Habib s’applicò con ardore a tutti gli esercizi del corpo. Il suo maestro a poco a poco lo indurava alla fatica; il suo coraggio e la sua destrezza crescevano colla forza; ogni giorno faceva nuovi progressi, ed in breve diede luminose prove del suo valore nelle guerre che il padre dovea sostenere contro le vicine tribù. Traversava di notte i deserti, piombando d’improvviso sui nemici; sfidava alcune volte i più valorosi, ed esciva sempre trionfante da que’ conflitti. La sua rinomanza erasi già estesa ben lungi, e passava pel più valente cavaliere del mondo.

«Il cavaliere, o piuttosto il genio incaricato d’insegnare al principe il mestiere dell’armi, doveva abbandonarlo, appena finita la sua missione; Alabus, vedendo che il principe non aveva più bisogno delle sue lezioni, gli disse un giorno, mentre passeggiava a cavallo con lui nella campagna:

«— Figlio, v’è noto che dovete sopportare assai fatiche, correre molti pericoli, ma ignorate qual deve essere il premio di tanti travagli; codesto premio è la bella Dorrai Algoase (7), che regna sulle migliaia d’isole situate all’estremità dell’Oceano, ed abitate ad una volta dai geni e dagli uomini. Queste due schiatte vivono insieme sotto le sue leggi colla miglior intelligenza, [p. 9 modifica] ed amano ugualmente la loro regina. Ella ha due visiri, uno della stirpe dei geni, l’altro di quella degli uomini, i quali fanno ambedue giustizia ai loro simili. Vari geni ricercano ardentemente la mano della regina; ma la vostra rinomanza e le vostre gesta le hanno ispirato per voi l’amore più ardente. Ella sa bene che molti ostacoli s’oppongono a tal unione, e che anzi tutto bisogna conquistare le armi dei gran Salomone, celate nelle caverne del Caucaso; ma spera che ne trionferete col vostro coraggio, e che non dubiterete d’abbandonare la famiglia e la patria, per cercare i luoghi ov’ella risiede.— «Quel discorso intenerì il cuore del principe, ne infiammò il coraggio, e pregò il maestro a fargli meglio conoscere la donna che sola poteva formare ormai la sua felicità. Alabus acconsentì, e gli raccontò di tal modo la storia di Dorrat Algoase:



Note

  1. Questa tribù abitava un cantone fertile di palmizi, fra Medina e Cufa.
  2. Nome che significa la luna dei nobili.
  3. Nel primo volume delle Mille ed una Notti, Notte XLVIII, parlasi di sole sei sorta di scritture. Eccone i nomi, tratti dal manoscritto di Galland, il quale stimò doverli ommettere; Calam alricaa, calam almahaccac, calam alrihan, calam alnaskh, calam altholth, calam altoumar.
  4. Si legge nel Corano che Dio ammolliva il ferro sotto lo dita di Davide (Daoud), e che faveva corazze fittissime. (Veggasi surate 34, vers. 10.) Queste corazze si chiamavano, per tal cagione, daoudi.
  5. Nome d’un operaio che fabbricava ottime lance.
  6. Questo nome significa, in arabo, uomo d’aspetto arcigno, di mal umore, come si vedrà in seguito. E’ opposto nel lesto alla parola dhahouk, d’aspetto ridente, allegro.
  7. in arabo, Dorrai Algawwas, la perla dei marangone.