Le Grazie (1856)/Ragion poetica
Questo testo è completo. |
◄ | Avvertenza | Inno primo | ► |
diressero, in gran parte divulgate per la stampa. Ma più intima, calda e generosa fu l’amicizia che la legava al Foscolo, al quale sempre, ma più specialmente nei giorni della sventura, fu liberale di conforti, di consigli e di ogni altro possibile aiuto con singolarissima delicatezza.1 E benefica, e saggia consigliatrice al bene, lei pure provarono altri non pochi; tantochè fra gli uomini saliti poi in Toscana ai più elevati gradi del potere ve ne ha taluno, cui non può essere grave la rimembranza e di avere avuto con lei amicizia, e di aver seguito nei migliori anni le sue esortazioni.
Quantunque poi in Firenze la sua casa fosse di frequente rallegrata da musicali concerti, abbelliti dal canto delle donzelle più egregie nell’Arte, nè la nativa sua gaietà, nè la vita piacevole e lieta, nè il culto delle Lettere e delle Muse le fecero mai trascurare il severo incarico da lei assunto, di guidatrice della famiglia, di amministratrice delle sostanze del Consorte. E siccome queste per non piccola parte consistevano in beni di suolo, così per parecchi mesi dell’anno ritraevasi in villa, affine di vigilare le campestri faccende, a cui seppe pur vacare con sì intelligente solerzia che li aumento; e di alcuni perfezionamenti agrarj indotti pe’ suoi auspicj nella cultara di quei fondi rustici fu favellato con lode dal Giornale Agrario Toscano. Serbando in cuore la immortale speranza dell’italico risorgimento, dopo il 1830 più di proposito si diede a migliorare le condizioni del popolo minuto, e fu delle prime a favorire gli Asili per la infanzia; e con quell’ardore e quella perspicacia che le furono proprj, per molti anni infaticabilmente sostenne le molte cure, le quali, particolarmente sul principio, quella pietosa Istituzione esigeva: ed anco sopra di essa, non meno in vita che in morte, versò le sue pecuniarie beneficenze.
Tale fu l’egregia Donna circa le doti dell’animo, che non andarono disgiunte in lei da quelle del corpo, l’avvenenza e la grazia; cosicchè bene per ogni titolo fu degna di essere prescelta dal destino a por mano la prima alla restaurazione del Carme amabile e famoso.
Oh, le fosse stata consentita anco la consolazione di rileggerlo nella forma attuale! Ma appena erano state emendate tutte le prove di stampa dell’Inno primo, ella cominciò a sentirsi fieramente aggravata da un incomodo negli organi digestivi che da qualche tempo la travagliava, e mi pregò che affrettassi la pubblicazione del desiderato libro, altrimenti presentiva, mi disse, che avrebbe avuto quella gioia solo dopo essersi ricongiunta allo spirito d’Ugo. Feci di tutto per compiacerla: ma invano; chè, cresciuto ruinosamente l’acerbo malore, ella con animo fermo e sereno, quantunque straziata da acutissimi dolori, assistita da’ suoi, ai quali poco prima di spirare disse le estreme parole di consiglio e di amore, termiŋò la vita la mattina del 3 di luglio 1847. I suoi avanzi riposano nei chiostri di Santa Maria Novella. — Oh, possa, a compenso di quell’onesto e incompiuto desiderio, la soave rimembranza di lei non mai disgiungersi dalla mente di chi corrà diletto dal Carme le Grazie, come la rimembranza di Ugo Foscolo non sarà mai cancellata, dal cuore di ogni verace Italiano!
- Pisa, a ìi 15 novembre 1848.
F. S. Orlandini
RAGION POETICA
E SISTEMA GENERALE
DEL CARME LE GRAZIE
ESPOSTI DALL’AUTORE.
Scrivendo questo ed altri Poemi lirici, l’Autore ebbe tre intenti diversi, i quali unitamente concorrono al fine essenziale della Poesia, d’istruire dilettando.
Egli intese di ricondurre l’arte lirica a’ suoi principj; di eccitare velocissimamente nel cuore molti e varj affetti caldi ed ingenui, da’ quali scoppi il vero ed il bello morale: e questi presentando alla memoria vestiti di splendore e di armonia, fare che sieno accolti più facilmente, e serbati con più amore e più tenacità nelle menti.
Tante tradizioni, ma si diverse a un tempo, vennero a noi dagli antichi intorno alle Grazie, che il Poeta non ha potuto, se non tal rara volta, giovarsene; e, volendo pur cantare quelle amabili Deità, gli è bisognato crearsi un sistema tutto suo. Se non gli venne fatto a dovere, avrà, non foss’altro, la compiacenza d’aver tentato di sodisfare al debito, oggimai negletto, del poeta.
Per ciò che spetta all’arte da lui seguita, egli già fece la sua professione nelle note che accompagnano il Carme de’ Sepolcri, dicendo: «Ho desunto questo modo di poesia da’ Greci, i quali dalle antiche tradizioni traevano sentenze morali e politiche, presentandole non al sillogismo de’ lettori, ma alla fantasia ed al cuore.» E nella versione dello stesso Carme fatta e pubblicata da Girolamo Federigo Borgno, il traduttore espose questo metodo in una dissertazione latina, la quale leggesi volgarizzata in una edizione di quel Poemetto. Però basterà a’ lettori di dire, che il fondo del Carme le Grazie è didattico, ma lo stile è fra l’epico e il lirico: perciocchè, se il raccontare una serie di avvenimenti è ufficio del puro epico, l’entusiasmo del Poeta li trasforma in altrettante pitture l’una differente dall’altra e§ formanti un tutto, che, come nelle poesie liriche, il lettore può comprendere, non tanto nel ricordarsi i fatti narrati, quanto nel rappresentarsi vivamente le imagini e gli affetti che ne resultano.
A taluni dispiacerà forse questa novità di mescolare il didattico, l’epico e il lirico in un solo genere, nè l’Autore desidera di esserne scolpato dice soltanto che ciò non è novità, perchè gl’Inni attribuiti ad Omero, quei di Callimaco, le più lunghe Odi di Pindaro, che, per esser narrative, sono le più belle, il Poema di Catullo sulle nozze di Teti e Peleo sono per l’appunto misture de’ tre generi; e tale fu forse la prima poesia. E, per citare un maestro più autorevole a’ critici, tale è il Carme da Virgilio intitolato Sileno, ove con nuove vivissime imagini espone il sistema epicureo nel canto del vecchio Dio; e tali quegli squarci ove narra le favole di Pasifae e di Tereo, vittime delle passioni sfrenate che turbano la tranquillità dell’animo, il calmare le quali è l’unico scopo della filosofia di Epicuro. Il velo misterioso della citata Ecloga,2 oscuro a tutti i professori di letteratura, fu tolto sapientemente dall’ab. Antonio Conti, filosofo le cui riflessioni, se fossero lette, farebbero vergognare solennemente la moltitudine de’ Poeti, i quali disperdono il loro ingegno ad un tempo umile e vano, e avviliscono l’arte, e la rendono inutile.
Lo stile dunque dell’Autore del Carme le Grazie è un misto di quello degl’Inni sacri di cui l’antichità credeva maestro Anfione, delle Odi di Pindaro e della Poesia latina, quale nella sua grazia nativa si trova spesso in Lucrezio e in Catullo: e dal latino e dal greco idioma insieme derivarono quegli spiriti che da lui trasfusi ne’ suoi versi italiani, dànno loro un sapore forse nuovo; benchè nel tempo stesso ei professi di voler serbar la purità dell’idioma toscano. E tanto basti quanto all’arte poetica.
Circa poi all’architettura del Carme, l’Autore si è servito, per così dire, de’ frammenti più antichi, ricorrendo all’origine del mondo, e li ha uniti a’ moderni e contrappesati per formare un solo edificio. Infatti noi vediamo i cannibali, i cacciatori, i pastori, i pescatori e i primi agricoltori accanto a’ giovani guerrieri, ed a’ matematici nostri concittadini. Vediamo il regno dei Lacedemoni, non quale è descritto da’ politici, ma qual era da descrivere a’ tempi di Leda, e d’Elena; e le città della Beozia e della Focide celebrate accanto a Firenze. E l’immaginazione del lettore è trasportata a vagheggiare dal poggio di Bellosguardo la città medesima, e le Alpi, e la pianura di Pistoja fino al Mediterraneo; e poscia la più bella pianura di Lombardia; e altrove i passeggi pubblici della città di Milano, e la fiorente agricoltura di quella parte d’Italia, e i teatri di Firenze, e Pitti, e un giardino, e una gentile coltivatrice di fiori. Vediamo il tempietto campestre consacrato dall’Autore nella sua villa alle Grazie, e presso, il tempio primo inalzato loro in Orcoméno da’ Greci; e nel secondo Inno il tempio ideale che il Poeta vede già eretto dagl’Italiani. E, dopo i sacrificj di vittime umane fatti agli Dei d’Averno dai superstiziosi Selvaggi delantica Grecia, vediamo un’offerta di ghirlande de’ fiori d’Italia, e del mèle delle api di Vesta, rito nascostosi fino ad oggi negli arcani degli Dei, o perdutosi nelle tenebre de’ secoli. Vediamo un cigno a cui il Poeta sdegna di ascrivere il canto come cosa non vera, ed il quale da lui fu dipinto come lo vagheggia l’occhio del naturalista e del pittore. E questo cigno è un voto mandato da una principessa, che era allora Vice-regina d’Italia, all’ara di Bellosguardo, in ringraziamento del ritorno di suo marito dalle guerre del settentrione; e da Bellosguardo, nel corso, di pochi versi, si passa all’Eliso, e alla fama degli eroi morti in battaglia, ed al campo de’ Greci sotto Ilio mentre stanno per essere distrutti dall’incendio, e alla misera strage che il verno, la fame e la guerra fecero di tanta gioventù italiana di là dal Boristene.
Questo servirsi di materie che il tempo e le circostanze hanno quasi immensamente disgiunte fra loro è un privilegio della Poesia e della Musica. Le altre arti sono costrette dalla contemporaneità di un solo punto; e felice il Pittore che può destare pensieri, i quali portino la mente dello spettatore al tempo antecedente o susseguente all’azione rappresentata! L’Architettura in questa parte è la sciaguratissima delle arti, appunto perchè è la più confinata e costretta a rimanersi tal quale: tutta la sua bellezza dipende dall’ordine e dall’ardire della mole. Invece la Musica ti desta in pochi minuti cento affetti diversi, e ti fa come aspirare non so quale incanto della vita, che senti irresistibile nell’anima. La Poesia congiunge l’origine del Mondo al suo stato presente, ed al nuovo caos della sua distruzione. Ma la Poesia ha, quanto la Pittura, bisogno di rappresentazioni particolari, che i logici chiamano idee concrete; deve parlarti di fatti ed oggetti determinati, esistenti in natura, per alzarti la mente, senza che tu te ne avvegga, ad un sentimento di beltà universale; deve farti passare dal noto, che mostra evidente, all’ignoto a cui tende, facendolo sospettare. Ma l’unione di tanti quadri particolari è difficilissima cosa. La Musica che somministra la varietà, e la pittura che insegna a’ poeti l’evidenza dell’azione, e la Scultura con cui gareggia la Poesia a mostrare tutti i contorni delle figure, ed, oltre a queste arti, anco l’Architettura con la severità dell’ordine suo, tutte debbono contribuire alla formazione di un tutto poetico che piaccia, e contemporaneamente non confonda il lettore. Quest’ultim’obbligo è il più necessario insieme ed il più malagevole. Senza disunione di parti non hai armonia, nè chiaroscuro; senza unione, l’armonia riesce confusa: quindi la rarità della vera Poesia lirica, che è il sommo dell’arte.
Se l’Autore abbia felicemente trovati i materiali in tanti e si diversi frammenti antichi, se li abbia architettati in armo nia co’ moderni, ognuno può giudicarlo facilissimamente e inappellabilmente, quando la noja o la confusione non l’accompagnino nella ponderata lettura di quest’Inni.
Il primo de’ quali, narrando l’origine divina delle Grazie, e la civiltà progressiva del genere umano, non si diparte, se non nel modo di descriverle, dalle prime nozioni fantastiche che si trovano ne’ poeti, in guisa che, mentre conseguisse il meraviglioso, non si scostasse dal naturale. La Grecia antica si mostra in esso più che l’Italia moderna; ed ivi sono, per dir così, materiali e superficialissimi gli effetti delle Grazie sull’uomo, perchè palesano solamente l’introduzione dell’agricoltura, delle leggi, della religione nel mondo.
Invece il secondo Inno ti guida nell’Italia de’ nostri giorni. Tu puoi aver conosciute le cose e le persone introdottevi, ed avere assistito al sacrificio che il Poeta fa nella sua villa alle Grazie. Quest’Inno ci fa sentire più soavi gl’influssi del Nume lodato, perchè vedi la Musica ridotta al sommo dell’eccellenza, e più dilicata la leggiadria della Danza, e l’amabilità dell’ingegno, e gentilissime le arti e perfette; e in tutti insomma gli studj degli artefici una ricchezza ignota a que’ ferini mortali descritti nell’Inno primo, ed anteriori a’ bei tempi di Atene.
Dopo di che l’Inno seguente non ti conduce più nè a que’ secoli nè a questi, nè in luoghi da noi conosciuti; ma nel mezzo dell’oceano, in terra celeste, e in mezzo ad arti così divine, che le nostre parrebbero appena imitazioni. Ed