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del carme le grazie. | 211 |
mazione di un tutto poetico che piaccia, e contemporaneamente non confonda il lettore. Quest’ultim’obbligo è il più necessario insieme ed il più malagevole. Senza disunione di parti non hai armonia, nè chiaroscuro; senza unione, l’armonia riesce confusa: quindi la rarità della vera Poesia lirica, che è il sommo dell’arte.
Se l’Autore abbia felicemente trovati i materiali in tanti e si diversi frammenti antichi, se li abbia architettati in armo nia co’ moderni, ognuno può giudicarlo facilissimamente e inappellabilmente, quando la noja o la confusione non l’accompagnino nella ponderata lettura di quest’Inni.
Il primo de’ quali, narrando l’origine divina delle Grazie, e la civiltà progressiva del genere umano, non si diparte, se non nel modo di descriverle, dalle prime nozioni fantastiche che si trovano ne’ poeti, in guisa che, mentre conseguisse il meraviglioso, non si scostasse dal naturale. La Grecia antica si mostra in esso più che l’Italia moderna; ed ivi sono, per dir così, materiali e superficialissimi gli effetti delle Grazie sull’uomo, perchè palesano solamente l’introduzione dell’agricoltura, delle leggi, della religione nel mondo.
Invece il secondo Inno ti guida nell’Italia de’ nostri giorni. Tu puoi aver conosciute le cose e le persone introdottevi, ed avere assistito al sacrificio che il Poeta fa nella sua villa alle Grazie. Quest’Inno ci fa sentire più soavi gl’influssi del Nume lodato, perchè vedi la Musica ridotta al sommo dell’eccellenza, e più dilicata la leggiadria della Danza, e l’amabilità dell’ingegno, e gentilissime le arti e perfette; e in tutti insomma gli studj degli artefici una ricchezza ignota a que’ ferini mortali descritti nell’Inno primo, ed anteriori a’ bei tempi di Atene.
Dopo di che l’Inno seguente non ti conduce più nè a que’ secoli nè a questi, nè in luoghi da noi conosciuti; ma nel mezzo dell’oceano, in terra celeste, e in mezzo ad arti così divine, che le nostre parrebbero appena imitazioni. Ed