Le Grazie (1856)/Avvertenza
Questo testo è completo. |
◄ | Le Grazie (1856) | Ragion poetica | ► |
AVVERTENZA
premessa alla prima edizione del carme LE GRAZIE,
anno 1848.1
Offro all’Italia un Componimento poetico da lungo tempo aspettato, e per bene oltre ventiquattro anni,2 quantunque ad intervalli, elaborato dal suo Autore; il Carme di Ugo Foscolo le Grazie. Di questo lavoro, certamente più famoso che conosciuto, molte e varie cose sono state dette da quasi tutti coloro che hanno favellato della vita e degli scritti dell’Esule illustre, quale per celebrare alcuna imagine o proporre a modello alcun tratto di esso Poema, quale per tentare, da quello che ne era stato divulgato, d’indovinare l’economia generale dell’Opera, ed anco di prognosticare quale ne sarebbe stato l’effetto sugli animi, ove fosse stato dato di leggerla per intiero. Niuno peraltro ha potuto finora tenerne proposito con piena cognizione e profondo giudicio, comecchè pochi squarci soltanto ne fossero stati posti in luce; e questi, sia lode al vero, accozzati insieme con somma confusione e negligenza di critica, tanto per l’arbitrario ravvicinamento di parti manifestamente disgiunte fra loro, quanto per la esuberante moltiplicità delle lezioni, nonchè per la stessa ortografia.
Ma poichè, per lunghissimi studj ed instancabile amore, ho potuto raccoglierne le sparse membra, e riordinarle in quell’armonia nella quale ho fede che le vagheggiasse la mente del Poeta, a coloro i quali in questa nostra Italia gravidam imperiis belloque frementem rimangono tuttavia casti cultori delle Grazie e delle Muse m’incombe il debito di narrare più brevemente che potrò la storia del modo con cui dalla fortuna mi è stato concesso di potere finalmente restituire a questa Patria diletta uno, secondo ch’io penso, dei più bei monumenti della moderna letteratura. Spero che a’ miei lettori non sia ignoto come le reliquie della mente d’Ugo, serbate religiosamente per più anni all’Italia dal venerando canonico Riego,3 vi passassero finalmente per cura di tre benemeriti nostri Coucittadini, i quali da esso le acquistarono nel 1834, e come da quei preziosi scartafacci fussero poi tratti quei documenti, che dieci anni dopo furono pubblicati a Lugano col titolo di Scritti politici inediti di Ugo Foscolo. Ora io debbo aggiungere che l’onorevole amico mio Enrico Mayer, uno dei tre benemeriti, mentre in Livorno stava accuratamente per la prima volta esaminando quei fogli affine di classarli almeno sommariamente, insieme a parecchi frammenti di quest’Inni rinveniva alcune lettere già scritte da Ugo negli ultimi tempi del viver suo alla signora Quirina Mocenni Magiotti, ma non mai da esso spedite, o che non sapesse risolversi ad affliggere quell’anima soave ed a lui amicissima col racconto delle sue estreme sventure, o che, acerbo a pensarsi! la povertà glielo impedisse.4 E siccome da più d’una delle sue precedenti lettere alla medesima resultava chiaro, che egli aveva deliberato di mandarle o tutto, o parte almeno di quel suo prediletto lavoro, acciò ella ne fosse depositaria e custode, finchè a lui i destini consentissero di pubblicarlo,5 così il signor Mayer riunì insieme anco quei frammenti degl’Inni che gli vennero alle mani, colla intenzione di eseguire anco in ciò, quando che fosse, la volontà del Poeta: intanto si affrettò ad inviarle per mezzo mio le lettere ultimamente ritrovate. Non mi uscirà mai dalla mente e dal cuore la meinoria del modo con cui quella Donna, cui il Foscolo perpetuamente distinse coll’aggiunto di gentile, ricevè dalle mie mani il sospirato involto, per cui, dopo ben sedici anni dalla morte dell’Amico (era il sabato santo del 1843), ella tornava quasi ad udirne la voce dai cieli, e vedeva compiersi l’affettuosa promessa che già un tempo ei le avea fatto: «l’anima mia ed il mio spirito ti cercheranno pur sempre.»
Frattanto l’annunzio da lei contemporaneamente ricevuto di quei frammenti ritrovati la traeva ansiosa a Livorno, donde pochi giorni dopo ritornava coll’altro desideratissimo acquisto. Di qui cominciano veramente i suoi molti meriti verso il redivivo Carme le Grazie, poichè, ritiratasi in seno della domestica quiete, in città ed in villa per bene tre anni continui non perdonò a fatica per decifrare quegli ardui manoscritti; di tutto ciò che potè leggerne, sì in verso che in prosa, fece fare copia accuratissima; meglio che seppe riunì quegl’infiniti tratti disgregatamente in apparenza dettati, e certo lo fece con esito più d’una volta non infelice: insomma gettò le prime pietre alla restaurazione dell’edifizio. D’ogni cosa poi fece nuova copia di sua mano in un solo volumetto, a cui premesse queste parole, che mi è grato di riportare. «Chi si adoperò a dare un ordine ai tanti frammenti e squarci de’tre Inni alle Grazie e della Ragion poetica del Carme non presume di aver colto nel segno. Bensì ha creduto di dover sodisfare al proprio desiderio di vederli riuniti in un tutto insieme, per saggio della squisitezza di un lavoro, che, sebbene imperfetto, mostra evidentemente di qual bellezza e perfezione sa rebbe andato fastoso quello che il Poeta avrebbe creduto degno del suo nome.»
Già volgeva il giugno del I846, ed ella, desiderosa che non rimanessero più lungamente sconosciuti quei nobili versi, inviava a me la copia esemplata di sua mano, commettendomi di esaminarla e di esporle poi il mio parere in proposito, dichiarandomi ad un tempo con troppo benigna indulgenza di volere ad esso intieramente deferire. Per oltre due mesi io meditai su quel manoscritto; ma, quantunque io mi sentissi sovente rapito da nuovi squarci bellissimi, quantunque più d’una volta rimanessi meravigliato della felicita e dello squisito gusto con che erano state ricongiunte insieme alcune parti e scelte alcune lezioni, pure non potei indurmi giammai ad animare la egregia Donna ad avventurarne la pubblicazione; tante erano tuttavia le lacune, tante le incertezze di ogni genere circa la locuzione poetica, tanta, in una parola, la caligine che ingombrava tuttora, per dir così, la faccia di quella ignota regione, ancorchè l’occhio potesse contemplarne qualche vetta superba e qualche ridente pianura. Io già mi accingeva a scriverle in questa non lieta, ma pure prudente e necessaria sentenza, quando sentii prima il dovere di accertare definitivamente me stesso, se fra le reliquie foscoliane non esistesse più veramente alcun frammento degl’Inni; e, poichè esse da qualche mese erano venute sotto la mia custodia, come quelle che dai tre Proprietarj erano state liberalmente depositate nella pubblica Biblioteca dell’Accademia Labronica onde io sono Secretario, facilmente potei farlo. Qual gioia inaspettata! In un voluminoso involto di carte concernenti gli sciagurati affari economici fra il Poeta ed il Pickering, e che a prima giunta sembrava niente altro contenere, rinvenni forse cinquanta fra nuovi frammenti e varianti degl’Inni, alcuni supplement alla Ragion poеtica, parecchie note, particolarmente all’Inno primo, una dichiarazione circa alle note stesse, e, quello che specialmente è degno di osservazione, un triplice abbozzo di lettera alla Contessa d’Albania per accompagnarle tre esemplari del Carme cui l’autore vagheggiava in fantasia già pubblicato, e per pregarla a volere (ritenuto per sè il primo) inviarne il seconde a Roma al Canova, e presentame il terzo al Fabre.6 Tutto ciò è autografo, ma scritto in carattere sì mal formato, con tanti pentimenti e cancellature, e con sì saltellante, incomposto e bizzarro procedimento, da giustificare più che ad esuberanza quanto l’Autore medesimo già disse de’ suoi scartafacci, cioè che nè un Astrologo ci leggerebbe. Nondimeno, dopo alquanti giorni d’intensa ed ostinatissima applicazione, potei far nota alla Donna gentile la nuova scoperta, e porgerle speranza della possibilità di supplire a molte lacune ed altre imperfezioni della sua copia; ma la pregai che mi fosse cortese di una indeterminata dilazione a parteciparle il resultato dei nuovi miei studj, ed a risolvermi. Ottenutala senza difficoltà, mi posi all’opra; e fui così fortunato, che verso i primi dell’ottobre seguente io aveva raccolto e riordinato presso che tutto intiero l’Inno primo: circa un mese dopo, ma col valido aiuto di un amico dolcissimo, il prof. Giuseppe Vaselli di Siena7, l’Inno secondo, sopra tutti gli altri vario, lungo e difficile; e il 2 aprile 1847, il terzo. Appena io aveva avuto certezza del buon esito di tante cure, mi era affrettato a farne consapevole non solo la Donna gentile, ma anco quell’inclito onore dell’italiana letteratura, e già amicissimo del Poeta, Gio. Batista Niccolini; il quale me ne significò la sua esultanza colle nobili parole seguenti, che sole trascrivo da una sua cortese responsiva. «Mi gode l’animo nell’udire dalla sua lettera che il buon successo ha risposto alle cure da V. S. meritamente spese nel restituire alla sua integrità gl’Inni del Foscolo. L’Italia saluterà nuovamente la luce di una viril poesia..... — Oh, se quel grande, che mi amava come fratello, potesse risorgere, egli direbbe al sepolcro: — riacoprimi, — veggendo la miseria nella quale la sozza Italia è caduta! Intanto riviva mercè di V. S. una parte del suo spirito immortale; ed io non ho parole le quali bastino a mostrarle la gioia che provo ec.»
Stabilito di non defraudare il pubblico del dissepolto tesoro, Colei alla cui amorosa sollecitudine e costanza doveasene il primo merito, volle assumere sopra di sè la spesa della edizione, ed a me si compiacque di affidare intieramente l’incarico di prepararla e dirigerla, sicchè riuscisse per ogni rispetto degna del Poeta e dell’Italia; ed io, quantunque trepidando, con lieto animo l’accettava. Ma mentre
i miei pensieri e tutte le mie forze erano rivolte a ciò, nella primavera dello stesso anno ella fu assalita da quell’acerba malattia la quale poco dopo lei rapl, e me gittò in tanto sconforto, che quella pubblicazione soffrl ritardo. Poi sopravvennero le politiche agitazioni d’Italia e d’Europa, che, col consenso degli Eredi, m’indussero a soprassedere, nella espettativa di tempi più propizj ai liberali studj della pacifica Musa; finchè oggimai, parendo a me che la stessa incertezza di un avvenire, cui è lecito prevedere tempestosissimo e pieno di sciagure, ne consigli a mettere in sicuro questo novello pegno di gloria italiana coll’affidarlo alla guarentigia della pubblicità, io lo do in luce.
In quanto alle norme da me seguite nello scegliere fra le moltissime lezioni dei manoscritti, nell’adottare o nel rifiutare questo o quello squarcio, nel cogliere i nessi più artificiosi fra tanti e sì diversi quadri ed imagini, affine che il cercato effetto del chiaro-scuro non nuocesse alla semplicità, nè questa a quello, nel ritessere insomma la bella e magnifica tela del Carme, mi sarebbe oltremodo difficile, per non dire impossibile, il renderne minuto conto ai Lettori. Sappiano essi che l’Autore, circa alla economia del suo lavoro, oltre quanto genericamente accenna nella Ragion poetica, non ne lasciò alcun lume fidato. E vero che in un suo Copia-lettere militare si rinviene una specie d’Indice o Sommario delle moltissime materie onde doveano constare i due primi Inni; ma anch’esso è talmente pieno di pentimenti, d’incertezze e di contradizioni, da non poterne trarre alcun reale vantaggio. Nè ti avvisassi mai di seguire con fiducià la via che il Poeta ti apre co’ suoi versi, voglio dire coll’addentellato di quelle mille frazioni (ora sei, ora due, ora dieci, o al più quindici versi per volta) con che, al pari di chi lavora in mosaico, andò formando quest’Inni, e, credo, ogni altra sua Poesia. Tu ne rimarresti forte beffato, poichè, quando tu più credessi di essere sicuro di lui e di te stesso, vedresti a un tratto che per quel sentiero ei non va più avanti; e, leggendo altrove, ti accorgeresti che egli ha creduto più utile prenderne un altro, per abbandonare poi fors’anche questo; e così di mano in mano, finchè l’animo suo inquieto e anelante alla perfezione dell’Arte non trovi ove riposarsi.
Ora, se, oltre a tutto ciò, tu rifletti quanti cangiamenti e modificazioni, quali derivanti da più maturo consiglio, quali da transitoria allucinazione d’intelletto, quali da capriccio e bizzarria di carattere (io ne ho ravvisati molti di ogni genere in quei preziosi scartafacci) debbano essere stati indotti nella composizione del Carme dalla diuturnità del tempo in che è stato dettato, dalle procellose passioni e dalle fiere vicende che perpetuamente agitarono l’anima del Poeta, tu potrai farti una sufficiente idea delle infinite difficoltà con cui ho dovuto lottare. E per nutrire qualche fiducia di uscirne vincitore, mi parve di dovermi proporre cinque cose: 1ª leggere e rileggere tutti gli scritti d’Ugo sino allora pubblicati sì in verso che in prosa, onde tentare di addentrarmi nelle viscere non meno dell’uomo che dello scrittore; 2ª scolpirmi fortemente nella memoria tutti i versi degl’Inni con le varianti loro, senza tralasciare cosa alcuna, affine di poter provare il riordinamento del Carme, quasi conversando nella solitudine del pensiero collo spirito dell’Autore; 3ª non riconoscere alcuna autorità dei precedenti editori, se non consuonasse col mio intimo convincimento; 4ª non istancarmi di prender copia di quei ricomposti frammenti, circa ai quali mi sembrasse di aver colto nel segno; 5ª finalmente di non lasciarmi adescare dalle varianti, ancorchè bellissime, ove, tutto ponderato, cospirassero meno alla economia ed all’effetto generale del Poema. Queste, eccetto due o tre di cui rendo ragione nelle Note, le lascio volentieri agli spigolatori avvenire; ma sì gli spigolatori che i critici in generale io voglio fin d’ora avvertiti a non arrischiarsi a censurare le lezioni da me prescelte, per anteporre ad esse altre che più loro andassero a talento, se prima non hanno speso sugli autografi quanto tempo e quanta diligenza vi ho speso io; altrimenti temo assai che non sieno per avere il torto presso la posterità.8 E di una cosa voglio ammonire i lettori di quest’Inni, e particolarmente i giovani, più per consultare alla utilità loro che alla fama dell’Autore. Almeno tre volte li rileggano, e sempre riposatamente e con affetto: nè preteriscano la Ragion poetica e le Note. Queste in parte sono del Foscolo, in parte mie. Le prime vanno distinte con un F, le seconde non hanno segno alcuno. Quando tutto ciò non vogliano fare, io grido loro in nome del Poeta: per voi non scrissi. Cercate altri versi (e l’età non ne è scarsa)9 che possano trangugiarsi tutti d’un fiato, come un bicchiere d’acqua fresca: ma l’acqua della mia Castalia non è così. Il mio Parini già dettò, ed io mi appropriai vivendo questa sentenza:
Orecchio ama pacato
La Musa, e mente arguta, e cor gentile.
Con queste poche e semplici, ma, per quello che io credo, non inutili avvertenze io penserei che dovesse per me sigillarsi l’ufficio di non venale editore di questo Carme, se non me ne incombesse un altro più mesto, ed egualmente caro al mio cuore. Io ho detto, e mi gode l’animo nel ripeterlo, che le prime e forse più intense cure per riordinarlo si debbono alla Donna gentile; e poichè i cieli le invidiarono il contento lungamente sospirato di veder rinverdito per opera sua quel lauro che l’illustre suo Amico augurava ombreggerebbe la propria sepoltura, io consacrerò qui due parole alla memoria di lei, anco perchè coloro che sentiranno commoversi dalla bellezza di questi versi sappiano chi fu, e di quali pregi andò adorna Quella, a cui, dopo il Poeta, saranno principalmente debitori di tali commozioni.
Nacque in Siena nel 1781 da Ansano Mocenni onesto e dovizioso mercadante, e da Teresa Regoli. Questa risplendeva per non comune gentilezza e cultura, tantochè la sua casa era convegno dei più ragguardevoli che avesse allora quella città, fra i quali giova particolarmente nominare quel quinto lume della italiana Poesia, Vittorio Alfieri. La Quirina, secondo il costume dei tempi, fu alunna del Conservatorio di Santa Maria Maddalena in quella città medesima; ma dalla Madre, e dall’aura delle Muse che spirò attorno alla sua culla, raccolse quell’amore alle Lettere e quel gusto dilicato, i quali in più vasta città la resero poi la delizia di molti animi elevati e gentili; mentre dalle domestiche abitudini commerciali apprese l’arte di saggiamente amministrare gl’interessi economici di una famiglia. Queste doti sì raramente concordi, e che in lei aveano per principale fondamento una singolare bontà di cuore, fecero sì che sino dagli anni più verdi ella fosse prescelta ad un pietoso e difficile incarico. Il Maggiore Camillo Magiotti, discendente di una famiglia che si pregia di aver avuto fra i suoi membri uno de’ più caldi e stimati amici del Galileo, infelice per l’unico figlio a cui la Natura aveva negato il sacro lume dell’intelletto, amoroso padre volle affidarlo alle cure di una compagna, che dopo la morte del genitore lo custodisse con pari affetto, e ne temperasse la sventura, almeno col mantenergli quegli agi, cui il largo censo consentiva. Così la Quirina nel 1801 si unì in matrimonio in Firenze a Ferdinando Magiotti. Intanto del ben educato ingegno, che ebbe non comune, e della soave amabilità del suo cuore si facevano ammiratori nelle serali ragunanze presso di lei molti insigni per altezza d’intelletto e magnanimità di carattere, e fra essi principalmente Leopoldo Cicognara ed Ugo Foscolo. La predilezione di ambedue verso di essa è attestata dal dono che essi le fecero di mano in mano delle Opere loro con postille, ricordi ed altre particolarità pregevolissime, non che dalle affettuose lettere che le diressero, in gran parte divulgate per la stampa. Ma più intima, calda e generosa fu l’amicizia che la legava al Foscolo, al quale sempre, ma più specialmente nei giorni della sventura, fu liberale di conforti, di consigli e di ogni altro possibile aiuto con singolarissima delicatezza.10 E benefica, e saggia consigliatrice al bene, lei pure provarono altri non pochi; tantochè fra gli uomini saliti poi in Toscana ai più elevati gradi del potere ve ne ha taluno, cui non può essere grave la rimembranza e di avere avuto con lei amicizia, e di aver seguito nei migliori anni le sue esortazioni.
Quantunque poi in Firenze la sua casa fosse di frequente rallegrata da musicali concerti, abbelliti dal canto delle donzelle più egregie nell’Arte, nè la nativa sua gaietà, nè la vita piacevole e lieta, nè il culto delle Lettere e delle Muse le fecero mai trascurare il severo incarico da lei assunto, di guidatrice della famiglia, di amministratrice delle sostanze del Consorte. E siccome queste per non piccola parte consistevano in beni di suolo, così per parecchi mesi dell’anno ritraevasi in villa, affine di vigilare le campestri faccende, a cui seppe pur vacare con sì intelligente solerzia che li aumento; e di alcuni perfezionamenti agrarj indotti pe’ suoi auspicj nella cultara di quei fondi rustici fu favellato con lode dal Giornale Agrario Toscano. Serbando in cuore la immortale speranza dell’italico risorgimento, dopo il 1830 più di proposito si diede a migliorare le condizioni del popolo minuto, e fu delle prime a favorire gli Asili per la infanzia; e con quell’ardore e quella perspicacia che le furono proprj, per molti anni infaticabilmente sostenne le molte cure, le quali, particolarmente sul principio, quella pietosa Istituzione esigeva: ed anco sopra di essa, non meno in vita che in morte, versò le sue pecuniarie beneficenze.
Tale fu l’egregia Donna circa le doti dell’animo, che non andarono disgiunte in lei da quelle del corpo, l’avvenenza e la grazia; cosicchè bene per ogni titolo fu degna di essere prescelta dal destino a por mano la prima alla restaurazione del Carme amabile e famoso.
Oh, le fosse stata consentita anco la consolazione di rileggerlo nella forma attuale! Ma appena erano state emendate tutte le prove di stampa dell’Inno primo, ella cominciò a sentirsi fieramente aggravata da un incomodo negli organi digestivi che da qualche tempo la travagliava, e mi pregò che affrettassi la pubblicazione del desiderato libro, altrimenti presentiva, mi disse, che avrebbe avuto quella gioia solo dopo essersi ricongiunta allo spirito d’Ugo. Feci di tutto per compiacerla: ma invano; chè, cresciuto ruinosamente l’acerbo malore, ella con animo fermo e sereno, quantunque straziata da acutissimi dolori, assistita da’ suoi, ai quali poco prima di spirare disse le estreme parole di consiglio e di amore, termiŋò la vita la mattina del 3 di luglio 1847. I suoi avanzi riposano nei chiostri di Santa Maria Novella. — Oh, possa, a compenso di quell’onesto e incompiuto desiderio, la soave rimembranza di lei non mai disgiungersi dalla mente di chi corrà diletto dal Carme le Grazie, come la rimembranza di Ugo Foscolo non sarà mai cancellata, dal cuore di ogni verace Italiano!
- Pisa, a ìi 15 novembre 1848.
F. S. Orlandini
Note
- ↑ Di essa prima edizione, uscita dalla stessa Tipografia Le Monnier, furono tirate 500 copie in ottavo. Ne furono tirati ancora in quarto dodici esemplari distinti e col nome a stampa di coloro a cui ciascuno esemplare era consacrato, nell’ordine seguente: 1º alla memoria della Donna gentile. — 2º a Rubina Foscolo Molena, sorella dell' Autore. — 3º a S. A. R. Amalia Augusta di Leuchtemberg, già viceregina in Italia. — 4º alla memoria del canonico Riego. — 5º a Gino Capponi. — 6º a Enrico Mayer. — 7º a Pietro Bastogi. -8° a Giov. Battista Niccolini. - 9º ad Alessandro Manzoni. 10º ad Hadson Gurney. — 11° a S. A. il Duca di Bedford. — 12º al cav. Dionisio Bulzo.
- ↑ Nelle illustrazioni alla Chioma di Berenice pubblicate nel 1803 il Foscolo riportò alcuni frammenti poetici relativi alle Grazie, annunziandoli vagamente come traduzioni dal greco fatte da lui un tempo innanzi; ma non citò il nome del loro autore, nè disse ove avesse letto gli originali. Ora l’essere io stato accertato dall’illastre amico mio, il prof. Silvestro Centofanti, come veramente questi sono ignoti, e l’aver riscontrato sugli autografi foscoliani, che di parecchi versi di quelle supposte traduzioni ei si valse liberamente poi nella composizione degl’Inni, tutto ciò mi conferma nella credenza, che, anco quando ei riportava i rammentati frammenti come tradotti dall’idioma greco, non diceva da senno, ma per esplorare il voto del Pubblico, secondo che piú tardi fece in Inghilterra, quando stampò il Velo delle Grazie, quasi versione dell’antico poeta Fanocle o Fanoclete. (Vedi le note all’Inno III.) Mi sembra dunque di potere affermare, che fino dal principio del secolo egli andava meditando di cantare delle Grazie, e che i rammentati squarci furono da lui dati in luce come saggio del suo lavoro. Quando poi si divulgò la fama che il Canova stava lavorando il gruppo delle tre Dee, egli ritornò su quell’argomento: invece di un Inno solo, cui si era proposto di comporre (ed anco ciò resulta dagli autografi), ne disegnú tre, e vi andò lavorando attorno per tutto il resto della vita.
- ↑ Il canonico Riego, soccorse Ugo Foscolo nelle strettezze che angustiarono gli ultimi tempi della sua vita, ne raccolse l’estremo sospiro, ed assunse, quasi eredità di affetto, la cura di provvedere alla figlia Floriana, che il Poeta lasciò giovinetta, ed a cui scrisse l’ultima sua lettera. (V. l’Epistolario). Questa figlia di poco sopravvisse al padre, e lasciò al Riego, preziosa pegno della sua gratitudine, le carte paterne.
Il canonico Riego, quantunque amnistiato dal Governo costituzionale spagnuolo, aveva continuato a vivere esule in Inghilterra, dichiarando, che un fratello del general Riego non poteva tornare in patria in grazia di un’amnistia, ma soltanto per un atto nazionale, che redintegrasse pienamente la memoria di quel martire glorioso della Libertà. Viveva poveramente facendo commercio di libri, ed era egli stesso non inelegante scrittore in prosa e in verso. Morì in età di circa 60 anni sul cadere del 1816; ed ecco come ne fu annunziata la morte nel Morning Chronicle del 28 novembre di quell’anno:
«Nella sua abitazione (57 Seymour Street) morì ieri repentinamente il canonico Riego, fratello del celebre e sventurato general Riego.
Il canonico Riego avendo vissuto molti anni in questo paese, era conosciuto da un numeroso circolo, dal quale era molto rispettato ed amato. Le sue cognizioni letterarie erano moltiplici ed estese: possedeva in grado eminente le belle qualità del carattere spagnuolo, congiunte ad una rara e simpatica semplicità, e ad un generoso entasiasmo, che nell’età avanzata non perdè niente del suo ardore giovenile.
La sua morte, che credesi cagionata da un’affezione al cuore, sarà profondamente compianta.» - ↑ L’affrancatura di qualsivoglia lettera di un foglio solo costava allora in Ingbilterra uno scellino e sette denari, circa tre e mezzo de’ nostri paoli. — Quindi egli scriveva a Silvio Pellico: Qui le affrancature postali costano un occhio.
- ↑ Vedi nell’Epistolario foscoliano le lettere di Ugo alla Donna gentile del 6 gennaio, del 9 febbraio, del 20 aprile 1816; e quella del 13 marzo 1818.
- ↑ La lettera è la seguente: non ha data, ma è cortamente scritta prima del 31 marzo 1815, giorno in cui egli lasciò per sempre la Lombardia e l’Italia.
«Benchè questo Poema lirico sia Intitolalo allo Scultore artefice di Numi, otterrà, spero, più lieta accoglienza, se il secondo esemplare dell’edizione gli sara spedito a Roma da Lei. Nè le rincresca di presentare al signor Fabre il terzo in mio nome; e quell’alunno elegantissimo del Pussino indovinerà che io, senza presumere di gareggiare d’ingegno con lui, mi sono, se non altro, studiato di farmi benemerito delle belle Arti, cercando di rappresentare il bello ed il vero in guisa, che somministri soggetti nuovi agli Artefìci.
Or io vorrei potere presentarte in Firenze dove fu scritto, piuttosto che mandarle di Lombardia, questo libricciuolo; ma la Fortuna vuole che io viva di rimembranze e di desiderj. Così affretto il tempo e l’occasione ch’io possa risalire tutte le malline al poggio di Bellosguardo per vivere nella regione delle illusioni, e discendere tutte le sere sino alla sua casa, perch’Ella torni a svelarmi tutte le sere la schietta amabilità di un animo femminile, educato, dolcissimo, e da cui solo spirano perpetue le Grazie,» - ↑ Ora piango anche lui perduto fino dall’11 di maggio 1854.
Giustissim’alma in generoso petto;
Caldo, leale, austero, intemerato;
Cor gentil, dritto senno, alto intelletto....
Maggior della sua fama e del suo fato! - ↑ Sopra a tutto rammentino ciò che il Poeta diceva nelle illustrazioni alla Chioma di Berenice, e che io sovente ho ripetuto con sacro terrore a me stesso, davanti al suo ritratto, nel riordinare gli scritti di lui: — Sono pure indiscreti, per troppa amicizia, gli editori delle opere postume!
- ↑ Lo sciame de’ Poeti, prima di stordire l’Italia colle sue ciance, studi gli antichi. Foscolo, Chioma di Berenice.
- ↑ Vedi l’Epistolario foscoliano.