Laude (1910)/Prefazione

Giovanni Ferri

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Frontespizio Laude

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PREFAZIONE




Dacché l’Ozanam nel suo notissimo studio sui poeti francescani in Italia1 tentò per il primo di lumeggiare compiutamente la figura poetica di Jacopone da Todi e di analizzarne il sistema filosofico-morale, i molti che seguendo il suo esempio estesero gli studj e le ricerche a tutto il materiale della lirica religiosa primitiva, sentirono quanto fosse difficile dirigersi con sicurezza nella investigazione dei numerosi laudarj jacoponici e di imitazione jacoponica, sparsi per ogni regione d’Italia e varj di età, di lingua, di attribuzioni.            Il voto espresso da Alessandro D’Ancona per un’edizione critica nella quale i ritmi di Jacopone fossero ricondotti alla ‘verace lor forma idiomatica’2, fu ripetuto fino alla sazietà da quanti ebbero occasione di occuparsi, anche incidentalmente, del poeta tudertino; ma il lavoro di preparazione dura tuttavia e i molti saggi che abbiamo intorno alla poesìa spirituale de’ primi secoli, sono ancora di carattere troppo particolare, essendosi i più limitati a descrizioni di codici, a raccolte di varianti, a compilazioni [p. vi modifica]di tavole comparative dei diversi laudarj, a discussioni di date e di attribuzioni, a ristampe di singole laudi ricucite alla meglio e rabberciate secondo criterj affatto personali3.            Siamo ancora ben lontani da quella invocata edizione ‘la quale riconduca alla nativa forma umbra le rime autentiche e rigetti inesorabilmente le apocrife’4.

La ragione di tutto ciò procede, a mio avviso, da due gravi difficoltà: il numero dei codici e la loro età relativamente tarda.            A rimuover la prima provvide di recente il prof. Annibale Tenneroni con una bella pubblicazione di carattere bibliografico che ne porge il più sicuro sussidio per uno studio sistematico della nostra poesia religiosa5. Quanto all’età dei codici, nessuno di essi, com’è noto, si può seriamente far risalire più in là del xiv secolo, ed anche nei più antichi si rilevano tracce evidenti di profonde alterazioni, dovute in gran parte alla fortuna ed alla pronta diffusione di cui godevano, già sugli inizj del Trecento, i canti del Tudertino.            Fino a che adunque più diligenti o fortunate ricerche nelle biblioteche e negli archivj non porteranno al ritrovamento di più autorevoli manoscritti, riescirebbe pressoché inutile ogni tentativo diretto a darci un’edizione accettabile6 che contenga le poesìe di sicura attribuzione e che rechi per via di rimaneggiamenti e restituzioni più o meno arbitrarie, le impronte idiomatiche particolari della regione ove il poeta visse e dettò le [p. vii modifica]sue laudi spirituali; esso non varrebbe se non a darci la misura dell’ingegno e dell’erudizione di chi avesse avuto la voglia di spenderveli attorno.

La presente edizione è una semplice ristampa della prima raccolta di poesie jacoponiche edita da Francesco Bonaccorsi in Firenze nel 14907. A me parve degno di considerazione il fatto che G. B. Modio, volendo nel 1558 preparare un’edizione dei cantici del beato Jacopone con un comento teologico a edificazione delle anime timorate, ai manoscritti ed alle raccolte a stampa quali, ad esempio, la bresciana del 1495 e le due veneziane del 1514 e del 15568, preferisse questa editio princeps: segno che le riconosceva maggiore autorità e reputava la lingua di quel testo più vicina alla forma originale.            È ben vero che noi non possiamo affidarci leggermente alle opinioni linguistiche del Modio, che nella poesìa jacoponica insieme con le forme particolari del dialetto todino rilevava strani inquinamenti calabresi, siciliani e napoletani; ma è anche vero che la sua scrupolosa fedeltà nell'attenersi al testo bonaccorsiano, fedeltà spinta al punto di riprodurne gli errori di stampa, trovava la sua ragione in un pregiudizio comune a’ suoi tempi e abbastanza diffuso anche ai nostri: che cioè Jacopone, per un profondo sentimento di cristiana umiltà, non volesse discostarsi dal nativo dialetto e cercasse di esprimersi coi vocaboli più volgari non disdegnando di ricorrere talvolta alle immagini più basse e più repugnanti; benedetto [p. viii modifica]pregiudizio se valse, almeno in quelle due stampe, a preservare la poesìa jacoponica dallo strazio che copisti, editori e chiosatori hanno per ignoranza, o per un malinteso rispetto della lingua, tante volte esercitato sulla poesìa e sulla prosa italiana delle origini.

Ma l’esempio del Modio e il giudizio di autorevoli bibliografi9 non mi avrebbero distolto dal proposito di tentare anch’io, e non saprei con quale fortuna, una di quelle edizioni alle quali più sopra ho accennato, se un passo del Proemio del Bonaccorsi non mi avesse fatto accorto che l’edizione fiorentina ci offre un testo più antico e realmente più accettabile di quanti sono a nostra conoscenza. Scrive infatti quell’editore: ‘Qualunque persona deuota... sapia per uero come circa la impressione presente, a fine che fusse emendata quanto più si potesse: & reducta alla purità anticha, che si troua molto alterata in più libri: è stata usata questa diligentia, cioè che si sono hauute due copie de tale laude cauate studiosamente da doi exemplari Todini assai antichi: & più copiosi & migliori che si trouino in quella città: & doi altri uilumi pur antichi in buona carta, facti con diligentia: de quali uno appare scripto nella città de Perugia: dell’anno .m.cccxxxvi. trovato in Firenze: de laude .xc. & non più & molti altri uolumi de diuersi religiosi: & de altre particulari persone, trouati pur in Firenze’10.

Il Bonaccorsi adunque poté disporre di molti codici; ma egli volle metterne a profitto specialmente due, todini e assai antichi, i quali si [p. ix modifica]trovavano allora a Todi e rappresentavano le raccolte più ampie e più diligenti che si conoscessero.            È evidente che quei doi exemplari non possono identificarsi coi due codici jacoponici che si conservano tuttora nella Comunale di Todi; poiché il Tudertino 194, giudicato erroneamente del xiii secolo dal Gregorovius, non può ascriversi se non al xv; e l’altro, il 195, è la raccolta compilata da Luca Alberto Petti, protonotario apostolico11.            Si noti ancora che i tudertini adoperati per l’edizione principe son detti assai antichi, quasi in confronto degli altri pure antichi, fra i quali è un codice perugino datato dal 1336; e sarà lecito supporre ch’essi fossero anteriori a tutti e forse della fine del xiii secolo.            Ma la copia studiosamente cavata da quegli esemplari servì di fondamento all’edizione principe; nella quale dunque dovremo riconoscere una raccolta resultante direttamente da manoscritti anteriori a tutti quelli che noi oggi possediamo e della stessa città o regione ove sbocciarono i sacri ritmi del Poeta francescano.

Quanto al numero delle laudi, i codici tudertini ne contenevano meno di cento12, il perugino novanta; l’editore ne pubblicò cento e due, accogliendone da altri manoscritti; ma l’imitazione jacoponica doveva esser già così ricca alla fine del xv secolo, che il Bonaccorsi sentì il dovere di mettere in guardia il lettore a riguardo del loro numero e della loro autenticità: ‘Non si dice però per questo che lui non facesse maggior numero de laude, né anco si afferma che tutte queste siano facte da lui, per non se hauere di ciò altro di [p. x modifica]certo’13; altro di certo se non la tradizione e la testimonianza dei codici utilizzati.            Ma secondo la prima intenzione dell’editore, la raccolta avrebbe dovuto constare di sole novantatré poesie e chiudersi con ‘Donna del paradiso’, la quale fu messa a quel posto appunto ‘per clausura de le precedente... & per uno separamento da le seguente laude trouate in diuersi libri’14.            Di queste ultime la lxxxxiiij, la lxxxxv e la lxxxxvj furon tolte dal codice perugino del 1336 e aggiunte alle altre quantunque nella lxxxxv e lxxxxvj il Bonaccorsi rilevasse alcuni difetti; le cinque seguenti si trovavano ‘nel libro todino (?) in fine’15 e forse l’editore stesso dubitava della loro autenticità; quanto all’ultima, la cii, fu accolta per riparare a un’inavvertenza commessa nella numerazione delle laudi: ‘Questa laude extrauagante è posta per finire el numero perfecto de cento; benché ne sian due de più sotto dui numeri cioè .xlvij. et .lxxvij. per inaduertentia: et cusì sono .cii. laude in tutto’16.

Riassumendo, i codici più antichi dovevano contenere una novantina di laudi, corrispondenti alle prime novantatré dell’edizione fiorentina; le quali son le stesse che vengono comunemente attribuite a Jacopone dai codici degni di maggior fiducia. Le altre che chiudono la raccolta, o si leggevano in manoscritti meno autorevoli o erano adespote o presentavan già tali alterazioni da indurre a sospettare della loro autenticità.

La poesìa jacoponica è quasi sempre poesìa d’occasione e la norma migliore per la distribuzione di quei ritmi sarebbe l’ordinarli secondo la data di [p. xi modifica]loro composizione.            Ma per la maggior parte di essi la determinazione cronologica è pressoché impossibile, e oltremodo difficile riesce anche per quei canti di carattere politico nei quali non sempre gli accenni a fatti contemporanei appajono evidenti. Forse l’editore fiorentino, essendo in grado di vagliare, meglio di quanto possiamo far noi, la tradizione jacoponica, avrebbe potuto disporre di elementi più solidi e procedere con maggior sicurezza nel fissare la cronologìa delle singole laudi; ma o non volle o non vi pensò; attenersi all’ordine dato dai codici non istimò opportuno perché, tranne che nei todini, gli parve troppo vario e incerto; e preferì la distribuzione per materie: ‘Quanto all’ordine de esse laude, egli scrive, uedendosi quello essere uario & incerto in molti libri: benché li Todini siano quasi ad uno modo, non è parso inconueniente cominciare da quelle due della Madonna: quale è porta & inuentrice de ogni gratia, & da poi mettere le più facile, & successive le altre.            Et anco distinguere le materie, & metterle insieme al meglio che si ha inteso, sì come si uederà facto’17.

Fu questa la prima delle molte classificazioni tentate in seguito da editori e da critici ed è, secondo me, l’unica che, fatte le debite eccezioni, possa esser proposta anche oggi.            L’Ozanam che mirò specialmente a porre in evidenza il significato ascetico e moraleggiante dei canti del beato Jacopone e a coordinarli sistematicamente fra loro, non si allontanò gran che da quella classificazione nel distinguere, com’egli fece, tre tipi diversi di poesìa jacoponica: i poemi teologici, le satire e le piccole composizioni scritte per divulgare un santo pensiero, per celebrare una festa18.            Le piccole [p. xii modifica]composizioni corrispondono infatti a quelle che il Bonaccorsi chiama le più facili e che aprono il volume; le satire si trovano sparse qua e là, ma quelle di argomento politico formano un gruppo solo ed occupano il posto di mezzo; i componimenti infine di maggior mole che l’Ozanam chiama teologici, ma che sarebbe più giusto denominare ascetici, chiudono la raccolta.

Per ciò che riguarda il valore linguistico della edizione, si noti che il Bonaccorsi dichiara esplicitamente di non aver voluto mutar nulla e nulla aggiungere di nuovo affine di conservare ‘la simplicità & purità anticha secondo quel paese di Todi del modo di scriuere et de uocaboli’.            Mantenne egli la promessa?            Secondo il D’Ancona, la lingua originale dei ritmi jacoponici doveva esser l’umbra o, meglio, il volgare di Todi19.            Se si volesse dare un valore assoluto all’opinione dell’illustre critico, bisognerebbe convenire che il testo dell’edizione fiorentina qua e là si discosta notevolmente da quello che doveva essere il linguaggio tudertino del Duecento.            Ma quando si pensi che l’editio princeps, sebbene risulti dalla concordanza di più raccolte diverse tra loro per l’età e per l’origine, si fonda soprattutto sui due codici todini assai antichi, e che le maggiori divergenze dell’uso umbro si riscontrano specialmente in quelle ultime poesìe della cui autenticità si può a buon diritto dubitare anche per una certa ineguaglianza di stile, per la banalità di alcune espressioni e spesso per la mancanza di quello che potrebbe chiamarsi sapore jacoponico, vien da pensare che il fondo idiomatico primitivo non abbia poi subìto nel testo bonaccorsiano troppo profonde modificazioni. [p. xiii modifica]

Ma c’è di più.            I biografi di Jacopone che hanno seguìto cecamente la tradizione senza curarsi di separare i fatti positivi da tutti i particolari fantastici formatisi per false interpretazioni dei passi autobiografici e per analogìa di altre leggende francescane, affermano concordi che l’amor Dei usque ad contemptum sui fu così ardentemente sentito dal poeta tudertino, da indurlo a commettere insieme con molte altre pazzìe anche quella di affettare il più profondo disprezzo per la propria coltura e dottrina; donde la eccessiva volgarità del suo eloquio, il solo da lui reputato degno di esprimere sensi di cristiana umiltà.            Ora non è chi non veda il ridicolo di tale affermazione.            Jacopone da Todi aveva fatto i suoi studj di diritto, forse a Bologna; aveva esercitato per lunghi anni la professione d’avvocato nella città natìa; aveva fors’anco dettato componimenti in rima prima di darsi a vita spirituale ed è lecito supporre che non gli fosse ignota la bella fioritura della poesìa lirica del suo tempo, i cui spunti e le cui immagini sin troppo profane ricorrono con molta insistenza nelle sue laudi-ballate.            Per quanto profondo fosse l’orrore e il disprezzo degli anni trascorsi nelle vanità del mondo, come avrebbe egli potuto far getto della propria coltura, di quel patrimonio intellettuale, caro sopra ogni altro perché frutto in ciascuno di inenarrabili fatiche, senza sentirsi miseramente inaridire quella ricca vena poetica onde, come altrettanti ruscelli, scaturivano i suoi sacri ritmi, schiumeggianti e torbidi talvolta per l’impeto della discesa, ma sempre meravigliosi di vita e di freschezza?            Jacopone parlava e componeva nel suo nativo dialetto così come solevano le persone della sua coltura. E non sarebbe giusto rifiutare inesorabilmente come alterazioni illegittime di amanuensi e di editori tutto ciò (e non è gran cosa) che nel testo dell’edizione [p. xiv modifica]fiorentina del 1490 sembra discostarsi dalle particolari caratteristiche del dialetto tudertino.

Ed ora brevi cenni intorno al metodo seguìto nella presente ristampa. Potrei anzi limitarmi a dire che l’unica novità essenziale da me introdotta in confronto dell’edizione principe sia l’interpunzione; la quale, là dove ricorrono passi controversi ed irti di difficoltà, potrebbe ritenersi come una prima proposta d’interpretazione. Gli studiosi non me ne vorranno per questo; togliendo via quei pochi segni che rappresentano un’opinione personalissima e fin troppo discutibile, essi si troveranno in grado di procedere nell’esame critico di questo testo, come farebbero direttamente sull’edizione bonaccorsiana. Per seguire l’uso ormai invalso nelle edizioni di testi analoghi, e per rendere più evidente la struttura metrica delle singole strofe, furono abbinati i versi brevi e introdotte le maiuscole agli inizj di ogni stanza; conservata invece fedelmente la grafìa e aggiunta la numerazione dei versi. Il Bonaccorsi aveva già provveduto a raccogliere in una tavola gli errori di stampa e alcune di quelle varianti che gli parvero avere qualche importanza per l’intelligenza dei passi più difficili; gli errori, naturalmente, io corressi e le varianti con le relative osservazioni di quell’editore raccolsi in un elenco a parte. Anche la Tavola delle laude secondo l’ordine del libro e il loro Repertorio per ordine alfabetico, così utili pei confronti con altri laudarj, compilai sulla scorta dell’edizione fiorentina. In un Prospetto grammaticale raccolsi tutte le parole che nell’ordine dei fenomeni fonetici e morfologici mi parvero offrire qualche interesse, avendo cura di distinguere quelle in rima dalle altre nelle quali poterono più agevolmente introdursi le alterazioni. Compilai infine un Lessico per il quale tenni presente il melius abundare; ed ivi si troveranno [p. xv modifica]novamente registrate tutte le parole già notate ai paragrafi del Prospetto; né mi parve dovessero trascurarsi le dichiarazioni dei vocaboli più difficili proposte dal Bonaccorsi, dal Modio e dal Tresatti, per essere quei valentuomini se non i più dotti, certo i più rispettosi commentatori del Poeta e i più vicini a lui in ordine di tempo.

Marzo 1910.

Giovanni Ferri.          


Note

  1. A.-F. Ozanam, Les poètes franciscains en Italie au XIII siècle, Paris, V. Lecoffre, 1882.
  2. A. D’Ancona, Studi sulla letteratura italiana de’ primi secoli, Ancona, A. G. Morelli, 1884, p. 6.
  3. Cf. la Bibliografia della Lauda pubblicata da A. Tenneroni in Scritti vari di filologia, Roma, Forzani, 1901, p. 545-548.
  4. A. D’Ancona, op. cit., p. 93.
  5. A. Tenneroni, Inizi di antiche poesie italiane religiose e morali con prospetto dei codd. che le contengono e introduzione alle laudi spirituali, Firenze, Leo S. Olschki, 1909.
  6. Cf. A. Tenneroni, Inizi etc., p. xv.
  7. Cf. L. Hain, Repertorium bibliographicum, Parigi, 1831, voi. II, parte Ia, n. 9355.
  8. Cf, Ed. Boehmer, Jacopone da Todi, Prosastücke von ihm, nebst Angaben über Manuscripte etc., in Romanische Studien, I (1871-75), p. 138; e Gamba, Serie dei testi di lingua, Venezia, 1828, p. 120, nn. 477-480.
  9. Cf. Audifredi, Specimen editionum Italicarum saeculi XV, Romae, 1794, p. 319 e Gamba, op. cit., p. 120, n. 477.
  10. Cf. il Proemio a p. 3.
  11. L. Leônij, Inventario dei codici della Comunale di Todi, Todi, Foglietti, 1878, pp. 66 e 67.
  12. Cf. il Proemio, p. 4.
  13. Cf. il Proemio, p. 4.
  14. V. a pp. 155 e 156.
  15. V. a p. 159.
  16. V. a p. 170.
  17. Cf. il Proemio, p. 4.
  18. Op. cit., p. 200.
  19. Op. cit., p. 6.