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XII PREFAZIONE

zioni corrispondono infatti a quelle che il Bonaccorsi chiama le più facili e che aprono il volume; le satire si trovano sparse qua e là, ma quelle di argomento politico formano un gruppo solo ed occupano il posto di mezzo; i componimenti infine di maggior mole che l’Ozanam chiama teologici, ma che sarebbe più giusto denominare ascetici, chiudono la raccolta.

Per ciò che riguarda il valore linguistico della edizione, si noti che il Bonaccorsi dichiara esplicitamente di non aver voluto mutar nulla e nulla aggiungere di nuovo affine di conservare ‘la simplicità & purità anticha secondo quel paese di Todi del modo di scriuere et de uocaboli’.            Mantenne egli la promessa?            Secondo il D’Ancona, la lingua originale dei ritmi jacoponici doveva esser l’umbra o, meglio, il volgare di Todi1.            Se si volesse dare un valore assoluto all’opinione dell’illustre critico, bisognerebbe convenire che il testo dell’edizione fiorentina qua e là si discosta notevolmente da quello che doveva essere il linguaggio tudertino del Duecento.            Ma quando si pensi che l’editio princeps, sebbene risulti dalla concordanza di più raccolte diverse tra loro per l’età e per l’origine, si fonda soprattutto sui due codici todini assai antichi, e che le maggiori divergenze dell’uso umbro si riscontrano specialmente in quelle ultime poesìe della cui autenticità si può a buon diritto dubitare anche per una certa ineguaglianza di stile, per la banalità di alcune espressioni e spesso per la mancanza di quello che potrebbe chiamarsi sapore jacoponico, vien da pensare che il fondo idiomatico primitivo non abbia poi subìto nel testo bonaccorsiano troppo profonde modificazioni.


  1. Op. cit., p. 6.