Atto IV

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Atto III Atto V

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ATTO QUARTO.

SCENA PRIMA.

Mariano e Lisetta.

Lisetta. Cose, Mariano mio, che fan crepar di ridere.

Se non venia a sfogarmi, io mi sentiva uccidere.
Si vede in donna Barbara della malizia il frutto;
Gli altri non sanno nulla, ma noi sappiamo tutto.
Mariano. Come sa finger bene! A chi non sa l’arcano.
Il conte d’Altomare par che le sia un estrano.
Lisetta. Quanto pregar s’è fatta a stare a lui dappresso!
Mariano. L’ha dovuta pregare perfino il padre istesso.
Lisetta. Se il Conte qualche cosa vuol darle per finezza,
Ella ricusa il dono, e il donator disprezza.
Un’avversione al Conte negli occhi suoi si vede,
E poi sotto la tavola fa giocolare il piede.

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Mariano. Che scoprir si dovesse, per certo io dubitai.

In lei cotanto spirito io non credeva mai.
Lisetta. Che dici di quel brindisi? Si può sentir di più?
Mariano. Mi ha fatto tanto ridere. Ci hai badato anche tu?
Lisetta. Se ci ho badato? Eccome! Prese in mano il bicchiere,
Disse: vo’ far un brindisi, portatemi da bere.
Poi disse: alla salute di chi non mi ha burlata.
E diè sotto la tavola al Conte una pedata.
Mariano. Stimo che la matrigna sta colle luci attente,
E con tutto il sospetto non s’accorge niente1.
Lisetta. Vedo che donna Barbara a tutto è preparata,
Ma godrei di vederla un poco imbarazzata.
Questo per me sarebbe un bel divertimento.
Zitto, un pensier bizzarro mi viene in sul momento.
Ella una tabacchiera ti diè senza pensare;
E tutti, se la vedono, la ponno ravvisare.
Facciamole una burla in mezzo della gente,
Facciam veder la scatola così per accidente.
Il padre e la matrigna diran: chi ve l’ha data?
Noi ci confonderemo, ella sarà imbrogliata.
Vedrem cosa sa dire, vedrem cosa sa fare;
Dammi la tabacchiera, e lasciami provare.
Mariano. Bella, bella davvero. Tu l’hai pensata bene.
Quando si può godere, godersela conviene.
Per metterla in cimento, trovata hai la maniera.
Ma fuor delle mie mani non va la tabacchiera.
Lisetta. Marian, tu mi fai torto. Che dubiti di me?
Mariano. Ti conosco, Lisetta, non me la cucchi affè2.
Lisetta. Veramente villano.
Mariano.   Son incivile, il so.
Ma la scatola è mia.
Lisetta.   So io quel che farò.
Mariano. Cosa farai, Lisetta?

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Lisetta.   Lo vederai di botto.

Vo’ dire a donna Barbara, che il giuramento hai rotto.

SCENA il.

Moschino e suddetti.

Moschino. Che fate qui voi altri? Domandano il caffè.

Non si vede nessuno, e gridano con me.
Lisetta. Andate a prepararlo. (a Mariano)
Mariano.   Lo zucchero ammannite (a Lisetta)
Moschino. Ehi, che scene graziose! (a Mariano e Lisetta)
Mariano.   Di che?
Lisetta.   Non so che dite.
Moschino. Donna Barbara e il Conte fan bene i fatti suoi.
Mariano. Come?
Lisetta.   Non so niente.
Moschino.   Che serve? infra di noi
Parliam liberamente. Con me si può parlare.
Lisetta. Chiaccheron! (a Mariano)
Mariano.   Linguacciuta! (a Lisetta)
Moschino.   Di più non si può fare.
Certo che ne men io me ne sarei avveduto.
Se da voi la faccenda non avessi saputo.
(a Mariano e Lisetta)
Mariano. Io sono un galantuomo; non ho detto niente3. (parte)
Lisetta. Da me non lo sapeste. Mariano è un imprudente.
(parte)

SCENA III.

Moschino, poi don Policarpio.

Moschino. La cosa apertamente non ha scoperto alcuno.

Hanno senza avvedersene parlato un po’ per uno.
Ed io che sono accorto, i detti ho confrontato,
E tutta la faccenda bel bello ho rilevato..

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Policarpio. Eccolo qui davvero.

(esce dalla porta pian piano, guardando se altri lo vede)
Moschino.   (Gran Moschin per capire!)
(da sè)
Policarpio. Moschin, narrami un poco quel che volevi dire.
Moschino. Mi fe’ quasi paura.
Policarpio.   Son venuto pian piano.
Per non esser veduto. Confidami l’arcano.
Moschino. Signore, un’altra volta.
Policarpio.   No, no, sono in sospetto.
Parlami, e un buon regalo, se parli, io ti prometto.
Moschino. Non so che dir; mi viene con tanta proprietà,
Che mi trovo forzato a dir la verità.
Signor, la vostra figlia che non vi pare accorta,
È furba come il diavolo, e fa la gatta morta.
Finge di non curarsi di ritrovar marito;
Eppure il matrimonio l’ha messa in appetito.
E sa con artifizio l’amante aver presente,
E burlasi di tutti, e alcun non sa niente.
Policarpio. Oh che ti venga il bene! non lo credeva mai.
Moschino. Ascoltate, signore, che cosa io penetrai.
Io so che coll’amante parlato ha ieri sera,
So che a certe persone donò una tabacchiera.
E queste di tacere lo so che hanno giurato.
Ma io ciò non ostante la cosa ho rilevato.
Policarpio. Presto, narrami tutto. La cosa come andò?
Chi è l’amante segreto?
Moschino.   Tutto vi narrerò.
Vi dirò dell’amante il nome ed il cognome.
Di quel ch’è succeduto, vi dirò il quando e il come.
L’amante è per l’appunto...

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SCENA IV.

Il Duca e detti.

Duca.   Signor, con permissione.

Policarpio. (Diavol, non ho potuto sentir la conclusione).
(da sè)
Vi prego di lasciarmi un poco in libertà.
(al Duca)
Duca. Ho una cosa da dirvi, che preme in verità.
Policarpio. Or ora son da voi.
Duca.   Se non la dico subito,
Signor, qualche disgrazia che si frapponga io dubito.
Policarpio. Disgrazie! che può essere? Aspettami, Moschino.
Va giù nella mia camera. Tieni questo zecchino.
(Eh! io son uomo accorto. So far coi servitori).
Moschino. Anderò ad aspettarvi. (parte)
Policarpio.   (Son pieno di timori). (da sè)
Duca. Ora che siamo soli, mi prendo la licenza
Di farvi, mio signore, del cuor la confidenza.
Voi sapete chi sono, nota è la mia famiglia.
Desidero in isposa aver la vostra figlia.
E senza farla chiedere per via d’altro soggetto.
Da voi vengo in persona con umile rispetto.
Sarà, se l’accordate, felice il mio destino.
Policarpio. (Questi sarà l’amante che volea dir Moschino).
Duca, per verità, resto sorpreso un poco.
Voi con secondo fine veniste in questo loco,
E par che non convenga a un cavalier d’onore
Sotto vel d’amicizia venire a far l’amore.
Duca. Quando qua m’introdussi, io non ci avea pensato.
Trattando colla giovine, di lei mi ho innamorato.
E se colle mie nozze m’offro a pagar l’errore,
Credo, don Policarpio, non farvi un disonore.

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Policarpio. È vero, io lo confesso, siete un gran cavaliere.

Questa buona fortuna incontro con piacere.
Ma lo sa la figliuola?
Duca.   Di lei mi comprometto.
Spero non mi ricusi.
Policarpio.   (Sì, Moschin me l’ha detto).
Ma perchè, signor Duca, meco non ispiegarvi,
Piuttosto che con altri parlare e confidarvi?
Perchè le tabacchiere donar furtivamente?
Perchè venir di sera?
Duca.   Signor, non so niente.
Policarpio. Oh via, lasciamo andare. Quello ch’è stato, è stato.
Duca. (Temo dal Cavaliere d’essere soverchiato). (da sè)
Policarpio. Ho inteso il genio vostro. Parlerò alla figliuola.
Duca. Non vi è tempo da perdere. Datemi la parola.
Policarpio. Ma perchè su due piedi?
Duca.   Perchè se ciò si sa,
Vostra moglie, signore, opponer si vorrà.
Odia la vostra figlia, quanto odiar si può mai.
Per questo il mio pensiere finor dissimulai.
Da donna Petronilla a dir più volte ho udito,
Che in vano donna Barbara puote sperar marito.
Ch’ella assolutamente comanda in questo tetto,
E che dovrà invecchiare fanciulla a suo dispetto.
Policarpio. Ed io non conto nulla?
Duca.   Signor, se il ver vi dico,
Vi domando perdono. Voi non istima un fico.
Policarpio. Oh cospetto di bacco! farò veder chi sono.
Taccio, taccio, ma poi anch’io cangierò tuono.
Non vuol che si mariti? Non vuole ad onta mia?
Non mi calcola un fico? Cosa crede ch’io sia?
Volete la figliuola?
Duca.   Non ve la chiedo in vano.
Policarpio. Barbara sarà vostra.
Duca.   Davver?

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Policarpio.   Vi do la mano.

Duca. Signor, mi consolate.
Policarpio.   L’affare è bell’e fatto.
Stassera infra di noi si stenderà il contratto.
Per or non dite nulla. Io lo dirò alla sposa,
E quando sarà fatta, pubblicherem la cosa.
Duca. Basta che non si penetri per or da vostra moglie.
Policarpio. Io son, corpo di bacco, padrone in queste soglie.
Procurerò con lei salvar la convenienza;
Ma poi, se non le piace...
Duca.   Amico, con licenza
Vo, per non dar sospetto.
Policarpio.   Genero, vi saluto.
Duca. Offro tutto me stesso al suocero in tributo. (parte)

SCENA V.

Don Policarpio, poi donna Petronilla.

Policarpio. Non mi calcola un fico? Pazienza, già lo so.

Che meco si compiace di dir sempre di no.
Ma se per me da lei non posso sperar nulla,
Non vo’ che mi precipiti almen quella fanciulla.
Ho saputo ogni cosa senza sentir Moschino.
Mi dispiace d’avere gittato uno zecchino.
Mia figlia è fatta sposa, e se la moglie mia...
Petronilla. Serva, signor consorte.
Policarpio.   Bondì a vossignoria.
Petronilla. Favorisca d’andare di là, dalla figliuola.
Ci son quei cavalieri, non la lasciamo sola.
Policarpio. Perchè non ci sta ella?
Petronilla.   Perchè non son sì matta
A prendermi tal briga; ci pensi chi l’ha fatta.
Policarpio. Certo che chi l’ha fatta, o chi l’ha fatta fare.
Per lei un qualche giorno ci doverà pensare.

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Petronilla. Cosa vuol dir, signore, che mi pare alterato?

Policarpio. Barbara è da marito, e convien darle stato.
Petronilla. E perchè me lo dice con aria prepotente?
Che si mariti pure, a me non cal niente4.
So che sarà difficile trovarle un buon partito.
Policarpio. No, non sarà difficile; si troverà il marito.
Petronilla. Voglia il ciel che lo trovi, per me non vedo l’ora;
Anzi per lei m’impegno di maneggiarmi ancora.
Farò tutto il possibile, perchè sia collocata.
(Di questo spin negli occhi meglio è sia liberata).
(da sè)
Policarpio. Manco mal che una volta voi mi diceste un sì.
Vi vorrò assai più bene, parlandomi così.
Cara consorte mia, non mi stimate un fico?
Petronilla. Chi vi ha detto tal cosa?
Policarpio.   Eh, so io quel che dico.
(parte)

SCENA VI.

Donna Petronilla.

Certo, a dir quel ch’è vero, non lo calcolo molto.

Ma come ho da stimare un uom che pare un stolto?
Sempre con delle smorfie intorno a me lo veggio,
E con noi altre donne l’importunar fa peggio.
Ora di contentarlo voglio mostrare in questo:
La sua diletta figlia a maritar m’appresto.
Non già per far un bene nè al genitor, nè a lei.
Che per questo motivo io non mi moverei;
Ma questa signorina comincia a poco a poco
Nella conversazione a avere il primo loco.
Vedo che i miei amici, vedo che i cavalieri
Le corrono d’intorno, la trattan volentieri.

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E prima che s’avanzi la cosa maggiormente,

È ben ch’io me ne liberi di questa impertinente.
Farmi che più d’ogni altro al Duca sia inclinata,
Ma non vo’ certamente che a lui sia maritata.
Che si mariti pure, anzi ne avrò piacere:
Ma chi vogl’io dee prendere; vo’ darle il Cavaliere.
Questi è il meno che stimo fra gli altri amici miei;
È un cervellin bisbetico, buono appunto per lei.
Gli ho detto che qui venga, dovrebbe esser venuto.
Fissarsi in donna Barbara anch’egli5 l’ho veduto;
Credo che non le spiaccia, e quando sia così,
Stabilirò il contratto. Appunto eccolo qui.

SCENA VII.

Il Cavaliere e la suddetta.

Cavaliere. Eccomi a’ cenni vostri.

Petronilla.   Tardi, signor; perchè?
Cavaliere. Mi sono trattenuto a bevere il caffè:
A beverlo, signora, siete di là aspettata.
Petronilla. Il caffè non mi piace; berrò la cioccolata.
Cavaliere. Dopo il pranzo?
Petronilla.   Sì certo, giova alla digestione.
Così da qui a tre ore potrò far colezione.
Cavaliere. Signora, il vostro stomaco davver poco riposa.
Petronilla. Lasciam queste fandonie, parliam d’un altra cosa.
Cavaliere, mi pare che non vi spiaccia molto
Mirar di donna Barbara furtivamente il volto.
Non è egli ver?
Cavaliere.   Signora... (mostrando di vergognarsi)
Petronilla.   Io son del vero amica;
Se in me vi confidate, non vi sarò nemica.

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Cavaliere. Certo, se voi credete ch’io fossi così ardito

Di burlar quella giovane...
Petronilla.   Siete un signor compito.
So che del vostro cuore voi le faceste un dono.
Cavalier, palesatevi, ch’io di già vi perdono.
Via, ditemi: l’amate? La verità sol bramo.
Cavaliere. Quando ho da dir il vero, ve lo confesso, io l’amo.
Petronilla. Bravo, così mi piace. Voglio saper di più...
Cavaliere. Signora, non vorrei che mi tiraste giù.
Petronilla. Povero bambolino! svelatemi ogni cosa.
Son qui per aiutarvi; la prendereste in sposa?
Cavaliere. Perchè no?
Petronilla.   Lo sapete qual sia la di lei dote?
Cavaliere. So quel che le destinano, e quel che sperar puote.
Petronilla. Facciam questo negozio?
Cavaliere.   S’io non vi dico un no,
Temo che voi mi dite6: ed io non ve la do.
Petronilla. Stupisco che formiate di me sì mal concetto.
Chiedetela in consorte, ed io ve la prometto.
Cavaliere. Ma il padre suo?
Petronilla.   Per ora lasciamolo da banda.
Io sono in questa casa che puote e che comanda.
Il contratto di nozze accordiam fra di noi,
E al signor Policarpio glielo direm di poi.
Cavaliere. Non vorrei che i discorsi fra noi riuscisser vani.
Petronilla. No, so io quel che dico.
Cavaliere.   Son nelle vostre mani.
Petronilla. Cavalier, ritornate in compagnia degli altri.
Non facciam che sospettino, perchè son furbi e scaltri.
Lasciatemi operare. Ho sentimenti umani.
Cavaliere. Altro non vi rispondo. Son nelle vostre mani.

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SCENA VIII.

Petronilla, poi Policarpio.

Petronilla. So che don Policarpio desia di maritarla.

Per moglie a un cavaliere egli non può negarla;
E circa donna Barbara, il dir d’una fanciulla,
Quando così è disposto, non contasi per nulla.
Policarpio. Posso venir? (con affettazione)
Petronilla.   Fa grazia.
Policarpio.   Se no, comandi pure.
(mostrando di ritirarsi)
Petronilla. Cosa servono adesso queste caricature?
Meglio avereste fatto a star colla figliuola;
Con tre giovani al fianco, vi par stia bene sola?
Policarpio. Barbara nel suo quarto a ritirarsi è ita.
Il Duca e il Cavaliere giocano una partita.
Il Conte alla finestra parla non so con chi;
Ed io per riverirla sono venuto qui.
Petronilla. Davver, don Policarpio, mi fate venir male.
Policarpio. Lo so, signora mia, ch’io sono un animale.
Che non mi può vedere, che non mi stima un fico.
Petronilla. Orsù che si finisca; l’ho detto e lo ridico:
Codesta affettazione un corbellar si chiama.
Portatemi rispetto, che alfìn sono una dama.
Policarpio. Via, donna Petronilla, siate un pochin più buona.
Vorrei comunicarvi...
Petronilla.   Dov’è la mia poltrona?
Policarpio. Subito ve la porto. (va a prendere la poltrona)
Petronilla.   Da ridere mi viene. (ridendo)
Policarpio. Ridete? Eh poveraccio! non mi volete bene.
Petronilla. Perchè mai dite questo?
Policarpio.   Perchè se al genio mio...
Aspettate un pochino, voglio sedere anch’io.
(va a prendere una sedia, e si pone a sedere)
Petronilla. (Ora mi muove il vomito). (da sè)

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Policarpio.   Sentite una parola....

Petronilla, Orsù, parliamo un poco della vostra figliuola.
Policarpio. Di già me l’aspettava, temete che a drittura...
Via, non dirò niente; non abbiate paura.
Parliam della figliuola. Penso di maritarla.
Petronilla. In ciò siamo d’accordo, è ben di collocarla.
Policarpio. Ella è in età discreta; di dote è provveduta,
E non è tanto sciocca.
Petronilla.   Lo so ancor io ch’è astuta.
Policarpio. Ma non saprete tutto.
Petronilla.   So forse più di voi.
Policarpio. Lo sapete che anch’ella ha gli amoretti suoi?
Petronilla. Sì, ho scoperto ogni cosa7 e so chi la pretende.
Policarpio. Come lo rilevaste?
Petronilla.   Chi ha buon orecchio, intende.
Policarpio. Che vi par del partito?
Petronilla.   Mi par che sia buonissimo.
Policarpio. Pare anche a me un figliuolo dabbene e prudentissimo.
Voi che le case nobili tutte vi saran note.
Vi pare che li meriti trenta mila di dote?8
Petronilla. Di una famiglia illustre non vi dirò ch’ei sia,
Non si può, per esempio, mettere colla mia;
Ma però in ogni modo è nato cavaliere,
E il padre della sposa non è che un finanziere.
Senza una buona dote sperar non si potrà,
Ch’ei voglia con tai nozze sporcar la nobiltà.
Policarpio. Sporcar la nobiltà?
Petronilla.   Almen non crederei
Ch’ei fosse così sciocco, come son stati i miei.
Policarpio. Dunque per me vi siete sporcata in questo loco?
Consolatevi almeno che vi ho sporcato poco.
Petronilla. Ciò non conclude nulla.

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Policarpio.   Conclude qualche cosa.

Petronilla. Dunque, per quel ch’io sento, Barbara è presto sposa.
Policarpio. Per dir la verità, temea che vi opponeste;
Ora che l’approvate, farem le cose preste.
Petronilla. Come spesso s’inganna la gente scimunita!
Teme9 non l’accordassi, ed io gliel’ho esibita.
Policarpio. Quando? Perchè mi ha detto: nol dite alla signora.
Petronilla. Credo non sia per anche passata una mezz’ora.
Policarpio. Prima o dopo di me?
Petronilla.   Non so se prima o poi.
Io so che immantinente gliel’ho permessa. E voi?
Policarpio. Anch’io diedi parola che si farà il contratto.
Petronilla. Dunque, per quel ch’io sento, il matrimonio è fatto.
Policarpio. Manca una cosa sola.
Petronilla.   Cosa mancar vi può?
Policarpio. Sentir s’ella è contenta.
Petronilla.   Eh, non dirà di no.
Policarpio. Anch’io son persuaso ch’ella dirà di sì.
Tanto più che si parlano di notte, e anche di dì.
E so di un certo fatto, di certa tabacchiera.
Basta; è ben che si sposino.
Petronilla.   Facciamolo stassera.
Policarpio. Mandiamola a chiamare.
Petronilla.   Subito. Chi è di là?

SCENA IX.

Moschino e detti.

Moschino. Comandi.

Petronilla.   Dite a Barbara, che tosto venga qua.
Moschino. Potea ben aspettarvi. (a don Policarpio)
Policarpio.   No, non sono venuto,
Perchè quel ch’io voleva, senza di te ho saputo.

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Moschino. Dunque si sa ogni cosa?

Policarpio.   Dico di sì, va via.
Moschino. Anche del matrimonio?...
Policarpio.   Chiama la figlia mia.
Moschino. (Anch’io, per dir il vero, me l’era immaginata,
Che non potea la cosa restar molto celata).
(da sè, e parte)
Petronilla. Disse di matrimonio? Che cosa dir vorrà?
Policarpio. Oh bella! è un servitore. Ei parla come sa.
Qualcosa ha inteso dire de’ suoi segreti amori.
Dice di matrimonio? Che sanno i servitori?

SCENA X.

Donna Barbara e detti.

Barbara. Son qui. Che mi comandano?

Policarpio.   Figliuola mia, sedete.
Petronilla. Che importa? In due parole quel che si vuol, saprete.
Ora vi diamo parte, che io vi ho maritata.
Ecco tutto il discorso.
Barbara.   Le son bene obbligata!
(con ammirazione ironica)
Policarpio. Certo, con buon amore ella vi fa da madre.
Ed io fo le mie parti.
Barbara.   Grazie a lei, signor padre.
Petronilla. Meglio del mio costume a giudicar pensate.
Io non vi son nemica. Vi ho provveduto. Andate.
Barbara. Mille ringraziamenti al di lei cuor pietoso.
Ma si potrebbe in grazia saper chi sia lo sposo?
Policarpio. Un che so che vi piace. L’amico di ier sera.
Barbara. Signor, non vi capisco.
Policarpio.   Quel della tabacchiera.
Barbara. Finor non so chi sia.
Petronilla.   È tal, che il genitore
Degno di voi lo crede.

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Policarpio.   È il duca di Belfiore.

Barbara. Davver? (confusa)
Petronilla.   Che cosa dite?
(alzandosi impetuosamente contro di don Policarpio)
Policarpio.   Non lo doveva dire?
(a donna Petronilla, alzandosi)
Petronilla. Il duca di Belfiore? (a don Policarpio)
Policarpio.   Cosa vi fa stupire?
(a donna Petronilla)
Petronilla. Come! io ho donna Barbara al Cavalier concessa.
Ei la chiese in isposa, ed io gliel’ho promessa.
Policarpio. Oh, questa sì davvero è un’altra fanfaluca.
Non sarà una mezz’ora ch’io l’ho promessa al Duca.
Petronilla. E deve ad ogni costo valer la mia parola.
Policarpio. Ed io son nell’impegno di dar la mia figliuola.
Petronilla. Se non l’ha il Cavaliere, nascerà un precipizio.
Policarpio. Nasca quel che sa nascere, s’ha a far lo sposalizio.
Petronilla. Io son chi sono alfine.
Policarpio.   E son chi sono anch’io.
Petronilla. E ho dato la parola.
Policarpio.   E vi è l’impegno mio.
Barbara. Posso parlar, signori?
Policarpio.   Dite voi: chi vorreste?
(a donna Barbara)
Petronilla. A lei non si domanda. Che novità son queste?
(a don Policarpio)
Policarpio. Chi è quel che è qui venuto?... (a donna barbara)
Barbara.   Quando?
Policarpio.   Dov’è Moschino?
(guardando intorno)
Petronilla. Ho promesso, e son dama. (o don Policarpio)
Policarpio.   Ed io sono un facchino?
(a donna Petronilla)
Barbara. Signori, se parlare voi non mi contraddite,
Spero trovare il modo di terminar la lite.

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Policarpio. Parlate, signorina, chi è quello che ha donato

La scatola?
Barbara.   Che scatola?
Policarpio.   Moschin, dove s’è andato?
(cercando Moschino)
Petronilla. Lasciamola parlare, sentiamo il suo concetto.
(a don Policarpio)
Ma vi avviso per bene non perdermi il rispetto.
(a donna Barbara)
Barbara. So il mio dover, signora, so quel che mi conviene
Verso una cara madre, che fa per il mio bene.
Ed egualmente io serbo con riverenza e amore
La stima ed il rispetto dovuto al genitore.
L’uno e l’altro di loro con alma generosa
Gareggiano in volermi di un cavalier la sposa.
L’un mi propone il Duca ricco di nobiltà,
E tal che potria fare la mia felicità.
L’altra del Cavaliere procurami il partito,
Ch’è un giovane brillante, ch’è un nobile marito.
E ognun tenacemente a procurar s’impegna
Per me quella fortuna, di cui ne sono indegna.
Ah, se ricuso il Duca, il genitore offendo;
Se il Cavalier ricuso, ingrata a lei mi rendo.
Al padre ed alla madre di soddisfar non lice,
E in mezzo a tanti beni io resto un’infelice.
Perdo miseramente dell’amor vostro i frutti,
E resto senza colpa ridicola con tutti.
Non è dover che il padre ceda le sue ragioni;
Dee sostener la dama le oneste pretensioni.
Ed io se non rispondo al generoso invito.
Di me più non si parla, mai più non mi marito.
No, il Duca non si lagni che il padre abbia mancato;
Della dama non dicasi il Cavalier burlato.
A me diasi la colpa; dicasi ad ambidue:
La sposa non consente; le nozze sono sue.

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Per evitar, signori, che nasca un precipizio,

Son pronta di me stessa a fare un sagrifizio.
Per l’umile rispetto, per il figliale amore,
Supero l’avversione, sagrifico il mio cuore.
Cessino fra di voi, cessin gli sdegni e l’onte;
Eccomi al duro passo. Darò la mano al Conte.
Policarpio. Cara la mia figliuola, piango per tenerezza.
Petronilla. No, cedere all’impegno saria una debolezza.
Al Cavalier la sposa promessa ho in questo loco.
L’ha da sposar, se andasse tutta la casa a fuoco.
(parte)
Barbara. La casa in precipizio per me non si riduca.
(a don Policarpio)
Policarpio. Vada in cenere il mondo, hai da sposare il Duca.
(parte)
Barbara. Più non si può tacere; dee terminar lo scherzo;
E fra due litiganti dee trionfare il terzo. (parte)

Fine dell’Atto Quarto.


Note

  1. Ed. Zatta: non se n’accorge niente.
  2. Ed. Zatta: non me l’accocchi affè.
  3. Ed. Zatta: Non ho mai detto niente
  4. Ed. Zatta: a me non cal di niente.
  5. Ed. Zatta: lui pure.
  6. Ed. Zatta: Temo che mi diciate.
  7. Ed. Zatta: ho scoperto tutto ecc.
  8. Ed. Zatta: Voi cui le case nobili tutte saran ben note, - Credete che le meritin trenta mila di dote?
  9. Zatta: Temea.