Policarpio. Parlate, signorina, chi è quello che ha donato
La scatola?
Barbara. Che scatola?
Policarpio. Moschin, dove s’è andato?
(cercando Moschino)
Petronilla. Lasciamola parlare, sentiamo il suo concetto.
(a don Policarpio)
Ma vi avviso per bene non perdermi il rispetto.
(a donna Barbara)
Barbara. So il mio dover, signora, so quel che mi conviene
Verso una cara madre, che fa per il mio bene.
Ed egualmente io serbo con riverenza e amore
La stima ed il rispetto dovuto al genitore.
L’uno e l’altro di loro con alma generosa
Gareggiano in volermi di un cavalier la sposa.
L’un mi propone il Duca ricco di nobiltà,
E tal che potria fare la mia felicità.
L’altra del Cavaliere procurami il partito,
Ch’è un giovane brillante, ch’è un nobile marito.
E ognun tenacemente a procurar s’impegna
Per me quella fortuna, di cui ne sono indegna.
Ah, se ricuso il Duca, il genitore offendo;
Se il Cavalier ricuso, ingrata a lei mi rendo.
Al padre ed alla madre di soddisfar non lice,
E in mezzo a tanti beni io resto un’infelice.
Perdo miseramente dell’amor vostro i frutti,
E resto senza colpa ridicola con tutti.
Non è dover che il padre ceda le sue ragioni;
Dee sostener la dama le oneste pretensioni.
Ed io se non rispondo al generoso invito.
Di me più non si parla, mai più non mi marito.
No, il Duca non si lagni che il padre abbia mancato;
Della dama non dicasi il Cavalier burlato.
A me diasi la colpa; dicasi ad ambidue:
La sposa non consente; le nozze sono sue.