La scienza nuova - Volume I/Libro II/Sezione II/Capitolo IV
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[CAPITOLO QUAUTO]
COROLLARI D’INTORNO ALL’ORIGINI DELLE LINGUE E DELLE LETTERE;
E, QUIVI DENTRO, L’ORIGINI DE" GEROGLIFICI, DELLE LEGGI,
DE’ NOMI, DELL’INSEGNE GENTILIZIE, DELLE MEDAGLIE, DELLE MONETE;
E QUINDI DELLA PRIMA LINGUA E LETTERATURA
DEL DIRITTO NATURAL DELLE GENTI
[Nel DU sono distinte due sole lingue: l’eroica e la volgare, la poetica e la sciolta, e corrispondono alle due grandi epoche dello spirito umano, la primitiva e l’incivilita (C/2, co. 12 e 14). Nelle Note al DU e. scoperta una lingua divina anteriore all’eroica e alla volgare, per cui la storia del linguaggio corre tre stadi, analoghi alle tre età egiziane degli dèi, degli eroi e degli uomini (CJ^’, e. 23).— La lingua divina si estende nella SN, si trova muta, e rivendica a sé, come sue diramazioni, il muto linguaggio del blasone, delle imprese eroiche militari, delle medaglie, ecc. («STV^, III, ce. 1 e 22).— In questo cap. il V. riassume tutto ciò e s’inoltra a nuovi sviluppi: il mutismo supposto nelle prime genti congiunge la prima espressione grafica col primo linguaggio, e cioè la storia delle lingue con quella della scrittura: resta quindi ampiamente spiegata l’origine delle lettere, appena intravista nel Z)Z7. Anche la storia della lingua articolata, nuovamente richiamata all’unità astratta d’un dizionario mentale comune a tutte le lingue diverse {SN^,lll, e. 41), viene compiutamente analizzata nell’originazione dei suoi elementi.]
Ora dalla Teologia de’ poeti o sia dalla Metafisica poetica, per mezzo della indi nata poetica Logica, andiamo a scuoprire l’origine delle lingue e delle lettere. D’intorno alle quali sono tante l’oppenioni quanti sono i dotti che n’hanno scritto; talché Gerardo Giovanni Vossio nella Gramatica i dice: «De literarum inventione multi multa 2 congerunt, et fuse et confuse, ut ^ ab iis incertiis ^ magis aheas quam veneras ^ dudum»; ed Ermanno
1 Gehardi Ioannis Vossii Aristarchus, sire de arte grammatica, Libri septem. Quibus censura in grani maticoSyprcBcipue veteres, exercetur; caussce linguce latince eruuntur; scriptores romani illustrantur vel emendantur, Editio secunda pluribus locis aucta (Amstelaed., Ex off. Ioan. Blaev, MDCLXII), I, e. 9, p. 37.
2 multa multi. ’ adeo ut.
- pene incertus.
’ fueras. 268 LIBRO SKCONUO — SEZIONK SECONDA CAPITOLO QUARTO
Ugone, De origine scrihendi i, osserva: «Nulla 2 alia res est, in qua plures magisque pìignantes sententice reperiantur, atque hcec tractatio de literarnm ^ et scriptionis origine. Quantce sententiarmn pugnce? quid credas ’ì quid non credas?». Onde ia) Beruando da Melinckrot, De arte typographica * seguito in ciò da Ingewaldo Elingio, De historia linguce gnecce ^, per l’incomprendevolità della guisa (b) disse essere ritruovato divino.
Ma la difficoltà della guisa fu fatta da tutti i dotti, per ciò ch’essi stimarono cose separate l’origini delle lettere dall’origini delle lingue, le quali erano per natura congionte. E ’l dovevan pur avvertire dalle voci «gramatica» e «caratteri». Dalla prima, che «gramatica» si difiinisce «arte di parlare» e «yP-l’-P-^^» sono le lettere; talché sarebbe a diffinirsi «arte di scrivere», qual Aristotile la diffini 6 e qual infatti ella dapprima nacque;
{a) nella Novella letteraria udimmo Bernardo, ecc. [ma CMA^: queste parole sou da cassarsi per ciò che sul principio si è detto nelr Occasione di meditarsi quesf opera ’].
(6) indovinando, qual noi in fatti or or scovriremo, essere ritrovato divino, ecc.
1 Hermanxus Hugo Societatis le su, De prima scribendi origine et universce rei literarice antiquitate. Cui notas, opusculum de scribis, apologiam prò Wcechtlero, prafationes et indices adiecit C. H. Trotz iurisconsultus (Traiecti ad R., Ap. Herman. Besseling, MDCCXXXVIII), e. IH, pp. 13-4.
2 Non.
^ de prima literaruni.
- De oriu et pregressa artis typoyraphicm, Dissertatio historica, hi qua, prater
alia pleraque ad calcographices negocium spectantia,de auctoribus et loco inventionis prcecipue inquirilur, Proque Moguntinis cantra Harlemenses concluditur, a BerXARDO A Mallinkrot, Decano Monasteriensi ac C. Mindensi (Colonia Agripp., Ap. Ioan. Kinchium, MDGXXXX). Ma in questo libro non v’è nulla di quel che accenna il V. — n Weber avverte che il V. lo citò in iscarabio dell’altra opera del Mal.: De natura et usu literarutn (Monasterii Westfalia-, 1638); ma mentre, dopo molte inutili ricerche di quest’ultima opera a Napoli e fuori, provavo la soddisfazione di trovarne segnata una copia nel catalogo della Brancacciana (XXI,B, 17), ebbi la brutta sorpresa di sentirmi dire che il libro s’era smarrito.
5 Laurentii Ingewaldi Elingii, In Regia l’psal. Academ. P. P. Ordin., Historia grcBcce linguce, cum proefat. Adami Rechenbergii, P. P. Lipsiensis (Lipsiir, Impens.
loh. Frid. Glcditsch, A. MDCXCl), s XIII, p. 49: ^ Hanc artem [la scrittura], ipso
Deo monstrante, ab Adamo inventam ac excultam r,.
• Arist., y’op., VI, 5, -2, p. 142; il quale, per altro, dice che definizione difettosa della grammatica darebbe chi la chiamasse «arte dello scrivere • senza aggiungere «e del leggere».
’ Si veda p. 11, n. 2. ORIGINI DELLE LINGUE E DELLE LETTERE 289
come qui si dimostrerà che tutte le nazioni prima parlarono scrivendo (a), come quelle che furon dapprima mutole. Di poi «caratteri» voglion dire «idee», «forme», «modelli»; e certamente furono innanzi que’ de’ poeti che quelli de’ suoni articolati, come Giuseffo vigorosamente sostiene contro Appione greco gr amati co che a’ tempi d’Omero non si erano ancor truovate le lettere dette «volgari» i. Oltracciò, se tali lettere fussero forme de’ suoni articolati e non segni a placito, dovrebbero appo tutte le nazioni esser uniformi, com’essi suoni articolati son uniformi appo tutte (&). Per tal guisa disperata a sapersi, non si è saputo il pensare delle prime nazioni per caratteri poetici, né ’1 parlare per favole, né lo scrivere per geroglifici; che dovevan esser i principii, che di lor natura han da esser certissimi, cosi della Filosofia per l’umane idee, come della Filologia per l’umane voci. In si fatto ragionamento dovendo qui noi entrare, daremo un picciol saggio delle tante oppenioni che se ne sono avute, o incerte o leggieri o sconce o boriose o ridevoli, le quali, perocché sono tante e tali (e), si debbono tralasciare di riferirsi. Il saggio sia questo: che perocché a’ tempi barbari ritornati la Scandinavia, ovvero Scanzia, per la boria delle nazioni fu detta «vagina gentium» 2 e fu creduta la madre di tutte l’altre del mondo,
(a) e poi con voci articolate; [CMA^] e ne restò eterna propietà che nelle lingue natie la Gramatica non insegna altro che di scrivere, [OiV/^^j e con ciò di leggere. Dipoi caratteri^ ecc.
(b) Onde bassi a conchiudere che questa Scienza incomincia da’ principii veri, perchè incomincia dalle spiegate guise con le quali nacquero e le lingue e le lettere che ne debbono spiegar i primi parlari delle nazioni; che dovevan esse, ecc
(e) dovrebbono trallasciare di riferirsi. Ma perchè non sospetti il leggitore di noi ciò che molti autori fanno (e particolarmente oggidì), i quali, per promuovere le sole cose scritte da essi, non solo non espongono alla libertà di chi legge le cose scrittene dagli altri, ma anco vietan loro di leggerle, ci piace, per soddisfarlo, arrecargliene qualcheduna; come quella che perocché, ecc.
1 Si veda pp. 92, 117.
- lORKAXDES, De reb. getic, e. 4 a princ. 1 Scamia instila, quoti officina gentium,
aut certe velut vagina nationum». 270 LIBRO SECONDO — SEZIONE SECONDA CAPITOLO QUARTO
per la boria de’ dotti furono d’oppenione Giovanni ed Olao Magni 1 ch’i loro Goti avessero conservate le lettere fin dal priacipio del mondo, divinamente ritruovate da Adamo; del qual sogno si risero tutti i dotti. Ma non pei’tanto si restò di seguirgli e d’avanzargli Giovanni Goropio Becano, che la sua lingua cimbrica, la quale non molto si discosta dalla sassonica, fa egli venire dal paradiso terrestre e che sia la madre di tutte l’altre 2; della qual oppenione fecero le favole Giuseppe Giusto Scaligero 3, Giovanni Camerario *, Cristoforo Brecmanno fa) ^ e Martino
(a) in Manuductione ad linguam latinam, e Martino Scoockio in Fabula harlemensi. E pure, ecc.
1 Gothorum Sueonumque historia, ex probatis antiquorum monumentis collecta et in xxiiij libros redacta, Autore Io. Magno Gotho, Archiepiscopo Upsalensi, Cmw Indice rerum ac gestorum memorabilium locupletissimo (Basilese, Ex off. Isingriniana, anno a Christo nato MDLVIII), I, e. 7, pp. 30-1: Longe ante inventas literas latìnas... Gothi suas literas habuerunt. Cuius rei iudicium proestant eximice m,agnitudinis saxa, veterurn bustis ac specubus apud Gothos affixa: quce literarum formis insculpta persuadere possint quod ante universale Diluvium, vel paulo post, gigantea virtute ibi erecta fiiissent ^. — Le medesime cose, citando anche l’opera del fratello, ripete Olao Magxo, nel De gentinm septentrionalium variis conditionibus, statibusve et de niorum, rituuin, superstitionum, exercitiorum, regiminis, disciplin<p, victtisque mirabili diversitate, ecc., I, c. 36 (ediz. di Basilea, 1567, pp. 46-7; e traduz. ital., In Venezia, Appresso i Giunti, MDLXV, fol. 22.]
2 È la tesi sostenuta dal B. in tutte le sue opere. Si veda, per es., Hermathena (Antuerpia?, Ex off. Christoph. Plautini, MDLXXX, passim, e specialmente Origi?ies Antiverpianoe, sive Cimmeriorum Becceselana novem libros complexa (Antuerpiiv, Ex offic. Christophori Plautini Plantini MDLXIX), lib. V, I/idoscytica, p. 534 sgg.
8 Illustrissimi viri Iosephi Scaligeri, lulii Ca;s. a Burden f., Epistolve omnes quce reperiri potuerunt, mine primum collectce ac editce ’Lugduni Batavor., Ex offic. Bonavent. et Abrahami Elzevir, MDCXXVII), lib. II, ep. 146, a Marco Velsero (Lugd. Batav., Ili Kal. febr. MDC). p. 364: ^ Ut ille vir [il Becano] nihil aliud ostendei-e illis suis scriptìs videatur velie quam sibi otiuni superfuisse quo ad levia ingenia oblectunda abuteretur».
- Operie i Horarum Subcisivarutn >’, sive Meditationes historicce, continentes accuratum
delectum memorabilium hintoriarum et rerum tam veterurn quam recentiuni, singulari studio invicem collatarum qua; omnia lectoribus tiberem admodum fructum et liberalem pariter oblectationem ufferre poterunt, Centuria tertia una cum Indice locupletissimo, Philippo [non Giovanni] Camerario, loh. fil. iuriscons. et Reipubl. noriCcT a consiliis, auctore (Francof., Typ. Fried. Weissii, Sumptib. Ioachimi Wildii, bibliop. Rostoch., A. MDCL;, e. 62, p. 222: i Hoc fatesi del Becano] acuti ingenti exercitium iucundum potius lectu, quam vera esse quce arguii, a plerisque exìstirnatur >. Cfr. anche c. 65, p. 234.
’ Christiani Becmani bornensi.s Manuductio ad latinam, linguam nec non de orìyinibus latina; linguce, Quibus passim alia inulta PliilolugifP propria prò meliori ORIGINI DELLE LINGUK E DELLE LETTERE 271
Scoockio 1. E pure tal boria più goniiò e ruppe in quella d’01 ao Rudbechio, nella sua opera intitolata Atlantica^ che vuole le lettere greche esser nate dalle rune, e che queste sien le fenicie ’ rivolte, le quali Cadmo rendette nell’ordine e nel suono simili all’ebraiche, e finalmente i Greci l’avessero dirizzate e tornate col regolo e col compasso 2; e perchè il ritruovatore tra essi è detto «Mercurouman», vuole che ’1 Mercurio che ritruovò le lettere agli Egizi sia stato goto (a) ^. Cotanta licenza di oppinare
(a) la qual oppenione da tutti è stata ripresa di ardita e di stravagante. Cotanta, ecc.
vocum ac rerum cognitione inserta sunt, Ambo nunc quartum et quìdem multo auctius, sed et melius, edita (Hanoviae, Sumptib. Clementis Schleichii et vidues Danielis Aubrii. Anno MDCXXIX), e. 5 (dedicato quasi tutto contro il Becano), pp. 23-34.
^ Martini Schoockii Fabula Hamelensis, sive disquisitio historica, qua,prcemissa generali dissertatione de historice veritate, ostenditur, commenti ratione habere, qua vulgo circumferuntur de infausto exitu puerorum, hamelensium, Editio secunda priori altero tanto auctior et emendatior (Groningse, Typ. Francisci Bronchorstii, civitatis Gronganse ord. typ., a. 1662), e. 2, pp. 6-7. — Si veda ancora intorno all’argomento una lettera di Giusto Lipsio a Enrico Schott (Lovanii, xiv kal. ian. MDCXIX), in Opera omnia (Antuerpiae, Ex off. Plantiniana, MDGXXXVII), II, p. 493 sgg.
2 Olf Rudbeks Atland eller Manheim, Dedan. Japhets afkomne, de fornemste Keyserlige och Kungelige Glechter ut till hela icerlden, henne att styra, utgangne aro, sa och desse efterfoliande Folck utogade, nembligen Skyttar, Borbarn, Asar, Jettar, Giotar, Phryger, Trojaner, Amaizor, Traser, Lyber, Maurer, Tussar, Kaller, Kiempar, Kitnrar, Saxer, Ger^nen, Swear, Longobarder, Wandaler, Herular, Gepar, Tydskar, Anglar. Paitar, Danar, Siukampar, och fiera de som i iverket wisas skola [Atlantica sive Manheim, Vera Japheti posterorum sedes ac patria, ex qua non tantum Monarchce et Reges ad totum fere orbem reliquum regendum ac domandum, Stirpesque suas in eo condendas, sed etiam Scythoe... Sicambri aliique virtute davi et celebres populi olim exierunt] (Upsalae, Excudit Henricus Curio, S. R. M. et Acaderaite Upsal. Bibliopola, s. a.) dano-latino, I, cap. xxxviii: De runis eorumque antiquitale et ad Grcecos transitu, p. 843: «Cumque apud maiores nostros in usu olim fuerint trium generurn runce: rectce, inversce et pronce, iam Phaenicum literas plerusque nihil aliud quam runas inversas esse monstrabimus. Quas autem isti literas ultra numerum runis respondentem, aut etiam runis dissimiles habent, eas ab Hebrceìs vel Caldceis haustas vel ab ipsis Phcenicibus excogitatas, esse liquet s. — Cfr. anche Tridie Del [Pars tertia] (Upsalse, Typis et impensis Authoris. Anno MDCXCVIII), cap. I: De antiquissima Hyperboreorum, maiorum nostrorum scriptis, deque Grcecorum et aliorum, populorum aliquid ex illis excerpendi more., • Op. cit., I, e. xxxii {De Heimdalo, Hermodo, As et Mercurio), p. 733: «Ex Atlantico hoc sanguine bini prognati sunt Mercurii cognominis, quorum unus Scanditi nunquam excessit, alter primce emigrationis tempore in.Egyptum pervenisse putatur >. E dopo avere lungamente dissertato intorno alla radice di <iMer 272 LIBRO SECONDO — SEZIONK SECONDA — CAPITOLO QUARTO
d’intorno all’origini delle lettere deve far accorto il leggitore a ricevere queste cose che noi ne diremo, non solo con indifferenza di vedere che arrechino in mezzo di nuovo, ma con attenzione di meditarvi e prenderle, quali debbon essere, per principii di tutto r umano e divino sapere (a) della gentilità.
Perchè da questi principii: di concepir i primi uomini della gentilità l’idee delle cose per caratteri fantastici di sostanze animate e mutoli; di spiegarsi con atti o corpi ch’avessero naturali rapporti all’idee (quanto, per esemplo, lo hanno l’atto di tre volte falciare o tre spighe, per significare «tre anni»), e sì, spiegarsi con lingua che naturalmente significasse, che Platone e Giamblico dicevano essersi una volta parlata nel mondo (b) i (che deve essere stata l’antichissima lingua atlantica, la quale eruditi ~ vogliono
(a) che tutto da questi principii si fa dipendere e vi si fa reggere per questa Scienza. Perchè, ecc.
(è) doveva Aristotile incominciare la sua Periermenia o sia «interpretazione de’ nomi», che, come si è sopra detto, cosi non sarebbe in ciò stato contrario a Platone; e Platon doveva andarla a ritrovare nel Cratilo, ove con magnanimo conato il tentò e con infelice evento noi consegui. E generalmente da questi principii, ecc.
cMmts», che sostiene sia il vocabolo danese <i Merkia», che significa «Ugno lapidique literas vel notas incidere, item scribere, adnotare» ecc. (p. 736), il R. conchjude (p. 742): ’^ Quamquam autern Grceci Latinique Mercurium prò literarum inventore hahuerint, tamen cuin neutri eorum ac ne quidern ipsi Hebroei uUuin passim deant vocabulum cum his nostri» Merke et Merkissmdn, sono vel scriptione conveniens quo quidem literce aut literati aut al/quid ad rem liierariam spectans designetur, et iiihilominus inventar literarum Mercurius a literis vocetur, utique apud eos onines id nominis peregrinnm esse oportebit»; — donde la conseguenza dell’origine scandinava dell’inventore delle lettere.— Il V. poi scrive «Merkurouman», perchè, ignaro dell’alfabeto gotico, interpetra pel dittongo «oo» scritto alla greca il doppio «s» scritto alla tedesca nella parola «Merkurssman» (Mercurio), che ricorre nella p. 740.» Si veda p. 142.
- Il Garofalo, scordandosi completamente che al tempo del V., e per molti anni
appresso (cf r. p. e. l’opera del Baillv, il famoso maire parigino: Lettres [al Voltaire] sur l’Atlantide de Platon et sur l’ancienne histoire de l’Asie, A Londres, Chez M. Elmsly, A Paris, Chez Debure 1779), c’erano molti uomini d’ingegno che giuravano sull’effettiva esistenza dell’isola Atlantide, dà a questo proposito per circa due pagine (160-1) la berlina al filosofo napoletano. E tra l’altro dice: «Noi ignoriamo gli eruditi i quali vogliono che la lingua atlantica spiccasse (sir corr: Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/369 Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/370 Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/371 Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/372 Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/373 Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/374 Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/375 Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/376 ORIGINI DELLE LINGUE E DELLE LETTERE 281
fici. Nell’Indie occidentali (a) ^ i Messicani furono ritruovati scriver per geroglifici, e Giovanni di Laet nella sua Descrizione della Nuova Indiai descrive i geroglifici degl’Indiani essere diversi capi d’animali, piante, fiori, frutte, e per gli loro ceppi distinguere le famiglie; ch’è lo stesso uso appunto e’ hanno l’armi gentilizie nel mondo nostro. Neil’Indie orientali i Chinesi tuttavia scrivono per geroglifici 3.
Cosi è sventata cotal boria de’ dotti che vennero appresso (che tanto non osò gonfiare quella de’ boriosissimi Egizi): che gli altri sappienti del mondo avessero appreso da essi di nascondere la loro sapienza riposta sotto de’ geroglifici (&).
Posti tali principii di Logica poetica e dileguata tal boria de’ dotti, ritorniamo alle tre lingue degli Egizi. Nella prima delle quali, ch’è quella degli dèi, come si è avvisato nelle Degnità *, per gli Greci vi conviene Omero, che in cinque luoghi di tutti e due i suoi poemi (e) fa menzione d’una lingua più antica della sua, la qual è certamente lingua eroica, e la chiama «lingua degli
(a) fin a tre secoli fa nascoste a tutto l’antico mondo, i Messicani, ecc.
(6) Onde s’intenda con quanto di scienza scrissero Giamblico, De mysteriis e Valeriano, De hieroglyphicis jEgyptiorum! &. — Posti tali principii, ecc.
(e) osservati e riferiti da noi nelle Note al Diritto universale e qui indicati nelle Degnità 6, fa menzione.
1 L’autografo e il testo a stampa hanno propriamente «orientali», raa il trascorso di penna è evidente. «Occidentali» ha d’altronde SN^.
’^ Novùs orbis, seu Descriptio Indice Occidentalis, Libri XVIII, Authore Io ANNE DE Laet Antuerp., Novis tabulis geographicis et variis animantium, plantarum fructuumque iconibus illustrati (Lugd. Batav., Ap. Elzcvirios, 1633;, 1., e. 10, p. 241:
«Mexicani picturis quibusdam. velati hieroglyphicis notis, mentem suam satis
dextre exprimebant s.
- Si veda più oltre, cap. V.
- Degn. XXIX.
’ Hieroglyphica, sive de sacris Jigyptioruni aliorutnque gentiuni literis, Commentava IOANNIS PlERIl YaLERIANI BolZANII BellunenSlS, A (’(KLIO Curione ditobus libris aucti et tntiìtis imaginibus illustrati, Nunc rero custigatius quatn unquam editi, mendisque quamplurimis repurgati (Liigduni, Ap. Barth. Honoratum, MDLXXIX); e cfr. traduz. ital. di «varii et eccellenti leterati» (In Venezia,.ppresso Gio. Antonio e Giacomo de’ Franceschi, MDCII).
8 Si veda p. 167, n. 6. Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/378 Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/379 Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/380 Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/381 Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/382 Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/383 Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/384 Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/385 Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/386 Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/387 Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/388 Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/389 Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/390 Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/391 296 LIBRO SECONDO — SEZIONE SECONDA — CAPITOLO QDAKTO
verbo «uro ’>, «bruciare»; a’ quali, dallo stesso fischio del fulmine, dovette venire «cel», uno de’ monosillabi d’Ausonio i, ma con pronunziarlo con la «g» degli Spagnuoli, perchè costi l’argutezza del medesimo Ausonio, ove di Venere cosi bisquitta:
Nata salo, suscepta solo, patre edita cce’o 2.
Dentro le quali origini è da avvertirsi che, con la stessa sublimità dell’invenzione della favola di Giove, qual abbiamo sopra osservato, incomincia egualmente sublime la locuzion poetica con l’onomatopea; la quale certamente Dionigi Longino 3 pone tra’ fonti del sublime, e l’awertisce, appo Omero, nel suono che diede l’occhio di Polifemo. quando vi si ficcò la trave infuocata da Ulisse, che fece «oT» *• Seguitarono a formarsi le voci umane con l’interiezioni, che sono voci articolate all’empito di passioni violenti, che ’n tutte le lingue son monosillabe. Onde non è fuori del verisimile che, da’ primi fulmini incominciata a destarsi negli uomini la maraviglia, nascesse la prima interiezione da quella di Giove, formata con la voce «pa!», e che poi restò raddoppiata «pape!», interiezione di maraviglia, onde poi nacque a Giove il titolo di «padre degli uomini e degli dèi» e, quindi appresso, che tutti gli dèi se ne dicessero padri, e madri tutte le dèe; di che restaron a’ Latini le voci «lupiter», «Diespiter», «Marspiter», «Inno genitrix». La quale certamente le favole narranci essere stata sterile; e osservammo, sopra. tanti altri dèi e dèe nel cielo non contrarre tra essolor matrimonio (perchè Venere fu detta «concubina», non già «moglie» di Marte), e nulla di meno tutti appellavansi «padri» (a) fdi che vi hanno al (a) [CMA^] come Giove il professa nel consiglio celeste appresso Lucilio [seguono i versi riprodotti a p. 167 n. 2], perocché tutti gli dèi si dissero padri, ecc.
1 Technopcegnion [Edyll. XII]. 14 (Grammaticomastix), v. 17, ediz. Peiper, p. 168: < ZTnde Rudinus ait 1 divum domus altisonuni e mi?».
2 Epigr.,.")2 [33], ed. cit., p..831: «Oria salo», ecc.
- Nella aez. Vili, Longino pone cinque fonti del sublime: 1) «felix sentenfiarum copia *, 2} «vehetnens affectua ’>, 3) ■j figurarum concinna varietas s 4 «elocutio • 5) < magnifica compositio /■: senza nominare l’onomatopea, e tanto meno addui-iv l’esempio omerico cit. dal V.
- Od., I, 394 ORIGINI DELLE LINGUE K DELLE LETTERE 297
culli versi di Lucilio, riferiti nelle Note al Diritto universale). E si dissero «padi’i», nel senso nel quale «patrare» dovette significare dapprima «il fare», ch’è propio di Dio; come vi conviene anco la lingua santa, ch’in narrando la criazione dei mondo dice ohe nel settimo giorno Iddio riposò «ab opere quod patrarat» i. Quindi dev’essere stato detto «impetrare» (che si disse quasi «impatrare»), che nella scienza augurale si diceva «impetrire», ch’era «riportar il buon augurio», della cui origine dicono tante inezie i latini gramatici 2; lo che pruova che la prima interpetrazione fu delle leggi divine ordinate con gli auspicii, così detta quasi «interpatratio».
Or si fatto divino titolo, per la naturai ambizione dell’umana superbia, avendosi arrogato gli uomini potenti nello stato delle
1 f.... ab universo opere >, ecc. (Gen. II, 2).
2 Con r espressione «latini gramatici» il V. vuol indicare qui «scrittori che si sono occupati della lingua latina», alludendo senza dubbio a Paolo Manuzio, Giuseppe Scaligero e Francesco Hotman. Dei quali il primo, a proposito di un passo di Cicerone (Z)e iii«iw. 1, 16: «Nam,utnunc exHs..., sic tum avibus magiioe ras impetriri solebant’-. cfr. anche II, 15, nonché Flavt., Asin., I, 2, 11: i^ Impetritum, inauguratum ’si: quoveis admittunt aveis i>), dice: «Est... < impetrivi ■;• vetus augurale verbum... Restituendus est etiatn locus ille apud Valerium, lib. I, e. l.: «Prisco etiam instituto rebus divinis opera daiur, cum aliquid comtnendandum est. precatione: cum exposcendum voto: cum inquirendum vel sortibus, impetrito ■’, non, ut vulgo legiiur. ’ impertito >. Quod autem hoc ipso in libro legitur ’f-impetrandis consulendisqtie rebus i, malim legere ’■ impetriendis > quam «impetrandis-^. Diversa enitn sunt «impetrire» et? impetrare».■ non eìiim Festus, sed opinar Paullus Diaconus] illud scripsit: «Impetritum, impetratum ■> (cfr. M. T. Ciceeonis Libri de divinatione et de fato, Recensuit et suis animadversionibus illustravit ac emeiidavit IoanNES Davisius, Accedunt integrce notte Paolli Manocii, Petri Victorii, ecc., Editio secunda, Oantabrigise, 1730, p. 33, nota 1). — Lo Scaligero nel suo commento a Festo (cfr. Sexti Pomp. Frsti et Mar. Verrii Flacci/Jc verborum significatione lib. XX itotis et eineìidationibus illustravit Andreas Dacerius.... Accedunt in hac nova editione notce integrce Iosephi Scaligeri, Fulvii Ursini et.4ntonii Augustini, Amstelodami, Sumptibus Huguetanorum, MDCC, p. 181, n. 1, firmat.i per l’appunto ". los. Scaliger. >), dice: «Im petritum — Glossarium: impetratum, Gusix. Non piane explicavit; sed si dixisset xaXXiépVjatj. In sacrificiis quod «litare» est, id in auspiciis «impetrire». Nihil aliud est quam < impetrare». Sic dicebant t artituni " prò -.artuto-, «dolitum ■■ prò «dotato-. — E finalmente l’Hotman, Observation. et emendation., lib. IV, cap. 3 (cfr. anche lib. VI, cap. 11), in Opera, ed. cil., P, coli. 106-7: • Duo doctissimi viri [cioè il Manuzio e lo Scaligero] aniilkidverteruìtt et annotarunt in Cic, ecc, ’ impetriri •■> legendum esse prò • impetrari»; esseque hoc vetus et augurale verbum.. Sed nemo quod sciam explicat proprie quid sibi hoc vetus verbum. velit. Ego ex loco Ammiani Marcellini... coniecturum copio ■’■ impetrire ■■> aves dici, cum pedihus terrarn attingunt -., 298 LIBEO SECONDO SEZIONE SECONDA CAPITOLO QUARTO
famiglie, essi si appellarono «padri» (lo che forse diede motivo alla volgar tradizione (a) ch’i primi uomini potenti della terra si fecero adorare per dèi) (b); ma per la pietà dovuta ai numi, quelli i numi dissero «dèi», e appresso anco, presosi gli uomini potenti delle prime città il nome di «dèi», per la stessa pietà, i numi dissero «dèi immortali», a differenza dei «dèi mortali» ch’eran tali uomini. Ma in ciò si può avvertire la goffaggine di tal giganti, qual i viaggiatori narrano de los Patacones. Della quale vi ha un bel vestigio in latinità, lasciatoci nell’antiche voci «pipulum» e «pipare» nel significato di «querela» e di «querelarsi», che dovette venire dall’interiezione di lamento «pi, pi»; nel qual sentimento vogliono che «pipulum» appresso Plauto 1 sia lo stesso che «ohvagulatio» delle XII Tavole 2, la qual voce deve venir da «vagire», ch’è propio il piagnere de’ fanciulli (e). Talché è necessario dall’inteinezione di spavento esser nata a’ Greci la voce «naidv», incominciata da «^tai»; di che vi ha appo essi un’aurea tradizione antichissima: ch’i Greci, spaventati dal gran serpente detto Pitone, invocarono in loro soccorso Apollo con quelle voci: «tw nativ»^ che prima tre volte batterono tarde, essendo illanguiditi dallo spavento, e poi, per lo giubilo perch’avevalo Apollo ucciso, gli acclamarono, altrettante volte battendole preste, col dividere l’«w» in due <s.» e ’1 dittongo «ai» in due sillabe 3. Onde nacque naturalmente il verso eroico
(a) [CitfA^] della quale parlocci sopra Lattanzio nelle Degnità, ch’i primi uomini, ecc.
[h) CMA^] ì numi si presero i titoli di «dèi» e «dèe», che lor appresso restarono. Ma in ciò, ecc.
(e) [CMA^ perchè nelle Degnità dicemmo i primi autori delle nazioni esser stati i fanciulli del mondo. Talché, ecc.
^ Aulul., vv. 398-9, in cui Congrio dice: «/ia?ne bene amet laverna, te iam, nisi reddi | Mihi vasa iubes, pi pula heic disferani ante cedeis».
2 Fest., ad V.: ^Vagulatio in L. XII significat guastionem cum convicio: t Cui testimoniuìn defuerit, is tertiis diebus ob portum obvaguìatum ito».
3 Giova riferire il pa.sso esatto di Ateneo, XV, 62, p. 701, a cui evidentemente il
V. si riferisce, ma non senza mutarne il contenuto: «KXéap)(Og 6 SoXeùg
Èv Tù> npoxépoì Eetiì IIapoi|j.i.(tìv — Ty)v A7ji:(b — cpy;aiv — ix XaX, x’.5og zfiz Eùpoiag ’avaxoiit^ouaav eìg AsXcpoùg ’AmóXXiova xai’Apxsiiiv ORIGINI DELLE LINGUE E DELLE LETTERE 299
prima spondaico, e poi divenne dattilico; e ne restò quella eterna propietà: ch’egli in tutte l’altre sedi cede il luogo al dattilo, fuorché nell’ultima. E naturalmente nacque il canto, misurato dal verso eroico, agl’impeti di passioni violentissime; siccome tuttavia osserviamo nelle grandi passioni gli uomini dar nel canto (a) e, sopra tutti, i soinmamente afflitti ed allegri, come si è detto nelle Degnità 1. Lo che qui detto, quindi a poco recherà molto uso, ove ragioneremo dell’origini del canto e de’ versi.
S’innoltrarono a formar i pronomi; imperocché l’interiezioni sfogano le passioni propie, lo che si fa anco da soli, ma i pro («) e nacque con voci monosillabe, siccome sono monosillabe nella musica le sei note del canto ^; lo che qui detto, ecc.
yevéoGai Tiapà tò xoù xXvjGévtog IIóGctìvog oTiYjXaiov. xaì cpspo(isvou xoD nù9(ovog ’eu’aùxoDg, -^i ArjxQ) xwv TiaiSwv xòv Ixepov sv xatg ày^aXaig èyooaa, Ttpoapàaa xà XLBm xtp vùv sxi y.£t|jisv(;j òkò xw tzoòì zfjz •xaXx’^g sìpyaojjiévyjg Arjxoùg, o XTjg xóxs Tipagewg iJit|xvj|ia fB^óiBvov àvàxetxai Ttapà xyjv iiXdxoi.wow sv AsX^olg, sìtcsv: «l’s irai!» xo^sìv Ss xóga {isxà )(s"tp*S syovxa xòv ’AuóXXcavx. to’jxo S’soxiv, d)g av siTioi xtg: «acpts Tiac» xat «PocXs ncù». 5ió7rsp, dcnò xoóxou Xs)(6^va( (paai xo: «is Tzai» xaì «l’s Tiaicóv». Indi, dopo essersi notato che alcuni dicono «ÌY) iratwv», invece di «ìs Tcaì», e che è manifestamente inventato quel che dice l’Eraclide Pontico: «èrcì oTrovSalg loòzo nptóxov eig xpìg sluslv xòv 6sòv oOxcog «Iri Tiaiàv, Irj uaitòv», si soggiunge- «sx xaóxvjg y*? x^5 ttCoxswj xò xpifisxpov xaXou|j,svov àvaxóQvjat xcp Gsqi, cpcJjxoov «xoù Gsoù xoOG’Ixaxspov slvat xtòv [xéxpwv • Sxi [xaxpwv p,èv xcóv Tipòjxcov 8Ó0 aóXXapwv Xsyojjisvo!) «"iyj Tiiaiàv», ripcpov ytvsxai Spaxécog Sé Xs-/Gstacóv, ìajjipsiov Sia 5è xoùxo S’^Xov, 5xi xai xòv iaijipov àvaGsxsov aòxcp. ppa-)(Siù)v yoùv yi’^’oiJ’SVttìv, sì Suo xàg àTiaoàiv xsXsuxaiag auXXaPàg EÌg [laxpàv TTOti^asi xig, ó ’In7i:(i)vaxxos "iappog saxai». Ofr. d’altronde Callimach., Hymnus in Apollinem, tv. 21 e 97 sgg. (che ha la forma «ìvj Ttai^ov»)j Claudia^., Prcef. in Rufinum v. 11 («Omnis» /o Pcean regio sonet») ecc. — Si vedano ancora le Poesie varie del V., ediz. Croce, p. 317 n.
1 Degn. LIX.
2 È chiaro che parlando di sei, anziché di sette note musicali, il V. volesse riferirsi ancora alla vecchia gamma hexacordale di Guido d’Arezzo {«■ ut [do], re,*ini, fa, sol, la»), nella quale il settimo grado (la nota «sensibile»), essendo ritenuto (che non è) di suono variabile, non aveva alcun nome, ma era indicata con la lettera «B». Senonchè fin dal sec. XVII, sembra per opera di Francesco Lemaire, era diventato d’uso comune chiamare la sensibile col nome attuale di «si». 300 LIBRO SECONDO 8KZI0NK SECONDA — CAPITOLO QUARTO
nomi servono per comunicare le nostre idee con altrui d’intorno a quelle cose che co’ nomi propi o noi non sappiamo appellare altri non sappia intendere. E i pronomi, pur quasi tutti, in tutte le lingue la maggior parte son monosillabi; il primo de’ quali, almeno tra’ primi, dovett’esser quello di che n’è rimasto quel luogo d’oro d’Ennio i:
Aspice hoc sublime cadens, qiiem omnes mvocanl lovem,
ov’è detto «hoc», invece di «coelwm», e ne restò in volgar latino:
Luciscit hoc iam 2,
invece di «albescit codimi». E gli articoli dalla lor nascita hanno questa eterna propietà: d’andare innanzi a’ nomi a’ quali son attaccati.
Dopo si formarono le particelle, delle quali sono gran parte le preposizioni, che pure quasi in tutte le lingue son monosillabe; che conservano col nome questa eterna propietà: di andar innanzi a’ nomi che le domandano e a’ verbi co’ quali vanno a comporsi.
Tratto tratto s’andarono formando i nomi; de’ quali n.eV Origini delhi lingua latina, ritruovate (a) in quest’opera la prima volta stampata 3, si novera una gran quantità nati dentro del Lazio (dalla vita d’essi Latini selvaggia, per la contadinesca, infin alla prima
(a) nella Scienza nuova [CMA^] prima, [SN^] tutt’altre da quelle che ne pensarono nelle Cagioni Giulio Cesare Scaligero * e Francesco Sanzio ^, abbiamo dimostro più centinaia nati, ecc.
1 In Cic, De nat. deor., II, 2 e 25; III, 4 e 16.
2 Plaut., Amphitr., v. 387. Cfr. anche Mil. glor., v. 218 («lucet hoc*).
3 ó’.Vi, III, 36.
■• luLii C.KSARis Scaligeri IJe causis liiiguie latince libri tredeciin (Lugduui, Ap. Seb. Gr.vphiUlu, 1540).
’ Francisc I Sanctii [SauchezI Minerva, sice de causis latince lingua: cominentarius, Cui accedunt animadversiones et notu: Gasperis SciOPPii (Amstelod., Ap. Indocum Pluyiner, bibliop., propter Aquain, sub slgno Senecae, MDCLXIV).