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ORIGINI DELLE LINGUE E DELLE LETTERE 289
come qui si dimostrerà che tutte le nazioni prima parlarono scrivendo (a), come quelle che furon dapprima mutole. Di poi «caratteri» voglion dire «idee», «forme», «modelli»; e certamente furono innanzi que’ de’ poeti che quelli de’ suoni articolati, come Giuseffo vigorosamente sostiene contro Appione greco gr amati co che a’ tempi d’Omero non si erano ancor truovate le lettere dette «volgari» i. Oltracciò, se tali lettere fussero forme de’ suoni articolati e non segni a placito, dovrebbero appo tutte le nazioni esser uniformi, com’essi suoni articolati son uniformi appo tutte (&). Per tal guisa disperata a sapersi, non si è saputo il pensare delle prime nazioni per caratteri poetici, né ’1 parlare per favole, né lo scrivere per geroglifici; che dovevan esser i principii, che di lor natura han da esser certissimi, cosi della Filosofia per l’umane idee, come della Filologia per l’umane voci. In si fatto ragionamento dovendo qui noi entrare, daremo un picciol saggio delle tante oppenioni che se ne sono avute, o incerte o leggieri o sconce o boriose o ridevoli, le quali, perocché sono tante e tali (e), si debbono tralasciare di riferirsi. Il saggio sia questo: che perocché a’ tempi barbari ritornati la Scandinavia, ovvero Scanzia, per la boria delle nazioni fu detta «vagina gentium» 2 e fu creduta la madre di tutte l’altre del mondo,
(a) e poi con voci articolate; [CMA^] e ne restò eterna propietà che nelle lingue natie la Gramatica non insegna altro che di scrivere, [OiV/^^j e con ciò di leggere. Dipoi caratteri^ ecc.
(b) Onde bassi a conchiudere che questa Scienza incomincia da’ principii veri, perchè incomincia dalle spiegate guise con le quali nacquero e le lingue e le lettere che ne debbono spiegar i primi parlari delle nazioni; che dovevan esse, ecc
(e) dovrebbono trallasciare di riferirsi. Ma perchè non sospetti il leggitore di noi ciò che molti autori fanno (e particolarmente oggidì), i quali, per promuovere le sole cose scritte da essi, non solo non espongono alla libertà di chi legge le cose scrittene dagli altri, ma anco vietan loro di leggerle, ci piace, per soddisfarlo, arrecargliene qualcheduna; come quella che perocché, ecc.
1 Si veda pp. 92, 117.
- lORKAXDES, De reb. getic, e. 4 a princ. 1 Scamia instila, quoti officina gentium,
aut certe velut vagina nationum».