La quarta dimensione o l'iperspazio/I
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I.
Generalità — Matematici e filosofi che trattarono della 4ª dimensione — Considerazioni sullo Spazio — Kant e Spencer — Mondo ad una dimensione — Mondo sul piano — Fisica trascendentale — Essere vivente nel punto — L’atomo radiante — Ribellioni della scienza.
Qualche anno addietro non sarebbe stato prudente parlare di una quarta dimensione, o quarto spazio, senza provocare un sorriso d’incredulità. Ma di quante cose non si è riso e che ora invece sono accolte, se non con sicurezza, almeno col beneficio dell’esame? Così è della natura di un quarto spazio o quarta dimensione, la cui esistenza se noi non possiamo constatare con i nostri sensi, ci è tuttavia possibile intuire.
Il Del Re1 ed il Jouffret2, coi loro scritti, ci fanno per altro conoscere che la questione non è nuova, come a tutta prima si può credere; poichè se noi volessimo farne la storia attraverso le menti dei più profondi pensatori, si potrebbe far capo ad Aristotile, o per lo meno al xvi e xvii secolo, parlando di Bacone e di Cartesio.
Lo Schuré scrive3 che vi è un dinamismo delle anime, il quale esercita nella nostra vita una parte capitale, e di cui noi non conosciamo le leggi. Gl’intuitivi soltanto lo misurano in una certa maniera, ma questa misura sfugge talmente ai nostri sensi fisici che si potrebbe arditamente chiamare quarta dimensione, ed afferma che la medesima dipenda da un sesto senso.
Il concetto di una quarta dimensione non solo si fa largo col mezzo degli scritti dei filosofi, ma si afferma ogni giorno più e pone in guardia gli scettici; perchè la ricerca in questi campi di studio ci guida ad esplorare la mente e le opere dei matematici, i quali non coll’immaginativa soltanto, ma con il calcolo ed il graficismo, ci presentano formole e figure.
Per quanto ci fa conoscere il Del Re, professore di matematica all’Università di Napoli, dobbiamo tali ardimenti scientifici all’ingegno del Gaus, del Bolyai, del padre Saccheri, i quali posero le basi di una nuova dottrina, che coltivata poi da matematici di prim’ordine, quali il Riemann, l’Helmotz, il Beltrami ed altri minori, condusse a quelle profonde, quantunque appena iniziate indagini sullo spazio, dalle quali dovranno sorgere nuovi rami di sapere4.
Ma che cosa è lo spazio? Il Kant5 e lo Spencer, per citare due filosofi di moda, a distanza di un secolo l’uno dall’altro si accordano nel definirlo come a una forma soggettiva dell’intuizione», indugiandosi poi a discutere della sua realtà. Ma noi ben sappiamo come il reale non esista che in modo relativo, cioè per rispetto alla limitazione dei nostri sensi e del nostro intelletto, che è quanto dire, in rapporto colla nostra organizzazione.
Il Du Prel, nel suo aureo libro l’Enigma umano, dà la medesima avvertenza così esprimendosi: «La nostra esperienza terrena dipende dalla nostra organizzazione terrena. Se noi avessimo in fondo del nostro occhio, in luogo della retina, fasci nervosi, che stessero in comunicazione colla chiocciola del nostro orecchio, noi udremmo ciò che ora vediamo; noi non vedremmo l’arco baleno come spettro di sette colori, ma lo udremmo come la scala delle sette note musicali. Esseri di questa natura potrebbero percepire una specie di armonia delle sfere là dove noi vediamo il cielo stellato». Il Del Re aggiunge: «per essi la visione di una bell’opera d’arte sarebbe come l’audizione di un bel pezzo di musica»6.
Insomma l’universo, e per conseguenza lo spazio, non ha un aspetto a sè, ma lo ha in relazione all’essere che l’osserva; tante forme differenti vi sono per l’universo quante sono le specie degli esseri che ne registrano le impressioni; ogni essere idealizza in qualche modo lo spazio del suo universo; laonde il Kant, argomentando su quel che comunemente noi chiamiamo l’altro mondo, dice che il medesimo può considerarsi un’altra maniera di essere e di sentire.
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Lo studio dello spazio ci porta a qualche considerazione sul tempo del quale soventi si ragiona pur chiedendo in ausilio l’idea delle dimensioni. Tempo e spazio sono due termini così legati e direi quasi così affini, che l’uno è talvolta l’altro, o per lo meno soventi non possiamo immaginarli separatamente. — Il tempo è pur talvolta riguardato quale fenomeno di coscienza. — Il Boucher7 ne fa una rappresentazione concreta riferendolo allo spazio e se lo immagina come una linea retta infinita; da una parte il passato, dall’altra l’avvenire, e fra i due il presente, punto sempre mobile impossibile a toccarsi.
Il tempo adunque è quale spazio ad una dimensione, che la meccanica pura considera come 4ª ponendola come variante nella determinazione di un punto nello spazio. Noi ci troviamo trascinati nel movimento del tempo come un essere costretto a percorrerlo senza riposo e sempre nel medesimo senso, sapendo del passato quello soltanto che ha veduto od appreso e nulla dell’avvenire verso cui procede irresistibilmente.
Come quarta dimensione può considerarsi il calore e talvolta l’elettricità; ma tale denominazione così posta, deve ritenersi come non propria per noi; giacchè qui vogliamo parlare particolarmente di una o più dimensioni, ossia, dell’iperspazio, nel modo più comunemente inteso; cioè a dire, come argomento geometrico.
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Supponiamo che vi siano degli esseri, microbi, così organizzati da poter vivere su di una sola dimensione; cioè, su di una linea retta. Evidentemente esseri siffatti non avrebbero nè spessore, nè larghezza; essi si presenterebbero alla nostra mente come piccoli frammenti di una linea immaginaria; il crine più fine che si possa ideare, sarebbe già una grossa gomena in paragone alla linea supposta. L’universo, per tali esseri, sarebbe assai limitato, i loro movimenti non potrebbero esplicarsi che in avanti, o nella direzione opposta. Allorquando due di quelli s’incontrassero è d’uopo ammettere che dovrebbero retrocedere o l’uno o l’altro, per lasciare libero il passo. Dato che tali microbi vivessero in un universo come il nostro, non si accorgerebbero di molti fenomeni, o per lo meno li giudicherebbero assai diversamente da noi. Per esempio: il loro orizzonte sarebbe un punto matematico, ossia, l’incontro della linea, sulla quale vivono, con il cielo, ch’essi vedrebbero in quel punto d’incontro soltanto. Similmente apparirebbero loro, come punti di splendore diverso, il sole, la luna, gli astri, i quali però sarebbero veduti soltanto al momento del levare e del tramonto, pur continuando a ricevere luce dai medesimi come la possiamo ricevere noi; ma però non sarebbero veduti affatto dai supposti microbi, quando quest’ultimi fossero viventi ed aderenti su di una linea curva, anzichè retta. Per essi infine non esisterebbe nè diritta, nè sinistra, nè alto, nè basso, ma solo avanti e dietro.
Consideriamo ora un mondo più ampio, immenso in confronto al mondo lineare. Consideriamo, cioè, degli esseri siffattamente organizzati da poter vivere sopra di una superficie piana estendentesi infinitamente. Per concretare meglio e per agevolare l’immaginazione, supponiamo di trovarci in una vasta pianura illuminata dal sole, dalla luna, o come vuolsi, e supponiamo ancora di abbandonarci a tutte le manifestazioni del moto. Noi avremo chi passeggia, chi corre, chi salta, chi lotta, ecc., e tutti i detti movimenti si ripeterebbero dalle nostre ombre, sulla menzionata superficie sulla quale possiamo pure figurarci, collo stesso ufficio di moto, cavalli, cani, carrozze, ed anche alberi, case, oggetti qualsiasi proiettanti le loro ombre immobili. Ora supponiamo di scomparire noi interamente e che restino invece le nostre ombre dotate di vita e d’intelligenza, e che scompaiano gli alberi, le case, gli altri oggetti rimanendo le loro immobili ombre. Noi avremmo in tal modo un vero mondo sul piano; ma un mondo, che dovendo vivere sopra una superficie, non potrà giammai farsi idea del mondo nostro. Invero, mentre noi conosciamo tre dimensioni, le ombre, così possiamo chiamare i nuovi esseri, non ne conoscono che due; essi potranno apprendere al pari di noi, con qualche modificazione di nomenclatura, la geometria e la trigonometria piana; ma dobbiamo giudicare che non potrebbero capire nè l’una solida, nè l’altra sferica.
Essi guardano per lungo e per largo; ma non possono vedere in alto, nè in basso nemmeno per lo spessore di una frazione immaginaria di millimetro. Se per caso un cubo cadesse sul loro piano, essi vedrebbero soltanto il perimetro della faccia che posa sul piano stesso, nè potrebbero immaginare come quella faccia possa essere la base della figura solida che noi conosciamo. Supponendo di far penetrare un cono dalla parte del vertice attraverso quel mondo sul piano, e dalla parte opposta a quella sulla quale si trovano le ombre, gli abitatori se ne accorgerebbero vedendo da principio apparire sulla superficie un punto, indi un cerchietto allargantesi poco a poco fino a raggiungere la grandezza della base del cono; se i detti cerchi fossero di volta in volta disegnati, si otterrebbe in ultimo la figura di tanti circoli concentrici; se invece la traccia di tali circoli fosse segnata in modo permanente e tale da toccare sempre quella vicina che la precede, allora si avrebbe l’effetto come di una macchia d’olio continuamente allargantesi, fino a divenire la base del cono. È importante fissare la mente sulla giustezza di un tale ragionamento, perchè sul medesimo poggia il razionale sviluppo di quanto si dirà in seguito.
Gli abitanti del mondo sul piano vedrebbero il sole, la luna, gli astri sorgere come un punto e progredire lentamente come una linea retta parallela all’orizzonte crescente fino ad un massimo, che sarebbe il diametro dell’astro; indi gradatamente decrescere ritornando ad essere un punto, per sparire nel momento in cui l’astro stesso si è elevato sul piano. Il tramonto darebbe luogo ad un fenomeno analogo. Ma i detti abitanti, pure godendo di un mondo vastissimo, non potrebbero vedere, similmente a quelli di prima dimensione, il corso degli astri e considererebbero anch’essi il fenomeno della luce in un modo assai diverso dal nostro. La pioggia, per parlare di un altro fatto, non sarebbe veduta cadere dal cielo; viceversa accorgendosi del suolo bagnato crederebbero forse ad un fenomeno tellurico. Osservando sè stessi, s’accorgerebbero pure della umidità in cui si trovano e studierebbero forse il proprio stato come un fenomeno patologico. Analogamente agli esseri in prima dimensione non vedrebbero gli astri, pur ammirandone la luce, quando si considerino aderenti ad una superficie curva anzichè piana. «Chi sa quanta superbia avranno gli scienziati a due dimensioni», esclama il professore Del Pezzo, «chi sa, egli scrive ancora, con quanta sicumera annuncieranno i loro grossolani errori, smaltendoli come verità incrollabili!» «Noi ridiamo di loro. E non vi saranno forse delle più alte e chiare intelligenze che ridano di noi?» E così finisce: «Lo spazio a tre dimensioni è un dogma che l’antichità ci ha tramandato e contro il quale il libero pensiero moderno si è ribellato8.
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Per noi l’atomo rappresenta scientificamente l’ultima espressione della materia, quindi è considerato indivisibile, e ciò si adatta ai nostri sensi ordinari, i quali non possono constatare alcun movimento al di là della terza dimensione. Alla stessa guisa un abitante in seconda dimensione, ossia sulla superficie, non può immaginare nessuna scomposizione dell’atomo superficiale (ammettiamolo per un istante), altro che in due direzioni: lunghezza e larghezza, rimanendo a lui interamente incognita ed incomprensibile la materia allo stato di gaz. Analogamente quindi noi possiamo ammettere senza difficoltà, che l’atomo si scomponga ancora e sparisca dai nostri sensi passando in una dimensione superiore, ossia, in quarta dimensione o quarto spazio9.
Osservando nei loro movimenti gli abitanti sul piano li scorgiamo assai meno impacciati di quelli sulla linea; poichè essi, quando s’incontrano, possono schivarsi, per proseguire il cammino. Altra cosa importante da notare è che, supponendo di avere contigui l’essere sulla linea e quello sulla superficie, quest’ultimo vedrebbe il primo senza esserne veduto, giacchè l’abitante lineare non può accorgersi di nulla che sia fuori della linea. Il solo mezzo possibile a quello della superficie, per far avvertire la sua presenza sulla linea, è di attraversare la linea stessa; in questo caso non si vedrebbe di lui che una retta.
È facile immaginare lo stupore del microbo, quando si vedesse attraversata la via da fenomeno per lui così grave, quale il descritto; e se per un istante vogliamo ancora supporre che l’ombra, cioè l’essere a due dimensioni, abbia la forza di spostare dalla linea il suo abitante, quest’ultimo evidentemente incontrerebbe la morte; giacchè egli entrerebbe in un ambiente pel quale la sua organizzazione non è adatta.
I medesimi ragionamenti valgono per un essere a due dimensioni; cioè con aderenza alla superficie, quale l’abbiamo supposto, per metterlo in relazione colle tre dimensioni del nostro spazio, che l’abitante sul piano non può immaginare tranne che, studiando come noi, possa acquistarne l’intuizione. Pertanto se potessimo distaccare un tal essere trasportandolo in alto, anche solo per un istante, lo si porterebbe in terza dimensione; ove anche lui incontrerebbe la morte; perchè analogamente a quanto si è detto per il microbo, verrebbe a trovarsi in un ambiente, pel quale il suo organismo non è adatto. Da quanto abbiamo detto consegue, come già abbiamo notato, che l’essere a due dimensioni si trova, per rispetto a noi, viventi su tre, nello stesso rapporto dell’essere ad una dimensione rispetto a quello a due; cioè l’abitante della superficie vede ed ha pieno dominio sulla linea, come noi vediamo ed abbiamo pieno dominio sulla superficie.
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È bene notare come gli abitanti sul piano, se hanno pieno dominio sulla linea, non lo hanno così sulla superficie; alla stessa guisa noi abbiamo pieno dominio sulla superficie e non in uguale misura sul volume; quelli, cioè, non possiedono la piena vista superficiale, come noi non possediamo per intero la piena vista voluminale, come la denomina lo Scalfaro10. Invero noi vediamo completamente la superficie dei corpi; ma solo col tatto e coll’esperienza siamo posti in grado di percepire in parte il volume, mentre in parte lo si intuisce, lo si pensa; che se effettivamente fossimo padroni dello spazio tridimensionale, si dovrebbe pur vedere nell’interno di una figura di volume alla stessa guisa che ci è possibile scorgere l’esterno e l’interno di una figura a due dimensioni. Adunque nel mondo sul piano una linea tracciata sul medesimo, è una barriera per i suoi abitanti, che devono girarne i fianchi per oltrepassarla; epperò una figura poligonale qualsiasi è per essi quale sarebbe per noi un recinto chiuso da ogni parte, dentro il quale non si può nè vedere, nè penetrare, a meno che non vi si pratichi un passaggio. Insomma il raggio visuale dell’abitante in seconda dimensione striscia, per così dire, su di una superficie, e si arresta contro le linee, come avviene disegnando su di un foglio di carta; quindi un tale essere non può vedere la superficie del proprio corpo altro che nella sua linea di confine, come noi non possiamo vedere il nostro che alla superficie. Si conclude: che ad avere il pieno possesso dell’ambiente di una dimensione qualsiasi, è d’uopo potersi trasportare nell’ambiente della dimensione superiore.
Sono pertanto molte le sorprese che noi potremmo fare a questi fratelli minori ed io ne immagino qualcuna, perchè valga a ben aprire la mente e scolpirvi le analogie dalle quali saremo guidati ad intuire una quarta dimensione e conseguentemente un quarto spazio ed in generale l’iperspazio.
Supponiamo adunque che gli esseri a due dimensioni facciano sedute spiritiche, o psichiche o medianiche come vogliasi dire. Noi, senza punto essere veduti, potremo sorvegliarne tutti i preparativi e l’andamento ed a tempo opportuno picchiare sul loro tavolino d’ombra, ovvero su di un punto qualsiasi della superficie alla quale tutto aderisce. Per un istante assai fugace si vedrà la proiezione della nostra mano o dell’oggetto adoperato per picchiare; ma potremo pure tare degli apporti; cioè posare sulla detta superficie un oggetto qualsiasi di cui essi naturalmente vedrebbero soltanto il contorno combaciante col piano; il medesimo oggetto potremo far sparire col solo elevarlo ad altezza minima senza che la nostra manovra fosse scoperta; infine sarebbe cosa facile apparire ad essi come fantasmi proiettando le nostre ombre, ovvero le nostre sagome coricandoci sul piano. Non sono argomenti oziosi questi esempi; giacchè noi li esponiamo a bello studio per rappresentare esseri con limitazioni maggiori delle nostre e trarne conseguenze giovevoli all’intelligenza di altre dimensioni superiori. Lo Zöllner, insigne matematico ed astronomo, essendo giunto, in base alle sue investigazioni, a formarsi un concetto della natura e realtà della quarta dimensione nello spazio, s’indusse a collegare queste vedute coi fenomeni medianici; e per l’appunto, nella sua Fisica trascendentale, spiega che i fenomeni così detti di apporto non richiedono affatto la penetrazione della materia; ma invece la facoltà negli abitatori del quarto spazio di agire verso di noi, come noi si agirebbe con quelli a due dimensioni nel modo che abbiamo indicato più innanzi. Lo Zöllner non si limita a far teorie; ma in appoggio alla sua tesi egli cita dapprima la tradizione universale rispetto ai fantasmi che si manifestano a porte e finestre chiuse, indi una serie di esperimenti da lui fatti col celebre medio Slade. Colla medesima ipotesi della quarta dimensione lo Zöllner vorrebbe spiegare i nodi sui lacci senza-fine, l’intreccio di due anelli, il passaggio di un anello attorno al piede di un tavolo, ecc.
Non saprei portare un facile esempio di confronto, nelle varie dimensioni, riferentesi all’intreccio o passaggio di anelli; invece mi pare sia facile capire il paragone, per quanto si riferisce ai nodi con lacci. Invero, se in un laccio senza fine, cioè, colle due estremità unite insieme, come fossero cucite o saldate, si volesse fare un nodo come si fa con un laccio o funicella o spago libero ai due capi, non ci si riuscirebbe mai; invece è cosa comune per noi il fare un nodo con laccio le cui estremità siano disgiunte. Adattando però quest’ultimo laccio alla condizione degli abitanti sul piano, cioè, sul mondo a due dimensioni, come si potrebbe ivi stringere un nodo senza staccare dalla superficie il laccio stesso? Ma per staccare il detto laccio è d’uopo eseguire un movimento ignoto ed anche impossibile per gli abitanti sul piano od ombre, come li abbiamo chiamati; per analogia adunque possiamo credere, ed i fitti lo provano, che vi ha un movimento, per noi impossibile ad eseguire, ma possibile per le entità in quarta dimensione, ossia nel quarto spazio, movimento mediante il quale si potranno fare quanti nodi si vogliano su di un laccio o funicella, o spago senza fine, come possiamo far noi con un laccio o funicella o spago libero ai due capi.
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Per gli abitanti in terza dimensione, cioè per noi, non occorre ripetere le ipotesi fatte per quelli di prima e seconda; poichè ci è ben noto in qual modo consideriamo comunemente lo spazio che si presenta ai nostri sensi e dal quale siamo attorniati. Però possiamo con metodo induttivo argomentare: alla stessa guisa che gli esseri di seconda dimensione vedono quelli di prima e li possono toccare senza essere veduti, e che noi di terza possiamo vedere, toccare e fare qualunque sorpresa a quelli di seconda, senza che i medesimi vedano noi, sarà pure possibile immaginare l’esistenza di abitatori in altro spazio, ossia, quarta dimensione, che agiscano, per rispetto a noi, come noi si agisce rispetto a quelli di prima e seconda dimensione. Laonde per gli esseri di quarta dimensione, se vogliamo ammetterli, non vi sono ostacoli; essi attraversano monti, possono penetrare nelle nostre case od in qualunque altro recinto ermeticamente chiuso, come noi si penetra nei recinti sulle superficie. Noi possiamo adunque essere (e lo siamo) continuamente veduti e sorvegliati da entità, che noi punto scorgiamo, e se queste entità potremo un giorno avere a nostra disposizione, osserva il Del Re,11 ci sarà concesso, pel tramite delle medesime, d’ispezionare l’universo in ogni suo punto.
Il Brofferio, nella sua prefazione all’Enigma umano del Du Prel, si domanda: «Quel che chiamiamo l’altro mondo non sarà una quarta dimensione?» Per conto mio rispondo affermativamente senza titubare. Va senza dire che gli abitanti dell’iperspazio devono avere ed hanno effettivamente un’organizzazione diversa dalla nostra. Se il fatto in sè stesso ha l’apparenza di urtare contro ogni possibilità, non urta per altro il ragionamento, e la cosa può parere impossibile soltanto, perchè non conosciamo in quale direzione noi dovremmo muoverci e con quale organizzazione per giungere ad un risultato, che riconosciamo semplicissimo, quando si consideri per rispetto alla prima e seconda dimensione, come già innanzi ho dimostrato. La difficoltà è quella, anzi è forse la vera e sola, derivante dal fare confronti e giudizi sempre relativi alla limitazione dei nostri sensi, omettendo di pensare clic molte cose stanno attorno a noi, senza che ce ne accorgiamo, laonde ben a proposito il Faraday esclamava: «Con quanto noi ignoriamo delle leggi naturali si potrebbe creare un mondo».
Volendo fare dell’acrobatismo mentale, possiamo pure immaginare un essere vivente nel punto. In questo caso noi lo dovremmo concepire cosciente, pur non avendo alcuna dimensione; un essere, cioè, esistente come forza e non come materia; e che può ritenersi come indicante il momento in cui la materia dell’essere precipita diventando forza e l’essere pensa ancora sè stesso; un essere infine che, concentrando in sè tutto il suo universo, in cui vivrebbe come unico, sarebbe forzatamente di sua natura il più grande egoista, e nel medesimo tempo il più grande ignorante.
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Ritornando alla supposizione fatta per l’abitante sulla linea, il microbo, che può pure immaginarsi sia quel tal punto continuamente in marcia in una sola direzione, possiamo ammettere che uno di tali esseri acquisti la possibilità di scostarsi di fianco, verso dritta o verso sinistra; allora potrebbe evidentemente scorgere a colpo d’occhio il suo antico dominio. Egli pertanto non solo entrerebbe in una seconda dimensione come spazio; ma altresì come tempo; giacchè, vedendo l’intera linea, scorgerebbe contemporaneamente il passato, cioè, il percorso fatto; il presente, cioè, il punto che si muove; l’avvenire, cioè, la via che ancora rimane a percorrere. Facendo analogo ragionamento per l’abitante sul piano e via via per gli altri spazi, noi concluderemo di poter giungere ad una Intelligenza infinita, che avendo l’intero dominio dello spazio e del tempo, abbraccia ogni cosa e che per la medesima non vi sia nè passato, nè futuro, bensì l’uno e l’altro siano sempre nel presente.
Note
- ↑ Sulla struttura geometrica dello spazio.
- ↑ Trattato elementare di geometria a quattro dimensioni.
- ↑ Précurseurs et Révoltés (III Les chercheurs d’avenir).
- ↑ Un’altra schiera fra i maggiori, che sparsero luce sul nostro argomento è la seguente:
Italia: Aschieri, Bertini, Cassini, Castelnuovo, Cesàro, Fano, Loria, Garbasso, D’Ovidio, Del Pozzo, Pieri, Segré, Veronese, Buonamici, Scalfaro, Reghini, Lombroso, Bonola, Bianchi, Cremona, Battaglini, Genocchi.
Francia, Svizzera, Belgio: Jordan, Halphen, Poincaré, Goursat, Renè de Saussure, Mansion, Jouffret, Elbé, Gilles, Boucher.
Inghilterra e Stati Uniti: Cayley, Cole, Hinton, Sylvester, Bœelle, Spottswode, Hall, Heyl, Lasker, Stringham, Boole, Stott, Leadbeater, Schofield.
Germania, Norvegia, Austria, Olanda: Biermann, Cantor, S. Kantor, Kelling, Hoppe, Klein, Sophus, Lie, Lipschitz, Puchta, Rudel, Schlegel, Schoute, Schubert, Simony, Van Oss, Zölner, Mach, Klimpert.
Spagna: Galdeano.
Russia: Blavatsky, Lobatschewshy.
India: La Rivista «Teosofia in India» (Benares).
Il Boucher, nel suo libro sull’iperspazio, assicura che a tutto il 1900 si conoscevano ben già 439 memorie sulla quarta dimensione. - ↑ Kant intravide pur esso una quarta dimensione. (V. Klimbert: «Storia della geometria»).
- ↑ Sulla struttura geometrica dello spazio.
- ↑ «Essai sur l’Hyperespace».
- ↑ Le ribellioni della scienza.
- ↑ Per gli studi e le esperienze di Crookes noi già conosciamo un quarto stato della materia, o materia raggiante; la chimica occulta però ci presenta altresì l’atomo fisico scomposto in atomi eterei, che la scienza positiva moderna non è ancora riuscita a dimostrare, ma forse intuisce; per l’appunto nell’iperspazio noi dobbiamo cercare le suddivisioni dell’atomo, che la chimica attuale non sa scomporre. Ciò si riferisce pure al ione e all’elettrone.
È bensì vero che taluni scienziati non si adattano alle idee del Crookes; ma qui non troverebbe posto il dibattito e conviene consultare in proposito i recenti trattati di fisica e le riviste scientifiche.
Parimenti nelle dette riviste e trattati si trovano le considerazioni riferentesi alla teoria atomica di fronte alla scoperta degli elettroni e degli ioni.
Nella pregevole opera del Le Bon «L’évolution de la matiére», l’atomo viene considerato come radiante, e, per effetto della radioattività, la materia va all’etere dal quale, secondo il Le Bon, trae origine. In tal modo l’etere è la sostanza cosmica creatrice, per così dire, di tutto ciò che esiste nel nostro universo ed a cui tutto ritorna per virtù di quell’energia dal Le Bon detta intra-atomica, e così l’energia stessa si perderebbe; il che porta naturalmente ad abbattere una teoria fisica considerata attualmente come dogmatica, ma contro la quale si scaglia pure il professore G. Casazza nel suo opuscolo avente per titolo: «Il più grande errore scientifico del secolo xix».
Il Le Bon conferma perciò l’unità della materia, come per l’appunto insegna la teosofia e la sapienza antica, se non che il Le Bon considera come perduta ogni energia quando la materia ritorna all’etere; invece il teosofo non perde di vista il gran serbatoio della forza universale, quindi l’energia permane. - ↑ Spazio, forme materia a più dimensioni. (Memoria presentata ed accolta con lode dal Congresso internazionale della Società teosofica. — Amsterdam, 1904).
- ↑ Sulla struttura geometrica della spazio (già citato).