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c. ballatore | 5 |
Consideriamo ora un mondo più ampio, immenso in confronto al mondo lineare. Consideriamo, cioè, degli esseri siffattamente organizzati da poter vivere sopra di una superficie piana estendentesi infinitamente. Per concretare meglio e per agevolare l’immaginazione, supponiamo di trovarci in una vasta pianura illuminata dal sole, dalla luna, o come vuolsi, e supponiamo ancora di abbandonarci a tutte le manifestazioni del moto. Noi avremo chi passeggia, chi corre, chi salta, chi lotta, ecc., e tutti i detti movimenti si ripeterebbero dalle nostre ombre, sulla menzionata superficie sulla quale possiamo pure figurarci, collo stesso ufficio di moto, cavalli, cani, carrozze, ed anche alberi, case, oggetti qualsiasi proiettanti le loro ombre immobili. Ora supponiamo di scomparire noi interamente e che restino invece le nostre ombre dotate di vita e d’intelligenza, e che scompaiano gli alberi, le case, gli altri oggetti rimanendo le loro immobili ombre. Noi avremmo in tal modo un vero mondo sul piano; ma un mondo, che dovendo vivere sopra una superficie, non potrà giammai farsi idea del mondo nostro. Invero, mentre noi conosciamo tre dimensioni, le ombre, così possiamo chiamare i nuovi esseri, non ne conoscono che due; essi potranno apprendere al pari di noi, con qualche modificazione di nomenclatura, la geometria e la trigonometria piana; ma dobbiamo giudicare che non potrebbero capire nè l’una solida, nè l’altra sferica.
Essi guardano per lungo e per largo; ma non possono vedere in alto, nè in basso nemmeno per lo spessore di una frazione immaginaria di millimetro. Se per caso un cubo cadesse sul loro piano, essi vedrebbero soltanto il perimetro della faccia che posa sul piano stesso, nè potrebbero immaginare come quella faccia possa essere la base della figura solida che noi conosciamo. Supponendo di far penetrare un cono dalla parte del vertice attraverso quel mondo sul piano, e dalla parte opposta a quella sulla quale si trovano le ombre, gli abitatori se ne accorgerebbero vedendo da principio apparire sulla superficie un punto, indi un cerchietto allargantesi poco a poco fino a raggiungere la grandezza della base del cono; se i detti cerchi fossero di volta in volta disegnati, si otterrebbe in ultimo la figura di tanti circoli concentrici; se invece la traccia di tali circoli fosse segnata in