La mia vita, ricordi autobiografici/III

Capitolo III. A scuola

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II IV
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III.

A scuola.

(1855-56).

— .... in quel tempo quantunque fossi avidissima della lettura, non mi si davano a leggere altri libri all’infuori della Storia Sacra: ed io, com’è naturale, versavo tutta la piena del mio sentimento su quei portentosi racconti che impressionavano così vivamente la mia fantasia. A costo di sembrarvi feroce, vi confesso che il caso lacrimevole del povero Abele non mi faceva nè caldo nè freddo. Quel buono e candido giovinetto che voleva bene a tutti e al quale tutti volevano bene: che era il cucco della mamma, il prediletto del babbo e il possessore di un bel gregge, mi ispirava un mediocre interesse. Tutte le mie simpatie erano per Caino; per Caino il sognatore, il solitario, il triste. Siccome in quell’epoca ero gelosa di una bambina del casamento, a cui i miei genitori facevano gran festa, poichè all’era tanto mite e gentile, quanto io indomita e turbolenta, così prendevo una viva parte alle torture di quel povero diavolo che si limava dalla passione lungo le rive dell’Eufrate.

Mi ricordo della sora Gegia che si scalmanava a descriverci minutamente i particolari che precederono e accompagnarono il nero delitto! La passeggiata in campagna (per poco non diceva fuori di porta) il famoso [p. 21 modifica] bastone, il sangue innocente, la voce tremenda di Dio, tutto veniva narrato, dipinto con portentosa efficacia. Per me la sora Gegia, a far la maestra, aveva sbagliato vocazione. C’era dell’artista, c’era della Rachel in quella donna grande, ossuta, incartapecorita, dagli sguardi fulminei che vi incutevano un religioso terrore. Bisognava sentirla, quando imitando la voce del Signore, faceva rintronare la scuola con la terribile domanda: — Caino, che hai tu fatto di tuo fratello? — Tutte le bambine si stringevano le une alle altre, impaurite: io sola, col mio sorrisetto di donnina incredula, protestavo contro quella collettiva manifestazione di viltà.

— A chi volete bene, bambine: a Caino o ad Abele? — concludeva inevitabilmente la sora Gegia, asciugandosi il sudore.

— Ad Abele! — rispondevano ad una voce tutte quelle povere creaturine palpitanti. E siccome una certa volta io non aprii bocca, la sora Gegia si rivolse a me, chiedendomi con tuono aggressivo:

— E lei, signora Ida, — quando la buona maestra era sdegnata, ci dava sempre del lei e della signora — a chi dei due fratelli vuol bene?

— A Caino! — risposi a testa alta, mentre una vampa di rossore mi saliva alle guance, — a Caino! Le bambine credettero ch’io fossi impazzata e mi guardarono con ansietà. La sora Gegia, poi, suppose che la mia risposta si dovesse attribuire a uno di quei capriccetti inesplicabili di bimba viziata, che cadono ad una buona parola, ad una carezza affettuosa.

Decise di prendere, come suol dirsi, la lepre col carro, e riprese con dolcezza: [p. 22 modifica]

— Su via, Iduccia, sii ragionevole; perchè vuoi bene a Caino?

— Perchè, — risposi — perchè Caino era brutto, solo, disgraziato! Io — aggiunsi con veemenza, ripensando alla leggiadra e cara bambina di cui ero gelosa, — io non amo la gente bella, buona, tutta garbo e grazia! Voglio bene alla gente cattiva, io!

E nascosi la faccia tra le mani, dando in un dirotto pianto.

La mia risposta parve così straordinariamente malvagia che nessuna delle mie compagne volle, per quel giorno, fare il chiasso con me; e la sora Gegia, scandalizzata, scrisse una lunga lettera alla mamma. Pareva quasi che il «suo» Abele, glielo avessi ammazzato io!

Che dirvi della profonda impressione lasciatami dagli spaventosi racconti di Core, Natan ed Aberon? Di quell’Jeu che buttava le persone dalla finestra, come se fossero stati torsoli di mela? Della sciagurata Gezabele mangiata dai cani?

La mia Storia sacra era adorna di quelle solite incisioni, nelle quali, lì per lì, non è facile distinguere la faccia degli uomini da quelle delle bestie, e le fiamme divoratrici da un cesto d’insalata romana. Eppure quelle incisioni mi tenevano inchiodata al tavolino per lunghe e lunghe ore; eppure io le vedevo sempre, anche in sogno!

Oh i Padri Eterni dalle lunghe barbe spaventose! Oh i poveri Maccabei la cui testa faceva appena capolino [p. 23 modifica] da un’enorme conca circondata di lingue di fuoco! Oh la brutta Atalia che sgambettava, spavalda, davanti al limitare del tempio!

Sono lì, tutti, che menano intorno al mio scrittoio una ridda grottesca...

Nonostante le mie bizzarrie, ero una bambina studiosa, diligentissima. Non s’era mai dato il caso ch’io fossi andata a scuola senza aver fatto le lezioni.

Servivo d’esempio a tutte; e quando veniva a ispezionare la scuola quel certo sor Romolo, il pretino arzillo, allegro, che non stava mai fermo un minuto, la sora Gegia voleva ch’io gli presentassi i miei quaderni.

Il sor Romolo che mi vedeva di buon occhio, lodava la mia buona volontà, portava a cielo il mio ingegno e mi gratificava d’una grossa manciata di orribili confetti di Pistoia, che trovavo eccellenti. Quand’ero in buona, gli cantavo, senza farmi pregare, la preghiera del Mosè:

Dal tuo stellato soglio

e siccome avevo una vocina agile ed intonata, tutti mi stavano ad udire a bocca aperta, e dimenticavano le mie orribili preferenze. Ma la vista della vecchia Storia sacra mi ricorda un altro episodio ch’io non voglio tacervi, perchè lo credo il più caratteristico.

Come ho detto, io non ero mai andata a scuola senza aver fatto le lezioni Ma un giorno, un giorno memorando, in cui era arrivata a casa una nostra cuginetta [p. 24 modifica] che aspettavamo a desinare, non ebbi voglia di studiare e lasciai che Balaam e l’asina se la intendessero fra loro.

Appena arrivata a scuola vedo il sor Romolo più vispo e arzillo del solito, e sento la voce un po’ chioccia della sora Gegia che ci annunzia come qualmente il degno pretino ci interrogherà sulla lezione di storia sacra assegnata per quel giorno!

Figuratevi come rimasi!

— Ecco rovinata la mia reputazione di bambina diligente — pensai. — I confetti di Pistoia e il sorrisetto della sora Gegia anderanno chi sa a chi!... — Era una amarezza insopportabile. Che fare? Mi viene, lì per lì, un’idea improvvisa, luminosa. Apro la Storia sacra alla pagina 56 e stacco delicatamente il breve capitoletto che trattava l’Asina di Balaam, Poi, seria e composta, aspetto gli avvenimenti.

— Tocca a lei! — mi dice poco dopo la sora Gegia.

Mi alzo e cogli occhi bassi dichiaro che nella mia Storia sacra mancano, da mesi e mesi, due facciate, proprio quelle della lezione, e che perciò mi è stato impossibile lo studiarla.

La mia abituale sincerità e la stima di cui godevo da tanto tempo, non permisero ad alcuno di mettere in dubbio le mie parole.

E fui festeggiata come al solito, e mi furono empite le tasche di confetti. Ma i confetti, quel giorno, mi parvero addirittura scellerati.

Quando fu l’ora di andar via e la scuola era rimasta vuota, cominciai a ronzare intorno alla sora Gegia che faceva il cappelletto ad una soletta. Mi pareva di avere un gran pietrone sullo stomaco. [p. 25 modifica]

— Perchè non va a casa, bambina! — mi chiese la buona donna senza alzar gli occhi.

— Vorrei domandarle una cosa — dissi con un fil di voce.

La sora Gegia mi guardò fissa e aspettò.

— Senta, — ripresi. — Se una bambina, per ricoprire una sua mancanza le avesse detto una bugia, meriterebbe una grave punizione, non è vero?

— Secondo, — rispose la maestra guardandomi sempre; — secondo: se questa bambina si pentisse subito del suo fallo e ne chiedesse perdono a Dio...

— Allora? — chiesi tremando e avvicinandomi.

— Io la scuserei e la scongiurerei a non mentir più, mai, a nessun costo. — E mi prese sulle ginocchia.

— Le due pagine della Storia sacra — balbettai allora piangendo — le ho strappate da me, perchè non avevo studiata la lezione.

— Povera Ida! Quanto hai dovuto soffrire! Quanto devono soffrire tutte le persone che mentiscono! Ma questo brutto fatto non si verificherà più...

— Mai più! mai più!

— Oh, come mi rendi contenta! —

La commozione mi soffocava. E nello slancio della mia gratitudine abbracciai strinta strinta la sora Gegia, susurrandole in un orecchio:

— Lo sa a chi voglio bene? Ad Abele!

Ed ero sincera anche quella volta. Oh le inesplicabili con tradizioni del cuore umano!