La mia vita, ricordi autobiografici/IV
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IV.
I viaggi d’allora.
Verso la fine del 1856 la mia salute dette un po’ a temere: tossivo, mi lamentavo di dolori alla nuca e di una grande stanchezza nelle gambe. A quei tempi non era così invalso come oggi il costume delle villeggiature: per rimediare all’anemia dei piccini si facevano far loro delle lunghe passeggiate fuori di porta, si dava loro a bere qualche uovo fresco o — se il caso era proprio grave — si mandavano a passar quindici giorni dalla lavandaia.
Ma io, avendo i parenti a Prato, mi trovavo in condizioni relativamente più fortunate di altri bimbi dell’età mia.
Dopo molti discorsi, dopo parecchie indecisioni e non poche perplessità la risoluzione veniva presa definitivamente.
Sicuro: la bambina, l’esile e palliduccia bambina che l’afa soffocante di Firenze aveva ridotta a mal partito, sarebbe andata in cerca di più fresca, di più respirabile temperatura: sarebbe andata a..... Prato, dagli zii Baccini, che abitavano una casa abbastanza tetra, in una strada più che ottusa e melanconica, piena di rimesse e di botteghe di legnaiuolo; ma che aveva il vantaggio inestimabile di esser lontana da Firenze una diecina di miglia.
A quei tempi, i chilometri non erano stati inventati: e Prato, col suo Duomo, i cantucci, il Mercatale e le innumerevoli botteghe di barbiere, faceva a noi fiorentini l’effetto d’una città della Svizzera.
Dovevo — quindi — partire. Ma con chi? Il babbo impelagato negli affari della tipografia, non poteva accompagnarmi di certo.
La mamma! Possibile! Coi suoi dolorini reumatici e il nervoso che quando la pigliava sul serio, la faceva piangere e ridere come una grulla, poteva esporsi ai rischi e alle vicissitudini d’un viaggio? 1
Mandarmi con l’Egle! Prima di tutto essa aveva delle ottime ragioni per non volersi muovere da Firenze: eppoi se veniva via anche lei chi avrebbe badato alla mamma?
E allora? Allora veniva deliberato a unanimità di voti che sarei partita col Carmagnini, il procaccia che aveva la rimessa a Firenze in Piazza delle Cipolle 2 e che partiva per Prato con la sua grande, pencolante e vetusta diligenza, due volte la settimana, il martedì e il venerdì, giorni di mercato.
La mamma aveva conosciuto il Carmagnini fin da quando era ragazza e andavano insieme alla dottrina, dal priore di San Domenico: quindi sapeva che era un uomo serio, da non compromettersi, tale insomma da potergli affidare una creatura con tutta sicurezza.
Il babbo dava il consenso e cominciavano i preparativi per mettermi insieme il fagotto.
In casa, visto e considerato che non c’era l’abitudine dei viaggi, non c’erano valigie nè borse, ma solo un trespolo di baule color cioccolata, su cui era visibilissimo, malgrado venti e più anni di vita, un cartello giallastro con questo indirizzo: «Signor Leopoldo Baccini, Corfù» indirizzo cagione d’infinite compiacenze alla mamma che non mancava mai di dire anche se l’argomento non lo richiedeva: Quando «Poldo» dovè andare in Grecia...
Del baule, dunque, non c’era da discorrerne. Eppoi con che cosa si sarebbe dovuto riempire? Si cominciava dal passare in rassegna le mie camicine. Due, erano buone; ma una aveva un pezzo dietro; la quarta era lisa nello stesso punto. Ma con un po’ di riguardo, potevano passare, sopratutto — e qui la mamma prendeva un aspetto triste e severo ad un tempo — sopratutto se io avessi perso quel benedetto vizio di far le capriole sul letto, come i ragazzacci.
A sottanine stavo bene. Vestiti, tre bastavano. Quello di giaconetta, a palme, per le feste: quello di gingas3 per quando la zia Annina m’avesse portato nei giorni di lavoro a girare una porta4, suprema delizia dei pratesi; quello a mille righe, di bordatino, per la casa.
⁂
Mi rivedo ancora, con le scarpine scollate, col famoso vestito di gingas, insaldato al punto da trasformarmi in un vero pallone, e con la gran paméla5 in capo, guarnita con un largo nastro scozzese, le cui staffe, lasciate piuttosto lunghette, sventolavano allegramente a destra e a sinistra: mi rivedo ancora, per la mano alla mamma che faceva ogni sforzo per nascondermi la propria commozione e infondermi coraggio.
— Gli zii sono avvisati — mi diceva con voce tremante — e ti aspetteranno a Porta Fiorentina, dove il Carmagnini ti farà scendere. Guarda di non inciampare e di non strapparti la trina delle mutandine. Consegna subito il fagotto allo zio e mostrati allegra, di buon umore. Lungo la strada non ti spenzolare dal fìnestrino; pensa che a volte pesa più la testa... del... del... in somma di tutto il resto della persona. La medaglina al collo ce l’hai: fatti coraggio! Eccoci arrivati!
Risparmio alle pazienti lettrici il racconto delle supreme raccomandazioni al buon Carmagnini, e lo strazio dell’ultimo addio. Tanto io che la mamma piangevamo come due viti tagliate e per un bel pezzo di strada, fintantochè la diligenza non iscantonava, io seguitavo ad agitar la pezzolina bianca....
⁂
Appena uscita all’aperto, fuori delle strade tortuose e buiette di Firenze vecchia, mi passavano tutte le malinconie, tutte le tristezze, e mi beavo nella contemplazione della campagna, delle colline, del cielo purissimo. Nessun particolare del paesaggio mi sfuggiva: dalla bucolina da cui uscivano e rientravano a frotte le formiche, all’ampio cerchio descritto dal volo d’una rondine: dalla stalla ove muggiva un bove, alla villa ridente sulla vetta d’un poggio: da uno schiamazzìo di galline messe in fuga dall’approssimarsi della diligenza, al bel sole sfolgorante in un corteggio di nuvole d’oro, che calava dietro i monti, tutto attirava la mia attenzione, tutto mi piaceva e mi cagionava sensazioni delicatissime, inafferrabili, che ora non saprei ritrovar più!6
Ora, appena partiti, siamo già arrivati.... Certo, questo è un bene, un bene inapprezzabile a cui nessuna persona intelligente vorrebbe rinunziare.
Ma perchè, allora, il ricordo di certi viaggi all’antica, a base di diligenze e di polverone, ci danza nella memoria, fulgido come una visione amorosa? Forse perchè tutte le cose lontane ci appaiono più belle: forse anche perchè l’uomo, questo eterno incontentabile, pur di non dichiararsi contento del presente, si tormenta a evocare e a gridar desiderabili giorni e costumi non lieti, non belli, non utili, irrevocabilmente sepolti.
Note
- ↑ Ora, il tratto di strada che separa Firenze da Prato si può fare in 40 minuti col treno e in 55 con la bicicletta.
- ↑ La piazza delle Cipolle si estendeva dietro il Palazzo Strozzi.
- ↑ Il gingas era un tessuto di cotone, per lo più in colori chiari, corrispondente al cambrik, al percalle e anche a certi modernissimi e fini satins.
- ↑ Escir, per esempio, da una barriera e rientrare in città da un’altra.
- ↑ Di queste famose paméle hanno conservato la foggia le popolane senesi.
- ↑ Questa pagina è stata trascritta da un mio volume di Novelle, edito da Adriano Salani, Firenze.