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che aspettavamo a desinare, non ebbi voglia di studiare e lasciai che Balaam e l’asina se la intendessero fra loro.
Appena arrivata a scuola vedo il sor Romolo più vispo e arzillo del solito, e sento la voce un po’ chioccia della sora Gegia che ci annunzia come qualmente il degno pretino ci interrogherà sulla lezione di storia sacra assegnata per quel giorno!
Figuratevi come rimasi!
— Ecco rovinata la mia reputazione di bambina diligente — pensai. — I confetti di Pistoia e il sorrisetto della sora Gegia anderanno chi sa a chi!... — Era una amarezza insopportabile. Che fare? Mi viene, lì per lì, un’idea improvvisa, luminosa. Apro la Storia sacra alla pagina 56 e stacco delicatamente il breve capitoletto che trattava l’Asina di Balaam, Poi, seria e composta, aspetto gli avvenimenti.
— Tocca a lei! — mi dice poco dopo la sora Gegia.
Mi alzo e cogli occhi bassi dichiaro che nella mia Storia sacra mancano, da mesi e mesi, due facciate, proprio quelle della lezione, e che perciò mi è stato impossibile lo studiarla.
La mia abituale sincerità e la stima di cui godevo da tanto tempo, non permisero ad alcuno di mettere in dubbio le mie parole.
E fui festeggiata come al solito, e mi furono empite le tasche di confetti. Ma i confetti, quel giorno, mi parvero addirittura scellerati.
Quando fu l’ora di andar via e la scuola era rimasta vuota, cominciai a ronzare intorno alla sora Gegia che faceva il cappelletto ad una soletta. Mi pareva di avere un gran pietrone sullo stomaco.