La madre (Deledda)/Capitolo 27
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La domenica la messa era più tardi degli altri giorni, ma egli si recava in chiesa di buon’ora per confessare le donne che poi volevano fare la comunione.
La madre, dunque, lo chiamò all’ora solita.
Egli dormiva da alcune ore, di un sonno pesante, cieco. Si svegliò senza ricordarsi di nulla, ma con un torbido desiderio di riaddormentarsi subito: i colpi all’uscio insistevano, ed egli ricordò.
Fu subito in piedi, rigido di paura,
— Agnese verrà in chiesa e mi accuserà al popolo.
Non sapeva perchè, durante il sonno la certezza ch’ella terrebbe la minaccia aveva messo radici entro di lui.
Si abbattè sulla sedia, con un senso d’impotenza, con le ginocchia morte. Una nebbia confusa gli velava la mente; pensava che era ancora a tempo a evitare lo scandalo: poteva fingersi malato e non celebrare la messa; e intanto guadagnar tempo e tentare di placare Agnese; ma la sola idea di ricominciare il dramma, di rientrare nella miseria del giorno avanti, accresceva la sua angoscia.
Si sollevò e gli parve di dar contro al cielo con la fronte, attraverso i vetri della finestra.
Battè i piedi sul pavimento, per scuotersi dal formicolio che fermava il suo sangue; poi si vestì, stringendosi forte la cinghia alla vita e avvolgendosi bene nelle sue vesti come aveva veduto i cacciatori stringersi la cartucciera e avvilupparsi bene nel cappotto per andare sulla montagna.
Quando infine spalancò la finestra e vi si sporse gli parve di riaprire finalmente gli occhi alla luce del giorno, dopo l’incubo notturno; di essere finalmente uscito dalla prigione di sè stesso e di rifar pace con le cose esterne; ma era una pace forzata, piena di rancore nascosto; e bastò ch’egli si ritraesse, passando dall’aria fresca dell’esterno all’aria calda e profumata della sua camera, perchè l’angoscia lo riafferrasse, ricacciandolo dentro sè stesso.
Allora fuggì di nuovo, pensando che cosa doveva dire alla madre.
Sentiva la voce un po’ roca di lei scacciare le galline che tentavano d’invadere la saletta da pranzo; e il loro svolazzare lento: e l’odore del caffè bollito e della fresca erba di fuori.
Nel viottolo sotto il ciglione tremolava un tintinnio di capre avviate al pascolo; e pareva un’eco infantile dello scampanio monotono eppure lieto col quale Antioco su dalla torre della chiesetta invitava la gente a svegliarsi e ad andare alla messa.
Tutto era tranquillo, tenero, soffuso del chiarore rosato dell’aurora. Egli ricordò il suo sogno.
Nulla gl’impediva di uscire, di andare in chiesa e ricominciare la sua vita. Eppure ecco che di nuovo aveva paura: paura di andare avanti, di tornare indietro: gli sembrava di essere, sulla pietra della sua soglia, come sul vertice di una montagna: più su non poteva andare, più giù si spalancava l’abisso. Momento indicibile, durante il quale egli sentì il suo cuore rombargli dentro ed ebbe l’impressione fisica di essere davvero affacciato ad una voragine in fondo alla quale si sbatteva, nel gorgo schiumante di una fiumana, una ruota che, girava così, per nulla, sforzandosi solo a macerare l’acqua che proseguiva il suo corso.
Era il suo cuore che roteava così, inutilmente, nel gorgo della vita. Chiuse la porta, tornò indietro e sedette sulla scaletta, come la madre la notte avanti: rinunziava a risolvere il suo problema, ma aspettava che qualcuno venisse ad aiutarlo.
Fu la madre che lo trovò così: nel vederla
si alzò subito già rincorato, ma già
anche umiliato in fondo alla sua coscienza
tanto era certo del consiglio di lei di
proseguire per la via scelta.
Eppure sulle prime vide il viso rude di lei sbiancarsi, quasi affinarsi nell’angoscia.
— Paulo! Perchè stavi così? Ti senti male?
— Mamma — egli disse, avviandosi alla porta, senza voltarsi; — non vi ho voluto svegliare, ieri notte. Era tardi. Dunque sono stato là. Sono stato là.
La madre lo guardava, già ricomposta in viso. Nel silenzio breve che seguì alle parole di lui si sentì la campana suonare più rapida e insistente, come sopra la casa.
— Ella sta bene; solo è agitata e pretende che io lasci subito il paese; altrimenti minaccia di venire in chiesa e fare uno scandalo denunziandomi al popolo.
La madre taceva, ma egli se la sentiva alle spalle, ferma e dura, che lo reggeva, su, su, come ai primi passi.
— Voleva che partissi questa notte stessa. E.... disse che altrimenti sarebbe venuta questa mattina in chiesa.... Io non ho paura di lei; del resto credo che non verrà.
Riaprì la porta: una rete di chiarore argenteo tremolò nell’ingresso grigio, parve pescar lui e la madre e tirarli fuori nella luce.
Egli s’avviò verso la chiesa senza voltarsi; la madre rimase davanti alla porta a guardarlo allontanarsi.
Non aveva aperto labbra, ma un tremito lieve tentava nuovamente di scomporle il mento volontario. D’un tratto salì nella sua cameretta e si vestì in fretta per andare anche lei in chiesa: e anche lei si stringeva la cintura e camminava forte; prima di avviarsi non dimenticò di ricacciar via le galline, di tirare indietro sul fuoco la caffettiera, di chiudere le porte; infine si cinse bene sul mento e sulla bocca il lembo della sciarpa perchè il tremito, per quanti sforzi ella facesse per frenarlo, le durava ancora.
Così salutò solo con gli occhi le donne che salivano dal paesetto e i vecchi già fermi davanti al parapetto dello spiazzo con le punte dei cappucci neri dritte sul cielo rosa dell’orizzonte.