La madre (Deledda)/Capitolo 28
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Egli intanto era già entrato in chiesa.
Alcune penitenti sollecite aspettavano già, aggruppate intorno al confessionale, anzi, quella ch’era giunta prima aveva già preso posto sul predellino mentre le altre attendevano il loro turno.
Anche alcuni ragazzi mattinieri facevano ghirlanda a Nina Masia inginocchiata per terra sotto la pila dell’acqua santa, ch’ella sembrava reggere con la sua testina diabolica: ed il prete urtò contro di loro, col suo andare distratto, irritandosi tosto nel riconoscere la ragazzina, che la madre aveva a bella posta collocato lì perchè tutti la guardassero. Gli sembrò di trovarsela sempre fra i piedi come un inciampo e un rimprovero.
— Levatevi subito di qui — disse con una voce forte che echeggiò in tutta la chiesetta: e subito la ghirlanda dei ragazzi sì allargò, si spostò, portandosi un poco più in là, sempre con Nina Masia in mezzo, ma disponendosi intorno a lei in modo da lasciarla vedere da tutti quelli che erano in chiesa.
Tutte le donne volgevano la grossa testa verso di lei senza smettere di pregare; e pareva fosse lei l’idolo della piccola chiesa barbara inondata dall’odore selvatico dei paesani e dal pulviscolo roseo del mattino campestre.
Egli andò dritto; ma la sua angoscia aumentava. Sfiorò con la veste la panca ove Agnese era solita inginocchiarsi: un’antica panca di famiglia con l’inginocchiatoio intagliato: e ne misurò con gli occhi e poi coi passi la distanza dall’altare.
— Nel vederla alzarsi per eseguire il suo funesto progetto io avrò tempo di ritirarmi in sagrestia.
E nell’entrare in sagrestia rabbrividì. Antioco era sceso di corsa dal campanile, per aiutarlo e vestirsi, e lo aspettava con l’armadio aperto, serio in viso, più pallido del solito, quasi tragico: pareva già tutto compreso della sua futura missione, quale gli era stata predicata la sera avanti; ma la maschera gli tremava sul viso fresco dell’aria del campanile, e sotto le palpebre abbassate gli occhi gli scintillavano di gioia, e sotto le labbra chiuse i denti si serravano per frenare il riso. Il cuore gli batteva, con dentro tutta la luce, i pispigli, la letizia di quel mattino di festa. D’un tratto, però, mentre accomodava sul polso del prete il merletto del camice, sollevò gli occhi divenuti scuri: s’era accorto che la mano sotto il merletto tremava; e anche il viso venerato era pallido e sconvolto.
— Si sente male?
Si sentiva male, sì, il prete, sebbene accennasse di no: un fiotto di saliva salata gli riempiva la bocca e gli pareva sangue: ma in fondo al suo malessere germogliava una speranza.
Cadrò morto; mi si romperà il cuore; e tutto, almeno, sarà finito.
Ridiscese per confessare le donne, e vide sua madre in fondo alla navata, accanto alla porta.
Immobile e dura, ferma sulle sue ginocchia, pareva vigilasse l’ingresso della chiesa e la chiesa tutta, pronta a sostenerne anche il crollo, se fosse avvenuto.
Ma egli non si rincorava più; e, dentro, quel germoglio di speranza di morte cresceva, cresceva, gli stringeva le viscere, gli soffocava il cuore.
Quando fu nel confessionale si calmò un poco; gli sembrava di essere già dentro la tomba, ma almeno era nascosto e poteva guardare il suo orrore: e il bisbiglio lieve delle donne dietro la grata, sospinto dai loro sospiri e dal loro alito caldo, gli pareva il fruscio delle erbe del ciglione mosse dal passaggio delle lucertole: e Agnese era di nuovo lì, chiusa in quel nascondiglio ove tante volte l’aveva portata con sè nel suo pensiero; l’alito delle donne giovani e l’odore dei loro capelli e dei loro vestiti di festa profumati di spigo attraversavano la sua angoscia e accrescevano la sua passione.
E le assolveva tutte, di tutti i loro peccati, pensando che fra poco anche lui si sarebbe forse presentato alla loro misericordia.