La madre (Deledda)/Capitolo 26
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Poi la stanchezza cominciò a vincerlo. Sentiva un gemito continuo, sommesso, fuori della sua finestra, come d’una colomba in cerca del suo compagno. E quel lamento di dolore e di voluttà gli sembrava il gemito stesso della notte; notte bianca di luna, ma di un biancore molle, velato, col cielo tutto sparso di piccole nuvole simili a piume: poi s’accorse ch’era lui a gemere; ma il sonno già lo placava: la paura, il dolore, i ricordi, sì allontanavano. Gli sembrò di viaggiare davvero, a cavallo, su per il sentiero dell’altipiano: tutto era quieto, chiaro; attraverso i grandi ontani gialli s’intravedevano radure coperte d’erba di un verde tenero che riposava lo sguardo; le aquile, ferme sopra le rocce, fissavano il sole.
D’un tratto la guardia campestre gli si fece davanti; salutò e gli mise un libro aperto sull’arcione.
Ed egli riprese a leggere l’Epistola di San Paolo ai Corinti, nel punto preciso dove l’aveva lasciata la notte avanti. «Il Signore conosce i pensieri dei savi e sa che son vani, ecc.».