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LXXIX LXXXI

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LXXX. — E stando per uno poco, e la reina sí domandò lo suo mantello ala damigella e la damigella sí lo ’ncominciò a cercarne, e no lo trovava in neuna parte. Ma la malvagia [p. 121 modifica] damigella si entroe nela camera dela reina e trovoe sí come T. dormia nel letto, coperto delo mantello dela reina; e quand’ella lo vide, ebe grande paura, e uscío fuori dela camera e serrossi l’uscio dietro. E istando un poco e la malvagia damigella sí si partio e viensine a Ghedin e dissegli: «Ghedin, novelle t’aporto molto maravigliose, che T. sí è nela camera di madonna Isotta e dorme in sul letto. Ora t’apparecchia, stue unque se’ valentre cavaliere, sí che tu lo pigli istanotte». Allora si parte Ghedin e vassine ali cavalieri ch’ierano parenti di coloro che T. avea morti e disse loro: «Istasera siate armati ed aconci e venite alo palagio ala mia camera, ed io sí vi metteroe in mano T., sí veramente che voi nolo fedirete, anzi lo piglierete, sí e in tale maniera che vegna vivo in mano delo re Marco». E li cavalieri dissero: «Questo faren noi bene». Allora sí torna Ghedin alo re Marco e disse: «Re Marco, io credo che domane io vi daroe preso per la persona T.». E lo re disse: «Se tu questo mi fai, io ti dico che tu non mi domandarai quello guiderdone ch’io non ti lo dea. Ma tutta fiata sí vi ricordo che non sia nessuno che lui debia fedire, anzi lo prendete sanza fedirlo e sanza fagli alcuno male ala sua persona». E Ghedin rispuose e disse che questo comandamento avea egli di sua boca fatto ali cavalieri, che lo deono pigliare. E venendo la sera e Ghedin sí mise li cavalieri in una camera nela torre, lá dov’iera la reina in pregione. E quando venne la notte, che T. dormia co madonna Isotta, e Braguina sí ne portoe la spada di T. allo suo albergo e diedela a Governale, perché T. sí glile avea detto, ch’ella la ne portasse. E deppoi che T. si fue adormentato con madonna Isotta, e la falsa damigella sí venne a Ghedin e dissegli: «Ghedin, ora è tempo di prendere T.». Ed allora entroe dentro Ghedin con diciotto cavalieri armati e vennero nela sala. E incontanente si fece apprendere grandi torchi di candele e se gli fece appicare intorno ala camera lá ove T. dormia co madonna Isotta. E istavano abracciati insieme e ciascheduno si hae indosso una camiscia di seta bianca. E allora li cavalieri sí presero T. dormendo e légallo [p. 122 modifica] istrettamente. E la reina quando il vide legato, incomincia a piagnere molto duramente ed a dire in fra se istessa: «Ora son io la piú disaventurosa reina che sia al mondo, quando sono presa in cotale fatto». Molto si duole la reina e T. non fae motto. Alo matino sí venne Ghedin alo re Marco e disse: «Re Marco, io t’aporto buone novelle, ché noi si avemo preso T. e madonna Isotta. E quando a voi piacesse, sí vi lo meneremo dinanzi a voi». Allora sí comandoe lo re che lo debiano menare dinanzi a lui. Ed allora sí presero T. e madonna Isotta e sí legarono loro le mani e sí gli menarono dinanzi alo re. E lo re guardò e vide T. e madonna Isotta davanti lui. E pensando nela bellezza di madonna Isotta e nela prodezza di T., incomincia a dolere fortemente di loro e a dire in fra se istesso: «Oimè, Ghedin, perché m’hai morto? Or poss’io bene dire ch’io sono lo piú disaventurato re che mai fosse, dappoi ched io per fallo di me hoe fatto pigliare lo migliore cavaliere del mondo e quegli che piú m’hae fatto di prode e d’onore e di servigio. E dappoi ched egli è preso, bisogno è che si faccia vendetta di lui e ch’io faccia distruggere la reina, la quale è la piú bella donna del mondo». Ma dappoi, dolendosi lo re in tale maniera, disse a T.: «Da che tu inverso di me hai fatto tradimento, bisogno è ch’io di voi faccia vendetta». E allora sí comanda lo re che la reina si debia essere arsa e a T. sí sia tagliata la testa. E allora sí fuorono a’ prieghi tutti li baroni di Cornovaglia, ch’e’ gli debia perdonare e ala reina altresie. E lo re per loro amore sí liberoe la reina dal fuoco e comandoe che dovesse essere data ali malatti.

Or sí si parte Ghedin e li cavalieri con XII paladori a piede armati, e tenneno contravalle ala cittade. Sí che tutti gli uomini e le femine che vediano andare T. in cotale maniera, tutti diciano per una boce: «Oimè, T., pro cavaliere e cortese che tu ieri! Malaggia lo re Marco! che bene si dovea aricordare quando tue combattesti col’Amoroldo d’Irlanda e mettesti la tua persona in avventura di morte per deliverare Cornovaglia di servitudine. E ora ti ne venne rio guiderdone». [p. 123 modifica] In tale maniera dicono le donne e li baroni di Cornovaglia. Ma T. lo quale vae alo giudicio che lo re avea comandato, sií vae sanza dire nessuna parola. E dappoi che Governale seppe che T. iera giudicato, sí disse ali IIII cavalieri, i quali ierano compagnoni di T., ciò iera Sigris e Sagrimon e Oddinello lo Salvaggio e un altro cavaliere. E questi si raunarono insieme e sí presero loro arme e partirsi dela terra e andarsine alo diserto e dicieno insieme l’uno all’altro: «Dappoi che T. verrae e noi sí fediamo adosso a coloro che lo menano e arditamente, sí che noi diliveriamo madonna Isotta e messer T. Ché meglio ci è di morire ad onore che vivere a vitoperio e che messer T. morisse in cotale maniera». A tanto sí s’acordano li cavalieri.

Ma T. dappoi che fue fuori dela cittade, appresso dela riva del mare, lá dove la giustizia si dovea fare, e li cavalieri sí si partono in due parti: l’una metade si andoe a menare la reina ala malattia, e l’altra parte andonno con T. Ma quando T. si vide presso ala morte e vide madonna Isotta partire da sé, incomincia a darsi molta ira ed a fare come uomo che sia uscito dela memoria. Ed allora istringe le pugna e diede una grande tratta, sí che i legami con ch’iera legato sí si ruppero. [E incontenente guardò e vide] che li avea uno palladore, il quale avea una ispada a lato. Volgesi a lui e togliegli la spada e fiedelo e tagliogli la testa con tutta la spalla e colo braccio. E dappoi ch’ebe fatti questi colpi e T. sí si parte, perché si sentia disarmato, e fugge inverso una cappella guasta, la quale iera sopra lo mare. E quando T. iera in su la porta dela cappella, vennero li cavalieri, volendolo fedire, a T. ed egli difendesi dali cavalieri. E dappoi che lo suo difendere no gli valea, perch’egli era disarmato, sí venne all’altra porta dela cappella, la quale iera sopra lo mare, e gittossi in mare cola ispada in mano. E li cavalieri, quando lo videro gittato in mare, andarono all’altra porta dela cappella e guardarono in mare e dissero: «Lo salto è sí grande, che per fermo egli è morto». Allora si partono li cavalieri e tornano inverso la cittade e dissero [p. 124 modifica] alo re Marco si com’egli aviario messa la reina tra li malatti, sí come egli comandoe. Ma T. per sua prodezza sí si era diliverato «da noi e sí tolse la spada ad uno palladore di mano e uccisene due. E appresso sí fuggio a una capella e combatteo co noi ed ala fine sí si gittoe dall’altra parte dela cappella in mare cola ispada in mano, e crediamo per fermo ch’egli sia affogato». E lo re, quando intese ciò che disseno li cavalieri, incontamente sí si n’andoe nela camera e incomincia a piangere molto duramente e a fare grande dolore. E dice in fra se istesso; «Or è morto lo migliore cavaliere di tutto il mondo ed è distrutta la piú bella donna che fosse trovata nel mondo».

Ma li cavalieri li quali ierano appiattati nelo diserto, vedendo tornare i cavalieri ch’aviano menata la reina, sí si mossero e andaro lá dove iera la reina. E quando fuerono giunti lae, trovarono la reina eli’iera rinchiusa in una camera e tutti li malatti l’ierano adosso per piglialla. E istando in cotale maniera, e li cavalieri sí sopragiunsero, e quando eglino videro i malatti sí gli incominciarono a cacciare ed a dare loro di grande bastonate. E ruppero la camera e pigliarono madonna Isotta e sí la menarono via. E dappoi che fuerono tornati alo diserto, e madonna dimanda che è di T. E Governale rispuose e disse: «Madonna, io credo che sia morto, ma tuttavia io sí lo voglio andare a cercare, e sed egli è morto, sí lo voglio fare soppellire molto orrevolmente, sí come a lui si conviene». Allora sí parte Governale e Sigris e Sagrimon, e andarono ala cappella, lá dove T. avea combattutto. E quando fuerono ala cappella, sí andoe Sigris ala porta ch’iera sopra lo mare, e guardò in mare e disse: «Io credo che T. sia annegato». Allora sí ismontoe da cavallo Sagrimon ed andò a vedere lo salto. E pensando in fra se medesimo, e disse: «Io so bene che T. iera sí prode cavaliere, ch’io non credo ch’egli sia morto». E guardando nel mare, vide la spada risplendere, ed allora incomincia a gridare e disse: «Per nostra Dama groriosa, io veggio T. in sun uno pitetto iscoglio». Allora disse Segris che non potrebe [p. 125 modifica] essere. Allora disse anche Sagrimon: «Io non sono dela forza né dela prodezza di T., ma s’io mi fosse gittato quinci in mare, io non mi crederei morire». Allora viene Governale e incomincia a chiamare T. E T. si levoe ritto in piede e incomincia a menare la spada e mostrava loro lá dov’egli debiano andare per lui, ala riva del mare. Allora si partono li cavalieri, e vegnono in quella parte. Ed allora T. si mette a notare per venire in quella parte lá dov’ierano li cavalieri. E quando Sigris vide T., sí gli disse: «E come istá’ tue, T.?» Ed egli sí disse: «Io isto bene io. Ma ditemi voi, se Dio v’ai, come istae madonna Isotta?» Ed e’ dissero: «Ella istae bene». Allora sí prende Governale e dágli tutta l’arme sua. Ed allora si arma T. e monta a cavallo e viene via quanto puote a madonna Isotta, la quale iera ala foresta coli due cavalieri. E quando fuerono venuti a loro [e] videro madonna Isotta, e incominciano a fare grande festa insieme e grande gioia. E montano a cavallo tutti li compagnoni e partonsi di quella foresta con grande allegrezza e cavalcano a casa d’uno cavaliere di Cornovaglia. E quando lo varvassorio vide T. fue molto allegro, e incontanente sí gli fae servire di tutto ciò che loro abbisogna. Assai parlano li cavalieri del’aventura di T., la quale gl’iera avenuta. Alo matino sí si leva T. e li cavalieri e lo varvassore, e dánno uno bello palafreno a madonna Isotta per sua cavalcatura e uno distriere a messer T. e dánno a lui ed a lei drappi molto begli, sí come si conviene. E T. sí ringrazia assai lo varvassore di questo dono. Ed appresso sí si partono e sí cavalcano tutti li compagnoni insieme, diritto per la via d’andare in delo reame di Longres, lá ove li buoni cavalieri si riparavano.

E cavalcando messer T. cola reina e coli compagni, disse messer T. ala reina: «Se noi andiamo nelo reame di Longres, voi sarete chiamata la reina falsa ed io lo cavaliere traditore. E imperciò sí mi pare che noi sí andiamo a stare nelo reame di Leonois e quivi sí potremo fare quello che noi vorremo». Allora sí rispuose madonna Isotta e disse: «T., io so bene che ciascuno di noi è cambiato, del’amore che porta l’uno [p. 126 modifica] all’altro. E dunqua ti dirò io lo mio volere. Or ti dico che se noi andiamo in delo reame di Leonois od in altra parte, lá ove cavalieri od altra buona gente sappia nostri convenentri, egli diranno di noi tutta villania. E imperciò sí mi pare che noi abiamo a rimanere in questo diserto, in uno bello luogo e dilettevole, lo quale uno barone di Cornovaglia lo fece fare per una sua donna la quale molto amava oltre misura, ed ierane molto geloso di questa sua donna. E per grande gelosia sí fecegli adificare in quello diserto uno bello palagio, tanto bello che neuno uomo non ne vide mai neuno piú bello. E in questo palagio sí fece fare molto belle camere e di molto belle dipinture e sí ci fece fare di molto begli giardini e pratora molto belle. Sí che lo barone sí v’andoe a stare in quello palagio cola sua donna, ch’io detto v’hoe, lo quale palagio è lo piú bello ch’altri potesse trovare. E imperciò sí pare a me, quand’e’ piaccia a voi, che noi si dobiamo andare a stare in quello palagio, ched io detto v’hoe, il quale è così bello e buono».