La leggenda di Tristano/LXXV
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LXXV. — A pochi giorni sí venne una damigella dela corte del re Marco e sí si innamoroe molto fortemente di T. e dice: ve Io voglio che tue sí sii cavaliere di mio amore». E T. di queste parole che la damigella dice sí si cruccia molto fortemente e dice: «Va via, folle damigella, e queste parole giamai non dire piú». Ed allora di queste parole che T. disse fu la damigella fortemente crucciata, e dice in fra suo cuore ch’ella farae a T. non bene, s’ella altro gli potrae fare. A tanto sí si innamora la damigella di Ghedin e Ghedin [sí] si chiama damigello di suo amore. A tanto questa damigella sí s’avide sí come T. s’amava di folle amore cola reina Isotta. A tanto lo disse a Ghedin e Ghedin sí era nepote delo re Marco e cugino di T. E Ghedin, che fece per astio di T., perch’egli era cosí buono cavaliere e perch’iera segnore di Cornovaglia, ed egli sí andoe ad acusallo alo re Marco e disse: «Messer lo re, T. sí v’aunisce di vostra dama». E lo re Marco rispuose e disse: «Questo non puote essere». E Ghedin disse: «Messer, per lo fermo egli è cosí la veritá ed io la farò a voi credere, sí che voi ne sarete certo». A tanto Ghedin sí prese due falce fienaie e misele intorno al letto di madonna Isotta, la sera quando madonna Isotta si fue coricata. Ed appresso sí venne T. per una finestra e sí colse uno salto e saltò in sul letto di madonna Isotta e istette con lei la maggiore parte dela notte. E quand’egli si venne a partire, T. che non prese guardia dele falce sí incappoe la gamba all’una dele falce. Allora disse T.: «Oi Dio, or siamo noi morti ché nostre privanze si sapranno ogimai». E la reina disse a T.: «Vattine via a tua camera e queste cose lasciale a me, ch’io ci prenderò bene consiglio». Allora sí parte T. e torna a sua camera. E madonna Isotta sí si leva del suo letto e venne ale falce e fe[ri]ttevi entro dell’una dele gambe; ed incontanente si mise mano a gridare e a fare grande romore, sí che tutte le damigelle sí veniano ala camera dela reina. E lo re intende questo romore e vassine ala camera dela reina, e raunovisi assai altri baroni e cavalieri. E dicendo lo re Marco: «Ch’è issuto questo romore che madonna Isotta hae fatto?» ed ella sí rispuose e disse che di queste cose non sapea nulla e non sí ne prendea guardia, ma coloro che vegnono [’n] dela camera que’ debono sapere queste cose come sono. Allora disse lo re Marco: «Tue, T., e tue, Ghedin. voi siete incolpati di queste cose». E T. rispuose e disse: «Io sono apparecchiato di provare a Ghedin per forza d’arme sí com’egli mise la falce intorno alo letto di madonna Isotta e non io». Allora disse lo re Marco: «Or lasciate istare queste cose e sicuramente sopra me vi prometto ched io ne darò pentimento a chi fatto l’avrae». E a tanto sí si parte lo re e li suoi cavalieri e li suoi baroni e le donne e le damigelle, e ciuscheduno torna a sua camera. E alo matino sí si leva lo re Marco e viene nela sala lá ov’ierano li suoi cavalieri e T. altresie. E incontanente lo re si comandoe che siano messi cinque padiglioni ala marina e tutto fue fatto suo comandamento. E incontanente lo re si montò a cavallo cola reina e baroni assai ed altri cavalieri assai in loro compagnia, e incominciano a fare ala marina grande sollazzo infra loro. Ma T. non cura d’altro sollazzo se non di quello di madonna Isotta. Ed allora sí incominciano intra loro due a piede d’uno padiglione a giucare a scacchi.
E istando in cotale maniera sí sopravennero due cavalieri armati di tutte arme, sí come cavalieri erranti, e vennero alo padiglione del re Marco e imprimamente sí salutarono lo re ed appresso tutti li suoi cavalieri. Ed allora lo re sí rendeo loro lo suo saluto e cortesemente. E li cavalieri sí domandano ov’è la reina Isotta. E lo re rispuose e disse: «Vedetela costá che giuoca a scacchi con T.». E li cavalieri sí andarono in quella parte lá ov’iera la reina. E se alcuno mi domandará chi sono li cavalieri, io dirò ch’egli è l’Amoratto di Gaules e uno suo fratello. E l’Amoratto incomincia a dire incontra a suo frate: «Piú bella è madonna la reina d’Organia che non è madonna Isotta». E lo cugino incominciò a dire che piú bella è la reina Isotta che non è quella d’Organia. Ed allora rispuose l’Amoratto e disse: «Per mia fé, se tu non fossi mio cuscino, io ti lo proverei per forza d’arme, che madonna la reina d’Organia è piú bella che non è Isotta la bionda». E suo cuscino rispuose e disse: «Se non fosse che tu se’ mio cuscino, io lo proverei a te per forza d’arme che madonna Isotta è piú bella che non è la reina d’Organia». E tutte queste parole intendea la reina Isotta e disse: «Cavalieri, ditemi cui figliuoli voi foste». Ed eglino dissero: «Lo re Pellinor fue nostro padre». Disse madonna Isotta: «E se’ tu cavaliere errante?». Ed egli disse che sie. Allora disse la reina Isotta: «Io nol credo che tu fossi figliuolo del re Pellinor, perché lo re Pillinor sí fue uno cortesisimo cavaliere, ma tu non ritrai da suo legnaggio di cortesia. Imperciò che me non pare che tu sii mica cortese cavaliere, quando tu davanti a me tu mi die villania». Allora sí disse PAmoratto: «Io vi priego, madonna Isotta, che, sed io ho detta follia inverso di voi, che vi piaccia di perdonarmi, perché tutto tempo di mia vita io non faglierò in cotale modo». Allora sí si partono intrambodue li cavalieri e prendono commiato dela reina e pervegnono ala strada appiede d’uno bello albero, e ivi sí truovano una damigella che venia ali padiglioni. Ed or la domandano e dissero: «Damigella, io vi priego per amore che voi ci dobiate fare uno messagio alo re Marco, e dite cosi che due cavalieri erranti sí sono laggiuso a piede di quello albore ed ivi sí stanno e dimandano giostra». E la damigella rispuose e disse che questo messaggio fará ella volontieri. Allora sí parte la damigella dali cavalieri e viene alo re Marco e dice: «Re Marco, laggiuso si hae due cavalieri erranti che vi domandano giostra». E lo re sí rispuose e disse: «S’egli giostra domandano, ed io dico cosí ched io di giostra non fallirò giá loro». Ed allora sí comanda lo re che incontanente due cavalieri sí montino a cavallo e prendano loro arme per andare a combattere «con quegli due cavalieri erranti, li quali v’aspettano». E incontanente due cavalieri sí fuorono armati e andarono a combattere co’ due cavalieri erranti. E l’Amoratto, quando vide venire li cavalieri, disse: «Or vedremo noi come la faranno li cavalieri di Cornovaglia». Allora abassa la lancia e viene a fedire inverso lo cavaliere, e l’Amoratto viene a ferire lo suo di tutta sua forza e passagli lo scudo e l’asbergo e mettegli la lancia nele coste e miselo a terra del cavallo. E lo suo cuscino sí abatteo lo suo e fece lo somigliante. E lo re, quando vide li suoi cavalieri a terra de’ cavagli, sí comanda incontanente che due cavalieri si prendano l’arme e vadano a combattere coli cavalieri. Ed allora incontanente sí fuerono armati due cavalieri e vegnono ala battaglia molto tostamente. E li due cavalieri erranti bene monstrano loro forza ed ora feggiono ali due cavalieri di Cornovaglia e sí mettono li cavalieri e li cavagli in due monti. E lo re Marco, quando vide questa aventura, incontanente comanda che debiano pigliare l’arme X cavalieri, e fue fatto suo comandamento, e sí comanda loro che vadano a combattere tutti insieme coli due cavalieri erranti. Ed allora sí andarono a combattere. E quando madonna Isotta ebe vedute queste cose, disse a T.: «Andiamo a vedere sí come li cavalieri di Cornovaglia combattono coli cavalieri aventurosi». Allora vegnono ala piazza, lá dov’iera la battaglia deli cavalieri, e videro che diece cavalieri di Cornovaglia andavano a combattere con due cavalieri erranti. E T. incontanente sí n’andoe al re Marco e dissegli: «Re Marco, tu vitoperi oggi Cornovaglia, quando tu mandi incontra a uno cavaliere errante se non un altro cavaliere». E lo re rispuose e disse ch’egli vi ne manderebe tanti che vuole che li cavalieri erranti siano vinti. E allora sí si incomincia la battaglia e li due cavalieri erranti sí feggiono ali X cavalieri e prima ch’egli rompano le lancie ciascheduno abbatteo tre cavalieri. E dappoi sí mettono mano ale spade e incominciano a fedire ali cavalieri e danno di grandi colpi. Sí che T. vedendo combattere li due cavalieri, disse alo re Marco: «Or potete vedere due molto franchi cavalieri e bene mostrano loro prodezza francamente». Sí che l’Amoratto e suo compagno sí ebero vinti li dieci cavalieri di Cornovaglia. Or sí ritornano a piede dell’albero e anche dimandano giostra. Allora comanda lo re Marco a T. e disse: «T., prendi l’arme e vae a combattere coli due cavalieri». E T. rispuose e disse: «Questo non fare’ io, imperciò che a me non sarebe nessuno onore, dappoi che tanto hanno fatto d’arme e mostrata loro prodezza ed apertamente». Allora comanda lo re a T. che prenda l’arme e per ciò ch’egli gli è tenuto. Allora T. sí si ne vae ali paviglioni molto irato e cominciasi ad armare e monta a cavallo e prende suo scudo e sua lancia. Allora due cavalieri di Cornovaglia sí aveano presa l’arme per fare compagnia a T., e T. dice che loro compagnia non vuole egli giá. Ma s’egli vogliono andare ala battaglia sanza lui, vadano in buon’ora. Allora cavalca T. tutto solo e li due cavalieri rimasero. E quando l’Amoratto vide venire lo cavaliere solo, si disse incontanente: «Questi è T., nepote delo re Marco di Cornovaglia. E se noi costui possiamo vincere, noi possiamo dire poscia che noi avemo oggi vinto tutta Cornovaglia». Ed allora domanda l’Amoratto la battaglia prima che suo cuscino e lo cuscino disse ch’iera sua, imperciò che fue prima fatto cavaliere. Allora venne T. a ferire lo cavaliere e lo cavaliere lui dela lancia sopra lo scudo e brigia sua lancia; e T. fiedí lui e passagli lo scudo e l’asbergo e mettegli la lancia nel costado, e miselo a terra del cavallo. E alo ritrarre che fece a sé dela lancia e lo cavaliere ispasimoe. E l’Amoratto, vedendo suo cuscino a terra del cavallo, disse infra suo cuore che bene lo vengerá egli sed egli potrae. E l’Amoratto dirizza la testa delo distriere inverso T. e T. inverso lui e ciascheduno abbassa le lancie; e l’Amoratto fiede T. sopra lo scudo e brigia sua lancia, e T. fiede lui e passagli lo scudo e l’asbergo e mettergli la lancia per lo sinestro costado, e brigia sua lancia e mettelo a terra del cavallo. E dappoi che T. ebe fatti questi due colpi, sí si ritorna inverso li paviglioni e ismonta da cavallo e trasi sua arme. E lo re Marco molto si maraviglia deli due colpi c’hae fatto T. e dice a T.: «Perché se’ tu fellone inverso di mee? Ché se tu inverso di mee non fossi fellone, al mondo migliore cavaliere di te non avrebe». A queste parole venne l’Amoratto e disse: «T., io t’appello di battaglia delle spade, che noi sí facciamo uno assalto o due; e se tu m’hai abattuto da cavallo, tu no m’hai menato affine allo transire». [Allora] disse T.: «Non este tale querella intra noi due, ch’ella si debia menare affine alo transire». Allora disse l’Amoratto: «E com’è, T., e non faremo noi uno assalto o due ale spade?». E T. rispuose e disse che noe. Allora disse l’Amoratto: «E dunqua non se’ tue cosí buono cavaliere sí come altri ti tiene, dappoi che tu cessi la battaglia intra noi due ale spade. E dunqua pare che tu temi di combattere. Per nostra dama» disse l’Amoratto «ched io giamai no ti terroe cosí buono cavaliere si com’io ti tenea inprima. A tanto mi parto di quinci, quando tue non vuogli combattere con meco ale spade».
Allora si parte l’Amoratto e torna a suo cuscino, e monta a cavallo e piglia lo camino lo piú diritto ch’egli unque sa e puote, per andare inverso lo diserto d’Irlantes ala fontana Aventurosa. Ed ivi sí truova uno cavaliere e una damigella ed aviario uno corno a collo, lo piú bello che fosse mai al mondo, ed iera lo corno d’ariento tutto fornito a verghe d’oro, e lo scaggiale, lá ov’egli iera appiccato lo corno, sí era tutto di fino oro, ed iera molto bene fornito lo corno ed altamente. E quando l’Amoratto vide lo corno, si domanda lo cavaliere che corno iera quello. E lo cavaliere che avea lo corno in guardia, disse che no lo usava dire. E l’Amoratto disse: «Per mia fé, sí dirai o tu combatterai meco». E lo cavaliere rispuose e disse che ciò fará egli volontieri. A tanto si disfidano li cavalieri e vegnosi a fedire insieme l’uno incontra l’altro, e alo scontrare dele lancie sí le ruppero. E dappoi sí misero mano ale spade e sí si danno di molto grandi colpi fieramente. E lo cavaliere non puote durare contra l’Amoratto ed allora dice lo cavaliere a l’Amoratto: «Io ti diceroe che corno è questo e chi lo manda». E a tanto sí rimane la battaglia intra li due cavalieri e l’Amoratto dice: «Or di, cavaliere, che aventura hae questo corno?». E lo cavaliere dice sí come quello corno mandoe la fata Morgana nelo reame di Gaules. E l’Amoratto disse: «Dimi che aventura egli hae in sé questo corno». E lo cavaliere dice: «Egli è buono da dicernere le buone donne dale malvagie, ché qualunqua donna il si pone a bocca pieno di vino, s’ella hae fatto fallo a suo marito sí non ne puote bere, anzi se le spande tutto per lo petto». Allora dice l’Amoratto: «Questo corno manda la fata Morgana in Gaules ala corte delo re Arturi per istruggere la reina Ginevra. Ma per mia fé tu no lo vi porterai, anzi anderai lá dov’io ti manderoe». E lo cavaliere disse che non v’andrebe. «E dunqua ti converrá egli venire ala bataglia». E lo cavaliere disse: «Anzi voglio io combattere che io non faccia mio messaggio e che io non porti lo corno lá dov’egli è mandato».