La guerra (Goldoni)/Lettera di dedica
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AL NOBILE E VALOROSO CAVALIERE
IL SIGNOR MARCHESE
FRANCESCO ALBERGATI VEZZA.
Terminate colle persone novellamente venute le solite cerimonie del ben venuto, del come state, un Uffiziale, Cavaliere di San Luigi, interessato più degli altri per la vostra persona e per l’onor vostro, tirommi in disparte, e mi tenne di Voi il seguente ragionamento. Voi, (mi disse), conoscete la Famiglia Albergati in Italia, ma non conoscete forse bastantemente il Marchese Francesco in Francia. Egli è un bravo soldato; un Uffizial valoroso, che ha mente e cuore, e sa il mestier della guerra, e si è acquistato tutto il merito e tutto il concetto fra le nostre milizie, e fra quelle de’ nostri passati nemici. Ha servito nel Canada nell’America Settentrionale dall’anno 1752 sino alla perdita per noi fatale di quel vastissimo continente. Si è valorosamente distinto nell’assedio della Fortezza Inglese chiamata Il Forte della Necessità, dove è anche stato gravemente ferito. Ha fatto conoscere il suo talento e il suo zelo nell’importante impiego d’Uffiziale inspettore sopra i lavori del Castello nostro di Cariglion; e nell’Inverno del 1757, superiore ai rigori del clima, ebbe l’abilità ed il coraggio di mettere il fuoco più d’una volta ai lavori ed ai vasselli degli inimici, a vista della Fortezza appellata Giorgio, ed in tal vicinanza, che un tiro di pistola potea colpire. Mirabile fu la sua resistenza all’ armata Inglese nel 1759, dopo la perdita della battaglia, e riconoscono i Francesi dal suo valore e dalla sua costanza la ritirata fortunatamente eseguita; ma quello che coronò i suoi meriti e la sua bravura fu la battaglia de’ 28 Aprile dell’anno 1760, in cui meritò gli elogi di tutta l’armata, ed in conseguenza di ciò, fu scelto con preferenza a tanti altri al comando del Forte Jacque-quartier, importantissima Piazza, situata in allora nel centro degl’inimici. Ha egli avuto il talento di nascondere la scarsezza delle provvisioni, lo stato infelice di quel presidio, ridotto con trentasei soldati della marina ed alcuni pochi militari di que’ contorni, ed obbligare gì Inglesi ad attaccarlo con mille uomini e dieci pezzi d’artiglieria, ed accordargli alla fine la più onorevole capitolazione. In somma (continuò il Cavaliere) il vostro Marchese Albergati, nello stato Maggiore, all’armata Francese nel Canada, per tre anni consecutivi durante la guerra, ha adempito con soddisfazione pienissima de’ Generali a tutti i doveri di un Militare, e si ha guadagnata la stima intiera de’ soldati, del popolo e degl’inimici medesimi.
Non potei allora trattenermi di domandargli: qual premio, qual gratitudine, qual ricompensa ha egli ottenuto ai suoi travagli, alla sua condotta? Ha egli avvanzato di grado? Ha ottenuto almeno la Croce di San Luigi? Restò sospeso l’Uffiziale alcun poco; pareva ch’ei volesse rispondere, e non trovasse i termini per ispiegarsi; ma ecco dell’altra gente che arriva, ecco interrotta la nostra conversazione; mi mette in mano un Foglio stampato, mi dice di leggerlo in confermazione di quanto mi aveva esposto, si unisce alla compagnia, e da me si divide. Curioso di leggere il suddetto Foglio, mi ritirai in una stanza vicina; trovai ch’ella era la Gazzetta d’Utrecht de’ 4 Novembre dell’anno 1760. Scorsi coll’occhio per osservare s’eravi cosa interessante sul proposito fin allora tenuto, ed ecco quel che vi ritrovai, in data di Londra de’ 24 Ottobre del medesimo anno. Una lettera di un Uffiziale del Reggimento Franzer (de Montagnari), in data di Quebec li 13 Settembre passato, è concepita in questi termini: Noi siamo di ritorno dal Forte Jacque-quartier, del quale ci siamo impadroniti li 9 del corrente, e prima che a noi fosse nota la resa di Mont-Royal. il Colonello Franzer alla testa di un distaccamento di ottocento uomini ha diretto questa spedizione, ed il Marchese Albergati Italiano, Governatore di detto Forte per i Francesi, l’ha sostenuto fin tanto che si è trovato con trenta sole libbre di polvere. Noi ci disponevamo all’assalto, allora quando questo bravo Ufiìziale si è reso. Monsignor Albergati e Monsieur Franzer hanno dunque avuto l’onore, l’uno di prendere l' ultima Piazza del Canada, l’altro di mantenersi l’ultimo in questa antica parte degli Stati di Sua Maestà Cristianissima.
Confesso il vero, Sig. Marchese veneratissimo, questo pubblico foglio mi ha consolalo all’estremo; mi pare ch’egli vi renda tutta la giustizia che meritate, e che l’elogio di una nazione s valorosa, ed in quel tempo nemica, vaglia tutte le ricompense, che forse non avete ancor ricevute.
Ecco dunque come ho imparato a conoscervi, prima ancor di vedervi. Considerate la mia impazienza. Informato del vostro albergo, vi corsi subito, e non vi trovai. Lasciai la lettera, scrissi un viglietto, vi rimarcai la mia pena, il mio desiderio, ed eccovi il giorno dopo, pieno di bontà, di gentilezza, di cortesia, ad onorarmi, a consolarmi nella mia abitazione. S’io avessi cominciato allora a conoscervi, e non fossi stato di già prevenuto pel vostro grado e pel vostro merito, bastato avrebbe il vedervi, il trattarvi, il ragionare con Voi, per amarvi, e stimarvi, ed esservi perpetuamente attaccato. Vi si legge in fronte l'onore, il valore, la sincerità. I vostri ragionamenti, succosi e piacevoli nello stesso tempo, uniscono perfettamente la cognizion delle cose alla virtuosa semplicità, onde dissi tosto a me stesso: ecco un uomo di garbo, che non affetta di esserlo. Contento fui all’estremo dell’onor di conoscervi, e di ritrovarmi qualche volta con voi; ma fu ben tosto amareggiata questa mia contentezza, rilevando da voi medesimo, che siete in disposizione di ritornar ben tosto in America5. Avrei desiderato, che foste contento di Parigi; non so se lo siate; non ve l’ho dimandato, e se ve ’l chiedessi, siete troppo moderato e prudente per lamentarcene. Voi partirete adunque pe ’l Canada6; rivedrete que’ luoghi, bagnati dal vostro sangue e dal vostro sudore, difesi dal Vostro coraggio, ed onorati dal vostro zelo e dalla vostra condotta. Consolerete, egli è vero, la Signora Marchesa, degnissima vostra Sposa, che colà impaziente vi aspetta, ma ella sarebbe stata egualmente contenta di seguitarvi in Europa, dove avrebbe fatto risplendere quelle virtù che l’adornano, e che la rendono preziosa e distinta nella Colonia da due secoli colà trapiantata. Vi abbraccieranno con giubbilo gli amici vostri; e i nuovi possessori della conquista avranno di voi quella stima e quel rispetto che meritate. Tutto ciò vi anima e ci consiglia a ripassare l’Oceano, ad allontanarvi da noi, ma un altro stimolo non meno forte degli altri vi sollecita forse ad anticipare il cammino. Voi avete un amico, un amico vero; Voi conoscete il pregio della vera amicizia; Vi credete in obbligo di perfetta corrispondenza; l’amate con eguale virtù; ritorna in America; v’invita seco a partire, e non avete cuore di abbandonarlo: andate dunque, se così la sorte di voi dispone, secondi il Cielo le oneste mire del vostro talento, e vi renda felice, qual meritate di essere. Ma ricordatevi qualche volta di noi; non ci abbandonate per sempre; tornate a rivedere la Vostra Patria, gli amici, i Parenti vostri, il vostro degnissimo, amabile Genitore, che teneramente vi ama.
Vi ha fatto egli sortire dal Reggimento delle Guardie del Corpo di S. M. Imperiale in Firenze, con animo forse di avervi seco in Bologna, ma il genio vostro, Militar valoroso,7 manifestatosi in voi negli anni più teneri dell’età vostra, intollerante dell’ oziosa tranquillità, vi ha trasportato di là dal mare a rintracciare la Gloria. Ha sagrificato e sagrifica tuttavia il tenero, virtuoso Padre all’idolo dell’onore il suo caro Figlio, ma voi siete in obbligo di corrispondergli con eguale impegno, sollecitando il vostro ritorno. Credete voi interessato questo mio rispettoso consiglio? Sì, è vero, non mi nascondo, il mio interesse, il mio amor proprio mi eccita a persuadervi. Desidero di rivedervi in Bologna, in compagnia del nostro amabilissimo Signor Senatore, del Vostro amico, del mio Protettore.
Ma vorrei pure, che il lungo viaggio che voi intraprendete, e la smisurata distanza, in cui saremo per qualche tempo, pregiudicasse il meno che sia possibile alla bontà vostra per me, ed al mio attaccamento verso di voi. Mi è venuto alla fantasia un espediente; lo credo opportuno, e lo esseguirò se mei permettete. Ho pensato di dedicarvi una mia Commedia, e di presentarvela prima della vostra partenza8. Così Voi avrete il mio umilissimo nome dinanzi agli occhi, ed io il vostro nelle mie opere. La Commedia ch’io vi destino, non può essere che poca cosa, se è cosa mia; ma il titolo per lo meno e l’intreccio vi conviene perfettamente. Ella è intitolata: La Guerra, ed è intrecciata di virtuosi caratteri militari. Che ne dite? Poteva io meglio scegliere al gusto vostro? Poteva dedicare quest’operetta a persona che meglio lo meritasse? Nelle situazioni nelle quali vi siete voi ritrovato, avete dimostrato tanto valore, e sì buona condotta, quanta poteva usarne in congiunture maggiori un Generale d’armata. Ritroverete nella Commedia qualche tratto, che non vi darà dispiacere. Vedrete fra le cose le più rimarcabili il carattere di una Donna, accesa del più tenero amore, sagrificare all’onore del caro amante i suoi timori, le sue speranze, la sua passione. Vi sovverrete allora della virtuosissima Sposa vostra, la quale con intrepidezza ammirabile v’incoraggiva a combattere, ed a trionfare: qual situazione dolorosa, difficile per due consorti che s’amano! Voi, nel Castello, dirigere i colpi verso i nemici, impadroniti della Città, essere obbligato a non risparmiare la vostra Casa medesima, e la valorosa Signora, esposta al pericolo, lungi dal rattristarsene, animare i timidi col proprio esempio, e preferire l'onor del marito alla propria vita! Questa è la giustizia che a lei vien resa da tutti quelli che obbligati furono a passare in Francia, dopo la resa del Canada, e questo è quanto può rendere una Donna immortale.
Ricevete dunque benignamente questa Commedia, che a voi appartiene, e divertitevi qualche volta a leggere i miei volumi. So che vi dilettano i studj più serj, le lettere più utili ed interessanti. So che non avete profittato de’ vostri ozj a Parigi per correre colla folla ai spettacoli, ai divertimenti, ma vi siete seriamente applicato ad un corso metodico di Archittetura, e meditate di pubblicar colle stampe le vostre applicazioni ed i vostri progressi; ma spero non isdegnerete talora gettar l’occhio alla sfuggita su questi libri, i quali non contengono eleganza e dottrina, ma semplicità e verità. Il Cielo vi feliciti ne’ vostri viaggi, nelle vostre intraprese. Ricordatevi qualche volta di chi vi stima, e vi ama, e si protesta ossequiosamente
Umiliss. Devotis. e Obbligatiss. Serv. |
- ↑ Intorno a Franc. Albergati-Capacelli v. la lettera di dedica e la nota storica della Serva amorosa (vol. VIII).
- ↑ La presente lettera di dedica fu stampata in testa alla commedia nel t. Vi dell’ed. Pasquali che riuscì a Venezia nel principio del 1764.
- ↑ Giunse il Goldoni a Parigi ai 26 agosto del 1762.
- ↑ Si veda la lettera del Goldoni da Parigi al senatore Albergati-Capacelli, 24 gennaio 1763 (Lettere di C. G. per cura di E. Masi, Bologna, 1880, p. 192).
- ↑ Vedasi lettera citata.
- ↑ La partenza, fissata per il mese di aprile o di maggio 1764 (v. lett. di Gold. 18 febbr. ’64 al senat. Albergati in Lettere di C. G. cit.. p. 239). fu impedita da imbarazzi di denaro, come si apprende dalle lettere del Gold, al senat. Albergati, e il Marchese trovavasi tuttavia a Parigi nel luglio 1765 (Lett.e cit., p. 285).
- ↑ Nell’ed. Pasquali la virgola non è dopo vostro, ma dopo Militar, e non si sa bene come correggere.
- ↑ È incerto se così la presente lettera, come la prefazione che segue, siano state scritte prima del febbraio 1763. Il Gold. annunciava tale dedica nella lett. 10 dic. 1763 al senat. Albergati-Capacelli (A. G. Spinelli, Fogli sparsi del Gold., Milano, 1685, p. 65).