La donna vendicativa/Nota storica
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NOTA STORICA
Adempiuti i termini del contratto, il Goldoni regala generosamente al Medebac ben tre commedie e tra queste la Donna vendicativa. Così le Memorie (P. II, cap. XVI) . Le quali spiegano ancora come questa D. v. fosse «un petit trait de vengeance de l’Auteur lui-méme. Coraline [Maddalena Marliani] très-piquée de me voir partir, et voyant l’inutilité de ses démarches pour m’arréter, me jura une haine éternelle. Je lui fis la galanterie de lui destiner le rôle de la Femme vindicative; elle ne le joua pas; mais j’étois bien aise de répondre à la vivacité de sa colere, par une douce et bonnète plaisanterie». Vada per la vendetta, di cui la premessa non fa espressa menzione, ma che pure illustra col curioso aneddoto del sonetto di scusa, non goldoniano, recitato dall’attrice (vedi la nota a p. 478). Di fronte però alle manifeste contraddizioni tra Memorie e premessa per tutto il resto, è da aggiustar fede, senza più, a questa, dettata ben trent’anni prima. Niente generosità dunque, ma rigorosa fedeltà ai patti del contratto, e Corallina, se anche a contraggenio, recitò la commedia l’anno dopo.
A dispetto delle teorie esposte in questa premessa e altrove (cfr. Nota all’Adulatore, vol. IV) sul posto che conviene alla virtù e al vizio sul palcoscenico, il Goldoni nella pratica tenne altro modo: quello, secondo Arturo Schopenhauer, usato dai grandi poeti drammatici, il solo vero: mettere in scena cioè «caratteri malvagi, anzi scellerati, in copia: gente stolta pazza stravagante: solo qua e là persone equilibrate sagge oneste, e, rare eccezioni, figure magnanime. Così fece lo Shakespeare. Non Iffland, non il Kotzebue, il teatro dei quali abbonda di caratteri nobili e generosi: mentre il Goldoni segue la regola e mostra di stare più in alto» (Die Welt als Wille und Vorstellung. Lipsia, [1891], II vol., p. 512).
Quali cognizioni del teatro goldoniano aveva lo Schopenhauer? Anche giudicando del teatro goldoniano, com’è probabile, a occhio e croce, dava nel vero. Perchè accanto alle madri buone e amorose, alle mogli sagge e prudenti, alle figliole onorate e ubbidienti, ai veri amici, alle buone famiglie — candide bandiere che spesso coprono brutture — i dissipatori, i bugiardi, gl’ipocriti, i maldicenti, gl’impostori, i dissoluti, gli avari, gli egoisti, gl’indolenti, i figli che attentano alla vita dei padri, mogli a quella dei mariti e viceversa, le donne lusinghiere pettegole curiose interessate — son legione. La statistica morale del teatro goldoniano non smentisce il filosofo pessimista. Nè il quadro a chi scenda nell’umile classe della servitù si porge meno desolante. Per una serva amorosa, riconoscente, per una domestica affezionata e fedele, quante fantesche disoneste e spadroneggianti, quanti Brighella imbroglioni e intriganti. Arlecchini sciocchi e venali!
Alla Gastalda oggi s’aggiunge questa Donna o Serva vendicativa, come fu spesso detta dai comici. Presto, frutto di studio più profondo nella classe delle serve padrone, seguirà la Donna di governo. Gelosie di attrici, peculiari qualità del loro temperamento artistico o predilezioni suggerite al poeta dal suo tenero cuore — concedevano spesso al ruolo della servetta il posto d’onore.
Dopo la Serva padrona di J. A. Nelli (1731) e l’omonimo intermezzo di G. A. Federico, celebre nella musica del Pergolese (1733), la figura della fantesca che tiranneggia tutta una famiglia non era nuova al teatro. Il Goldoni, schivo forse di mostrarsi per vie già da altri battute, evita sempre la parola serva nel titolo. A buon diritto ricorda il Landau qual precursore al Goldoni in questo genere di commedie il simpatico scrittore senese, senza però accennare a imitazione diretta. Ma le affinità tra la favola della Serva padrona e quella della Donna vendicativa non mancano. In tutte e due la serva si fa padrona per la dabbenaggine d’un vecchio, senilmente preso di lei. Corallina, come già Pasquina, lusinga il padrone per interesse, ma in verità ambisce le nozze d’un giovane che nel lavoro del Nelli sfrutta questa passione per levar alla donna roba e quattrini: in quella del Goldoni per averne agio a vedere Rosaura. Spogliano tutte e due la casa dove sono, e tutte e due si lagnano del contegno dei figlioli e fingono di voler andarsene. E i vecchi, messi alle strette, cercano di sbarazzarsi della prole. Anche in qualche episodio lo spunto potè esser offerto dalla commedia del Nelli. Da ultimo però nella D. v. il solito pentimento con ampia confessione di reati e l’inevitabile perdono: nel Nelli invece il meritato castigo con la cacciata della donna perversa.
Alle ingiurie del tempo si sottraggono ancora, e discretamente bene, quasi interi i due primi atti dove abbondano dialoghi di gustosa vivacità e le figure, tutte, si staccano nette ne’ loro diversi atteggiamenti: ma non il terzo, composto con pernicioso spostamento di paesi e di tempi, «al costume degli spagnuoli» intricato così da renderne oscura l’azione. E certo per fedeltà ai drammi de capa y espada vi si fa tanto inopportuno, seppur incruento, sciupio di spade coltelli e pistole.
Più ai difetti che ai pregi intesero i rari giudici di questo lavoro. Solo il Falchi rileva giustamente l’energia insolita dei personaggi: concede però, come sempre, troppo alla tesi del suo libro comprendendo Corallina tra le «poche donne malvagie del Goldoni» (Intendimenti sociali di C. G., Roma, 1907, pp. 77, 78, 85). Il Royer scorge solo alcunchè di buono nell’osservazione dei costumi e de’ caratteri, e mette la Donna vendic. tra le commedie prive d’invenzione creatrice. Corallina «par sa conduite comme par ses remords tardifs.... tombe dans le mélodrame le plus vulgaire du monde» (Hist. univ. du théâtre. Paris, 1870, vol. IV, p. 292). Per il Rabany questa commedia inclina troppo al serio e gli pare fiacco lavoro «comme toutes les pièces qui contiennent des allusions à des faits particuliers» (op. cit., p. 347). Dove poi si contengano nella commedia queste allusioni il critico non dice e noi non sappiamo scorgerle.
La virtù oltraggiata dal contegno, dai maneggi di Corallina e da qualche equivoco poco pulito, sfuggito alla penna dell’autore, avrebbe fatto inorridire il buon Schedoni se avesse letto questo lavoro. Lo lesse per lui il Meneghezzi e non tace il suo sdegno: «Riproviam parimenti [s’allude alla Sposa sagace] quella D. v., carattere impresso di tutte le più abbiette qualità, che trama tante insidie perchè la figlia del suo benefattore cada nelle mani di un uomo bestiale, ed ove l’Autore fa succedere nel terzo atto molti e poco delicati intrighi notturni, e dove finalmente l’autrice scellerata di tante inique trame non ha altra pena che quella di tornarsene a vivere nel proprio paese nella pristina condizione» (Della vita e delle opere di C. G. ecc. Milano, 1827, p. 150).
Scarse notizie accompagnano la fortuna di questa D. v. sulle nostre scene fino a mezzo l’800. Nel 1820 la recita a Milano la Compagnia Alberti e Rosa (Seconda continuaz. della serie cronol. delle rappres. dei tea. di Mil., Milano, 1821, p. 114); una Comp. Majer, misera accolta di guitti, nel 1822 a Fucecchio (Rasi, Il libro degli aneddoti. Firenze, 1908, p. 212). Dal 1844 l’ha nel suo repertorio la Reale Sarda, certo interprete egregia Rosa Romagnoli (Costetti, op. cit., p. 144). Nella parte di Corallina emergono ancora Rosa Bugamelli Sacchi e Maddalena Gallina (Rasi, I comici italiani, I, pp. 529, 976).
Della D. v. non si conoscono traduzioni. Venne però imitata e recitata a Vienna l’anno 1763 col titolo Das rachgierige Kammermädel. Fa parte dell’XI volume della rarissima e preziosa collezione Deutsche Schaubühne zu Wien, edito nel 1764. Al volume che del Nostro contiene ancora la Sposa persiana, la Dama prudente e la Serva amorosa, vanno innanzi i singoli argomenti e li precede il seguente passo sul Goldoni: «Quest’undecima parte della D. S. z. W. contiene alcune commedie scelte, alcune proprio di mano del celebre signor Goldoni e tradotte dall’italiano, altre imitate da suoi lavori originali. Amanti e conoscitori del teatro recheranno subito un buon giudizio di queste commedie solo al leggere il nome del celebre Goldoni; le cui opere teatrali son troppo note per abbisognare dei nostri elogi».
Checchè si pensi del valore della D. vendic., a nessuno di sicuro sfugge l’importanza straordinaria del lungo discorso che la precede. I rapporti del Goldoni col Medebac vi sono lumeggiati con sì scrupolosa esattezza da tener persino conto dei pranzi offerti dall’impresario al commediografo nei giorni di prova. Per l’ordine seguito dal poeta nel fornire al direttore le commedie pattuite, questa premessa è una miniera onde si giova oltremodo la cronologia, totalmente naufragata, si sa, nell’artistico caos delle Memorie.
La pubblicazione di quali versi meritò alla ventiduenne eccellenza del signor Catterin Cornero, patrizio veneto la dedica d’un lavoro del grande riformatore? E perchè il Goldoni non ripete il lusinghiero omaggio nell’edizione Pasquali, dove la D. v. non ha dedica alcuna? Ci duole non poter sodisfare alla prima domanda. All’altra risponde forse, in qualche parte, la biografia del dedicatario. Nacque Cattarin Corner, di Federigo da S. Cassan e di Cecilia Mocenigo, il 23 maggio del 1732. Tutt’altro che «incapace di dare scandalo o mal esempio» come afferma il poeta, risulta dalle riferte del confidente Medri (Archivio di Stato di Venezia), lette da Giuseppe Ortolani, ch’egli nel ’55 menava vita allegra con ballerine e cantanti. Nel ’60 gli vien mosso appunto di mostrarsi a teatro con la divorziata Maffetti. E fin qui si potrà tacciare la degna spia di zelo troppo spinto; ma nello stesso anno, forse, chi sa, la generosità e l’animo benefico, di cui gli dà lode il Goldoni, l’aveano ridotto al punto di dar denaro falso a teatro, o cercar di non pagare. In ogni caso, più tardi o rinsavì o curò un po’ più le apparenze, perchè fu Podestà a Padova, Provveditore a Palma, Senatore e altro ancora. L’augurio dunque del Goldoni che già nel ’54 lo vedeva sull’orme dei genitori e degli avi suoi quella via calcando che ai sommi pesi ed ai sommi onori conduce, s’avverò. Del Corner si ha il testamento a stampa (1802), nel quale, tra altro, ordina ben 2000 messe. Forse non erano troppe.
Di lui dopo il 1754 non si fa più menzione nelle opere del Goldoni. Il quale del resto già per dare alla lettera di dedica la mole conveniente s’arrampicò sugli specchi. Vi cacciò dentro, manco a dirlo, la Regina di Cipro, l’assedio di Famagosta, la vittoria di Piali e Lala Maometto per conto di Selim II (ch’egli amabilmente celiando ribattezza in Mustafà) nonchè la Vita sobria di Luigi Cornaro, sdoppiata per un curioso lapsus calami in due opere diverse. E non basta ancora, che di punto in bianco si passa all’elogio del gondoliere-poeta Antonio Bianchi, al cui caldo appoggio il Goldoni volle così render pubbliche grazie. L’onesto intelligente popolano, accusato di plagio da G. A. Costantini, si difese strenuamente e nella polemica sua col Costantini intorno al Marito dissoluto del Grisellini tolse occasione a esaltare il Goldoni. «Presi per mano, scrive, quel nuovo codice di leggi poetiche [cioè le Lettere critiche di Giuseppe Costantini sul lavoro del Grisellini], che per verità, tratto tratto mi mossero a riso, e per la loro consistenza, e per la bizzarrissima arditezza del Dittatore: cosa, a cui non s’arrischiò un Dottore Goldoni, che va preceduto da nientemeno di cinquanta commedie applaudite dall’Universale, unite al merito di glorioso Riformatore delle Italiane Scene, sovra le quali riportò la correzione de’ vizi, e le saggie massime della morale» (La formica contro il leone ovvero apologia di Ant. Bianchi ecc. Venezia, MDCCLIII, Dorigoni, p. 17). Nel 1766 poi, coi tipi del Fenzo, lo stesso Bianchi pubblicò a Venezia un dramma comico dal titolo La buona figliola supposta vedova, cioè una continuazione ai due noti libretti goldoniani tratti dalle Pamele. Nella prefazione si scusa del sommo suo ardire e con evidente allusione alla dedica della D. v. aggiunge: «nell’Insigne Autore di que’ due pregiatissimi Drammi venero un Maestro, rispetto un Padrone, ed anco un Amico, al di cui benigno genio, dimostratomi persino ne’ suoi scritti, ho sempre professato la più costante gratitudine e dipendenza». (A Neri. Una lettera ignota di C. G., in Natura ed arte, 1893-94, 5 febbr.).
Questa commedia uscì la prima volta nel t. VII dell’ed. Paperini di Firenze, sulla fine del 1754: con la stessa data fu ristampata a Pesaro (Gavelli, VII) e a Bologna (Pisarri, IV; Corciolani, X, ’55), e nel ’57 a Torino (Fantino-Olzati, IX). Fu poi di nuovo impressa a Venezia dal Savioli (VI. 177!) dal Pasquali (XVI. ’78?) dallo Zatta (ci. 2.a, VII. '91). a Torino (Guibert-Orgeas. XIII. ’74). a Lucca (Bonsignori XVIII. ’89). a Livorno (Masi, XIX, ’91) e altrove nel Settecento. - La presente ristampa seguì con maggior fedeltà il testo più curato del Pasquali, messo a riscontro con le altre edizioni.
Fine del nono volume.