La cieca di Sorrento/Parte sesta/I
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I.
l’espediente.
L’alba del 30 giugno sorridente entrava nelle stanze del casino Rionero, e in quella che esser dovea stanza nuziale, la solitudine e il silenzio scorgea. Il balcone era tuttavia aperto; tuttavia brillavan di smorta luce ne’ viali della villa i fanaletti della festa: sereno era il cielo come il dì innanzi e a quell’ora massimamente; un’aura partita dalla spiaggia di Amalfi scherzava lascivetta tra i fiori, cui rubava i primi effluvii dolcissimi, e scuotea capricciosa le alte cime dei pioppi, le cui fronde, cosparse di stille di rugiada, oscillavan come diamanti sul capo di donne leggiadre.
Gli umani avvenimenti, il pianto ed il riso, la vita e la morte passano come passa un sospiro dì vento sull’elce secolare, come passa l’ombra di una nugola sulla cresta di un colle, come passa l’augelletto sulla cannosa palude. Che cosa è mai l’uomo e le sue passioni nella natura? Lo zeffiretto carco di odori bacia indifferentemente le labbra di vaga donzella e quelle di un cadavere ottogenario: le rose che spuntan sui sepolcri non sono meno vispe di colori e vezzose di quelle che sono educate io vaghe ceste di nobili appartamenti. Le passioni incendiarie che divorano le generazioni e le società non han la forza di conturbare un filo d’erba, un fiato di vento. Convulsioni dell’ordin morale, le passioni umane non interrompono nè sturbano minimamente l’ordine ammirabile posto da Dio nella universal natura.
L’alba del 30 giugno spuntava però così serena e monda come quella che l’avea preceduta; ma che differenza nella famiglia Rionero! Il dì precedente tutto respirava la gioia, ed oggi un silenzio di morte regna nelle stanze di quel casino!
Gaetano era rimasto vestito come per nozze... Il giorno l’avea sorpreso abbandonato sovra un seggiolone in quella stanza che gli fu destinata nel casino insin dal primo momento che vi pose il piede.
Il suo volto non era più riconoscibile... Cinereo come morto, avea due profondissime occhiaie, e le labbra erano scolorate e livide. Con la destra mano sorreggente il capo, e con l’altra penzolone in sul ginocchio, pareva cascato all’imo di ogni prostrazione. L’eccesso del dolore istupidisce, e l’anima rimane in quello stato d’inerzia e di apatia che ha qualche cosa dell’idiotaggine.
Il balcone della stanza era aperto fin dal giorno precedente: gli occhi di Gaetano si portaron macchinalmente sulle distanti colline rivestite de’ primi sfumi della luce; il cuor di lui trasalì... Le sue mani afferrarono i bracciuoli del seggiolone su cui stava seduto, e guardò attorno come chi è sorpreso nella sua distrazione.
— È giorno! Questa parola fu mormorata piuttosto che profferita dal figliuolo di Nunzio — Orrendo sogno! Notte esecrata!
Il suo sguardo cadde poscia sull'abito nuziale che aveva addosso.
— Oh! la mia ragione! la mia ragione! sciamò il misero toccandosi la fronte, io non mi ricordo niente più! Oggi è il giorno delle mie nozze! Oggi è il 29 giugno!! Sì... l’orrenda scena dell’anello fu un sogno! Qui, su questa sedia, ho dovuto sognare che io era per toccar l'apice dell’umana felicità, che Beatrice era mia sposa, che il marchese Rionero era mio padre, che il letto nuziale, cosparso di fiori, di profumi e di veli, aspettava due esseri invidiabili, Beatrice e me, sposi legittimi, benedetti da Dio e dal mondo!... Quella camera era un tempio di luce e di amore... Un ministro di Dio avea strette le nostre mani... lo aveva passato allora alla destra di Beatrice l’anello... Ahi quel l’anello fu rubato dal padre mio, rubato alla madre di Beatrice... Parmi che il Marchese mi avesse maledetto! Parmi che la sposa mia si morisse!.. Oh, la mia ragione, la mia ragione! Dio, salva la mia ragione... Se questo non fu orrendo sogno, io son matto, sì, son demente, perchè quello che mi è accaduto, non poteva accadermi! No, sarebbe troppo orribil cosa!»
Gaetano fece per alzarsi, ma si sentì così debole che ricadde sulla sedia.
Un lungo specchio a viticci era inchiodato al muro della sua stanza e propriamente in faccia all’uscio d’ingresso. Questo specchio era quello appunto in cui Gaetano si era mirato la prima notte che passò a Sorrento... Il seggiolone sul quale al presente ci stava seduto era voltato con le spalle alla porta e però situato quasi di contro allo specchio.
Poco stante che egli era ricaduto in sulla sedia spossato di forze, i suoi occhi incontraron la propria immagine riflettuta sul cristallo dello specchio.
— Oh! chi è mai quello spettro vestito da sposo? Io! io! Non fu dunque un sogno il mio! Fu realtà! realtà!
Dicendo queste parole, il suo sguardo era fissato sullo specchio...
Ed ecco vide passare in quello varie ombre... erano i servi del casino... Qualcuno recava nelle mani una tazza, qualche altro un ampolla, un terzo due guanciali: quelle ombre erano anche esse vestite come per festa, ma passavano asciugandosi gli occhi... Era quel moto, quell’affaccendarsi tacito e solenne di una famiglia, nel seno della quale si muore un caro individuo...
Gaetano non istaccava un momento le pupille da maniaco da quel quadro che gli riverberava nel cervello un panorama di morte... Nulla ei comprendeva.... ma la realtà sorgea nella sua mente sempre più luminosa e terribile; la scena della sera precedente si levava assiem col giorno in tutta la sua luce infernale.
Gaetano più non dubitava della sua sventura... ma pur si rimaneva inerte, con lo sguardo sempre fisso in sullo specchio... Parea straniero alla scena che era accaduta; parea non capisse il baratro in cui di repente era piombato dall’altezza della sua felicità... La stessa Beatrice non era più che una larva di morte che gli passava pel cervello...
E guardava guardava nello specchio.
Una figura vi apparve... Era un uomo alto; co’ capelli cadenti sulla fronte pallidissima, col dolore stampato in sulle gote cadaveriche... Vestito come per festa, la sua acconciatura era scompigliata al pari della bigia sua chioma... Quell’apparizione non passò come passavano le altre ombre, ma sì fermò nel bel mezzo dello specchio e fissò su Gaetano un lunghissimo sguardo d’inesprimibile corruccio e dolore... Indi le sue mani si portarono negli arruffati capelli in atto di potente disperazione, e disparve.
Era lo spettro del marchese Rionero.
Non sì tosto quell’apparizione si dileguò dagli occhi di Gaetano, questi si alzò. Lucidissima era ormai la sua mente; il fatto della sera precedente si riprodusse nel suo spirito con tutt’i suoi particolari.
— È finita! mormorò tra sè medesimo, è finita! La stella nimica che splendè di fosca luce su i miei natali risplenda ormai sulla mia fossa; si compia il mio destino; si tronchi una esistenza maledetta e di così fatale influenza; si espii la colpa di aver amata la più cara delle umane creature e di aver credulo per un istante alla felicità!»
Gaetano diè un passo verso il balcone, traballò sulle ginocchia e si appoggiò al muro.
— Non più vederla! Non sentirne più la voce! Morir maledetto da lei! Dio, Dio mio, che cosa feci per esser tanto infelice? Se un delitto fu commesso dal padre mio, non l’espiò quegli con morte infamante? Non l’espiai forse anch’io con ventisette anni delle più crudeli privazioni? Non l’espiai veggendo a morire di fame una madre, di tisi un’amata sorella in un ospedale? Non mi gettasti tu nel mezzo delle generazioni, come un ludibrio, come un’ironia, una caricatura? Non ponesti tu nel mio cuore questa fiamma ardentissima di amore per farmene un rogo onde s’incende oggi la mia esistenza e l’anima mia?.. Perdona oh... perdona alle mie stolte parole.... La tua volontà sia fatta in terra, come nel coro degli angioli in cielo! Perdona! perdona; io son troppo infelice!»
Gaetano si sciolse in lagrime dirotte e restò lunga pezza colla fronte abbandonata sulle palme delle mani.
La Religione parlava ora solennemente al suo cuore; ei sentiva pentimento sincero delle colpe della sua vita; rinnegava quello scetticismo che gli aveva amareggiata l’esistenza; comprendeva che la mano di Dio colpiva in lui il delitto paterno; tutta la Verità della Fede, che le sventure della giovinezza aveano offuscata nell’anima sua, di presente gli si appalesava in tutta la consolante divina grandezza; ma le passioni e la situazione in cui trovatasi non lasciavano di annebbiargli in modo l’intelletto da fargli considerare l’atto forsennato del suicidio come impostogli da un sacro dovere. Non in altra guisa estimava egli poter fare onorata ammenda agli occhi della famiglia Rionero che sacrificando la propria vita. Gaetano Pisani credeva doversi immolare per l’onore di Oliviero Blackman, per la pace di Beatrice, per gratitudine verso il Marchese, ed anche per riscattare in parte la colpa del genitore.
— Cessi ogni debolezza, disse indi a poco, il tempo delle passioni è finito! Il sacrificio della mia esistenza è necessario... Ben io lo dicea nel presentimento del mio cuore; senza saperne il perchè io sentiva che Beatrice non poteva esser mia... L’ombra della trafitta madre di lei si sarebbe ogni notte levata tra noi e mi avrebbe sul volto spruzzato il sangue che mio padre le fece scorrer dal seno... Sì, la sola morte è la felicità che mi spetta, il matrimonio che mi si addice; la bara sarà il mio letto nuziale... Beatrice almeno non mi maledirà...»
Gaetano si rasciugò gli occhi, si accostò ad un tavolo sa cui stava l’occorrente da scrivere e con ferma mano segnò lo seguenti righe:
«Signor Marchese — Allorchè più tardi entrerete nella mia stanza, io più non sarò tra i viventi... Beatrice è libera... Ignorino tutti il funesto discoprimento di ieri la sera. Attribuiscasi la mia morte ad un momento di follia, ad un eccesso di spleen. Troverete sul mio tavolo una dichiarazione firmata Oliviero Blackman con la quale confesso di essermi data volontariamente la morte. Troverete ancora nel mio portafogli molte cambiali su i banchi di Londra e di Parigi girate a vostro favore... è una restituzione che fo del tesoro rubato da mio padre. Così potessi restituir la vita alla disgraziata vostra moglie! Da molti anni avevo in pensiero di far ricapitare alla famiglia della vittima di mio padre (da me sventuratamente ignorata) una somma equivalente a quella delle gioie involate; e ultimamente, allorchè ci recammo assieme in Napoli, il motivo per cui mi allontanai per poco dal vostro fianco si fu appunto per andare in cerca d’informazioni sulla famiglia spogliata di quel tesoro. Lascio tutt’i miei beni e capitali a Beatrice, a vostra figlia; troverete a tale oggetto una dichiarazione nel mio portafogli. Beatrice Rionero è sempre la moglie di Oliviero Blackman, a lei si spetta la mia fortuna. Ne goda ella in compenso del male involontario che le ho arrecato. Addio, signor Marchese non avrei più che fare di una vita che vi ricorderebbe continuamente del misfatto di mio padre. Addio, non maledite la memoria del disgraziato
Gaetano Pisani».
Scritta questa lettera, Gaetano si diede frettolosameate a scrivere le due dichiarazioni accennate più sopra, delle quali la prima doveva attestare essersi egli data volontariamente la morte, la seconda era una specie di testamento onde il medico Oliviero Blackman lasciava erede di tutti i suoi beni sua moglie Beatrice Rionero.
Fornita nella massima fretta quest’opera importante, Gaetano, senza più pensarvi sopra, si accinse ad abbandonar questo mondo.
Non era la prima volta nel corso della sua vita che il pensiero del suicidio si era presentato alla sua mente. Nei suoi giorni di sofferenze, e molti ne avea contati il meschino, pensò talvolta troncar lo stame di un’esistenza, la cui soma di mali gli si rendeva importabile; ma allora egli aveva una sorella, una nonna; avea doveri a compiere, avea desiderii e speranze e però i suoi proponimenti di suicidio terminavansi il più delle volte col dirsi: Aspettiamo, ci sarà sempre tempo di morire. Arrogi che Gaetano dopo la morte della madre, aveva trascurato ogni atto di Religione, sicchè la fede si andò nel suo cuore affievolendo gradi a gradi ìnsino a che fa spenta del tutto, ad onta che la nonna e la sorella si dessero le maggiori pene per ravvivare in lui lo spirito della Religione. E poscia che queste due donne si furon morte, Gaetano più non sentì risuonare alle sue orecchie una voce che gli parlasse di Dio. Qual’altra consolazione rimane allo scettico se non la stolta speranza del nulla?
Le amarezze della vita la deformità delle sue fattezze gli avean tante volte consigliata la follia del suicidio, che durante la sua dimora in Londra, si avea da sè medesimo preperato un violentissimo veleno e tale che ogni antidoto era inefficace contro di esso. Un’ampollina ne avea seco recata da Londra, e teneala conservata con cautela grandissima.
Questa volta pertanto l’idea del suicidio, per istrana follia, non si presentava al suo spirito corner ultima sfuggita dello scettico sofferente, ma come religioso dovere.
Era giunto il momento di far uso del potente veleno.
Gaetano si levò da presso al tavolo, su cui avea scritto, si accostò ad un piccol baule da viaggio, lo aprì, ne trasse una scatoletta e da questa una boccetta quadrata, su cui era scritto in inglese acetato di morfina.
Gaetana pose sul tavolo, su cui avea scritto, la boccetta del veleno, e suonò il campanello.
Un servo si presentò all’uscio.
— Consegnate immantinente questa lettera nelle mani del marchese Rionero, disse al servo, e si sedè da costa al tavolino.
Erano appena le sei del mattino.
Gaetano era freddo come marmo; la sua mano non avea vacillato nello scrivere quelle lettere o nel toccare l’ampolla fatale. Vicino a scendere nella tomba, Gaetano dava un estremo addio alla vita:
— Tra pochi minuti io più non sarò!... O morte fantasma terribile per le deboli menti, avvicinati, abbracciami, stenti sulle mie pupille le tue tenebre di piombo, raffredda i miei polsi e il mio cervello, troncami il respiro congelami il sangue; guarda, io non ti pavento, ed io stesso t’invito ad abbracciar la tua preda... Vendicati ora su me di tutte le vittime che strappai alle tue unghie potenti... Sogni incantati della prima giovinezza, speranze di avvenire, studi che avete nobilitato l’anima mia, affetti che avete sublimato in uno e lacerato il mio cuore, solitarie e notturne meditazioni, aspirazioni divine, addio... addio... miei trentadue anni... Beatrice!.. oh... Beatrice, sposa mia, addio... L’Onnipotente abbia ora pietà dell’anima mia, ed abbrevii la mia agonia.»
Detto ciò, la destra di Gaetano si stese, senza tremare, verso l’ampollina, ne fe’ saltare il turacciolo, e portava la fatal bevanda alle labbra.
Una mano vigorosa fermò quel braccio, gli strappò l’ampollina e ben lungi dal balcone la fece volare... Gaetano si voltò rapidamente e trovò all’impiedi dietro di sè il marchese Rionero che avea nella sinistra mano la lettera pocanzi direttagli.
— Gaetano Pisani più non esiste!.. disse con voce solenne il padre di Beatrice, questa lettera mi avverte della sua morte... Oliviero Blackman, la tua vita mi appartiene; pria di morire ti resta un dovere compiere:... salva mia figlia... ella si muore.