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un violentissimo veleno e tale che ogni antidoto era inefficace contro di esso. Un’ampollina ne avea seco recata da Londra, e teneala conservata con cautela grandissima.

Questa volta pertanto l’idea del suicidio, per istrana follia, non si presentava al suo spirito corner ultima sfuggita dello scettico sofferente, ma come religioso dovere.

Era giunto il momento di far uso del potente veleno.

Gaetano si levò da presso al tavolo, su cui avea scritto, si accostò ad un piccol baule da viaggio, lo aprì, ne trasse una scatoletta e da questa una boccetta quadrata, su cui era scritto in inglese acetato di morfina.

Gaetana pose sul tavolo, su cui avea scritto, la boccetta del veleno, e suonò il campanello.

Un servo si presentò all’uscio.

— Consegnate immantinente questa lettera nelle mani del marchese Rionero, disse al servo, e si sedè da costa al tavolino.

Erano appena le sei del mattino.

Gaetano era freddo come marmo; la sua mano non avea vacillato nello scrivere quelle lettere o nel toccare l’ampolla fatale. Vicino a scendere nella tomba, Gaetano dava un estremo addio alla vita:

— Tra pochi minuti io più non sarò!... O morte fantasma terribile per le deboli menti, avvicinati, abbracciami, stenti sulle mie pupille le tue tenebre di piombo, raffredda i miei polsi e il mio cervello, troncami il respiro con-