La cieca di Sorrento/Parte quinta/I

I. Il cuore di Beatrice

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Parte quinta Parte quinta - II
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I.


il cuore di beatrice.


Due mesi son passati dal giorno in cui Beatrice ricuperò la vista, due mesi di sempre novelle sorprese, di nuovi trasporti, d’ineffabili sensazioni, due mesi insomma di una vita novella, circondata da tutte quelle delizie che posson circondare una donna, restata per diciassette anni nella notte della cecità.

Non ci faremo a descrivere più minutamente la gradazione delle sensazioni che provò la giovinetta, avendone qualche cosa già di volo accennato nel precedente capitolo. D’altra parte, chi potrebbe tener dietro a quella immensa varietà d’impressioni che nel corso della giornata venivano a colpirei sensi e l’anima di Beatrice, e che a guisa del flusso e riflusso del mare, si cancellavano un istante dappoi che si erano prodotte, per cedere il posto ad altre mille che alla loro volta cancellavansi anch’esse?

Chi può dire come trasalì il cuore della [p. 59 modifica]fanciulla la prima volta che dal chiosco del suo casino il padre le fece contemplare il sorger del sole! Quelle tinte così leggiere, così diafane, che rivestono di tanti colori i poggi, lo collinette e il mare; quel fiume di luce purissima che si genera sull’altezza de’ monti innanzi della comparsa del sole, e che passa per tutte le gradazioni de’ colori della rosa; quel rubino fiammeggiante che spunta dietro al Vesuvio e che piglia a poco a poco le proporzioni d’uno scudo di fuoco; quelle tante varietà del verde della campagna; quel lusso di tinte vivacissime che a quell’ora spiegan le aiuole dei fiori, immergevano l’anima di Beatrice in tanta voluttà, in tal contentezza che ella ne piangeva.

La sensibilità di questa fanciulla erasi renduta così eccessiva, che Gaetano raccomandò al padre e a Geltrude di rimuovere da lei ogni oggetto che troppo avesse potuto eccitarne i nervi. Simigliante ad una bimba di pochi anni, ella non facea che interrogar tutti, ogni cosa le sembrava un portento, una novità; trasaliva sovente e per nessun motivo; avviticchiavasi talvolta e per intere giornate al braccio del padre e di Geltrude, e con l’uno o l’altra spasseggiava per le stanze del casino o ne’ viali della villa. Ella avea riconosciuto interamente tutt‘i siti, dove, sendo cicca, solea passar le lunghe ore; avea chiamato ciascun fiore col proprio suo nome non sì tosto gli ebbe veduti e raffigurati, come se fossero stati antiche sue conoscenze. [p. 60 modifica]

Le ore intere passava dappresso al ritratto della madre, la cui immagina erale cagione che si disfacesse continuamente in lagrime; onde il padre dovè proibirle di starsi nella sala, dove era quel ritratto.

Un’arcana mestizia era nondimeno in fondo al cuor di Beatrice. Impossibile sarebbe stato a lei stessa indagarne la sorgente... La felicità onde il cielo l’avea fatta degna restituendole la vista, pareale troppo favore concesso a mortal creatura: pareale a quando a quando doverle star sopra una grande sventura... E chi può comprenderei misteri dell’anima umana? Il dolore, la sofferenza per taluni esseri hanno i loro piaceri; un cuor che soffre non ismette facilmente la sua attitudine; per esso la sventura addiviene elemento vitale, e, qualunque sia la felicità cui vien trabalzato, qualunque i piaceri di una novella esistenza, quel cuore rimane attaccato all’antica sua tristezza; il sorriso sarà mesto, la sua gioia sarà delirio o spasimo, l’allegria l’opprimerà come peso insopportabile.

E Beatrice era mesta eziandio nel mezzo dei suoi trasporti di gioia, eziandio a fianco di suo padre, anche in compagnia di Geltrude. Comechè il Marchese non avesse ancora fissato il giorno del matrimonio di lei con Oliviero, ella sentiva sempre un brivido involontario al pensiero di questa unione. Era ripugnanza cagionata dalla deformità di Gaetano? Era arcana rilevazione del vero essere che si nascondeva sotto il nome di Oliviero Blackman? Era [p. 61 modifica]avversione allo stato coniugale? Mal sapremmo dirlo, imperocchè ben potrebbe essere un misto di tutte queste cagioni quello che mettea nel cuor di Beatrice un tal sentimento di repulsione contro le nozze col Blackman; il qual sentimento veniva in lei rafforzato da quella specie di pregiudizio che le avea giustamente messo nell’anima lo smascheramento del cav. Amedeo. Ella avea sentito per le nozze con quest’uomo egual ripugnanza di quella che ora provava pel matrimonio con Gaetano, sebbene ben diversi erano i sentimenti che nutriva pel supposto Inglese.

Però nessuno inducasi a credere che Beatrice nutrisse avversione o ripugnanza per Gaetano. Ella sentiva riconoscenza grandissima pel dono che questi le avea fatto, e somma ammirazione delle sue virtù; sentiva per lui una stima che avea del fraterno. Ma la vastità della mente del medico; la sua ardente passione che facea così strano contrasto con la pacatezza del suo carattere; tutto ciò la spaventava, le incuteva una specie di soggezione che ella non sapea vincere. Oltracciò, il mistero onde il Blackman si circondava, la destrezza onde si studiava di sfuggire ad ogni interrogazione sul suo passato, i fatti straordinari che di lui raccontavansi, non erano tutte queste cose di tal natura da ispirare quella fiducia illimitata, senza la quale non può esserci amore; imperciocchè l’amore non è altro che l’espansione, la confidenza, l’abbandono di due animc l’un nell’altra. [p. 62 modifica]

La deformità di Gaetano avea fatto dapprima una strana impressione sull’anima di Beatrice, la quale non sapea persuadersi esser quell’uomo di sì sconce fattezze il Blackman che le avea ridonato il supremo de’ sensi. Ella il guardava con dolore; avrebbe data la sua vita perchè colui non fosse stato deforme; la pietà vestiva talvolta in lei l’aspetto di amore, così che sembravale non poter non amare quell’uomo, cui la natura, dando un’anima tanto nobile ed elevata, avea negata la regolarità delle forme esterne. Beatrice giurò nel proprio suo cuore di amarlo; perocchè ella comprendea tutta l’altezza della gratitudine. Beatrice sublimava se medesima al pensiero di circondare quel povero essere con tutta la espansione di un cuore vergine di affetti. Quanto più la natura avea con dannato il Blackman all’isolamento e all’abbandono in cui lo metteva la sua deformità, tanto più la fanciulla sentiva il dovere di compensarlo col sacrificio del proprio cuore.

D’altra parte, era nella condotta di Gaetano verso di lei tanta delicatezza, tanta abnegazione, tanto amore, che ella se ne sentiva tocca nel fondo dell’anima. Due mesi eran passati dacchè ella godea la vista del creato, e Gaetano non avea richiesto ancora l’adempimento del solenne patto conchiuso col Marchese. Non ostante l’ardenza della sua passione, Gaetano aspettava in silenzio che una parola fosse uscita dal labbro della fanciulla riguardo a’ loro sponsali. Ogni volta che si trovavan soli, Gaetano, pallido e tremante pareva aspettasse da [p. 63 modifica]lei il suo destino, e mentre l’anima sua era brace ardentissima, il suo corpo era gelo.

Un giorno, in sul declinar della luce, Gaetano e Beatrice eran soli nella villetta...

Annunziavasi una di quelle serate di Sorrento, la cui bellezza non può giammai essere imitata dalla penna o dal pennello.

L’aria non era che profumo. I fiori d’aranci spandeano su tutta la campagna i loro balsamici effluvii così inebbrianti!

La campana della parrocchia suonava a tocchi lentissimi l’ultima salve del giorno, e raccoglievasi quindi scura scura nel suo campanile, come il monaco nel suo cappuccio... Il giorno che si morìa non aveva altra apoteosi che il gemito di quel bronzo.

La luce cominciava a perderai nel cielo; la sua ìride brillantissima si dileguava nell’ombra malinconica che sorgea dall’oriente, come la bella poesia del cuore si perde nel l’età dei foschi pensieri. Appena un ultimo getto di colori vacillava nelle pieghe di bigia nugoletta, che a poco a poco ai stendeva e ingrossava come uno strato di cenere gittato sulla fossa del sole.

I venti taceansi sotto il nascente fogliame di aprile.

Dall’altra parte dell’orizzonte la luna s’innostrava sulla schiumosa orlatura di candida nube: pareva una pallida rosa abbandonata sovra un guanciale. E vagamente si andava insinuando attraverso le vaporose filacciche di quella bambagia; si steccava poscia sul bruno fondo [p. 64 modifica]del cielo, come globo areostatico che s’innalza nell’aria.

Più tardi, il ciclo, tempesiato di luccicanti fiammelle, si spiegava quasi ad amplesso su i colli circostanti, i quali anch’essi pareano smaltati di stelle.

Slanci d’un cuore innamorato, ricordanze di cari affetti, ansia d’un bene immenso qual’è Dio, sospiri di belle anime, sublime filosofia del saggio, per voi si stende lucido e gemmato quell’arco di zaffiro, oscuro ed ultimo riverbero della Celeste Gerusalemme. Misero chi mai non levò un guardo di ammirazione alla tacita volta d’azzurro, quando l’Angiolo del moto celeste posa l’invisibil piede sull’asse dell’Universo e contempla, rapito in un ineffabile amore, la incantevole scena d’una serata di primavera in Sorrento.

La sera bianca e trasparente soffuse di ombre e di misteri i viali della villa.

Beatrice era seduta in su quel medesimo poggio ove ebbe il primo colloquio col Blackman.

Una elegante veste di camera di seta, con gruppetti di nastri all’estremità delle tasche e de’ rovesci delle maniche, disegnava mollemente le forme di quel leggiadro corpo. I suoi capelli erano disposti in due fasce quasi diritte che si stendevano dalla fronte fino alle tempie e andavano a cadere in vaghe spirali dietro le orecchie; la treccia di dietro, ligata in cinque giri, era frammista ad un piccol nastro di raso scarlatto.

Non è immaginabile quanta bellezza si era accresciuta a quel volto or che gli occhi [p. 65 modifica]aveano acquistato il loro movimento, la loro espressione, la loro anima. Quanto può esser bella una mortal creatura, era bella Beatrice e così bella, che non si potea riguardarla senza provare un turbamento inesprimibile. Quelle pupille aveano un linguaggio così malinconico, un moversi così lento e caro, partiva da esse tanta dolcezza, che Gaetano si rimaneva estatico a contemplarla, e beveva in quella contemplazione un fiume di amore, che gli mettea l’anima sossopra. Di tempra aitante contro le più dure prove della vita, Gaetano si sentiva fiacco, spossato, ridotto al nulla al cospetto di quella donna, che era tutto il suo universo, tutta la sua vita, tutta l’anima sua. Rimirando la fanciulla, il suo petto era anelante, il suo volto infiammato, ardente il suo cervello.

— Beatrice, le disse Gaetano dopo un lungo silenzio, nella calma solenne di questo cielo, nella placidezza di questa incantevol serata, vi dovrà sorprendere e affliggere lo spettacolo del le procelle del cuore; la vostra anima sì innocente e composta non potrà comprendere il linguaggio delle bollenti passioni. Ma quanto più il cielo che si spiega sul nostro capo è sereno, tanto più sento bruciarmi il cuore. Questo olezzo de’ fiori, questo tepore di aurette, questa luce pregna di tanti misteri non fanno che saettarmi il cervello e mordermi i nervi. Quando voi eravate cieca, il vostro sguardo non mi facea ribollire il sangue, non mi rendea matto...

Ah, sì, Beatrice, tu sei troppo bella; le tue pupille mi scottan la fronte; oh, non guardarmi, non gettar lo scompiglio nella mia ragione. [p. 66 modifica]

— Ebbene, non mi guardate, Oliviero; guardate il firmamento così lucido, così ricco di mondi; serbate la vostra ammirazione per questo universo che sfugge alla nostra vista come al nostro pensiero; serbate la vostra adorazione per l’Eterno suo Fattore. La vostra mente è tanto elevata! la creazione, potrei dire, non ha segreti per voi; perchè consumare il vostro entusiasmo per una misera creatura qual’io mi sono?

— Questa creazione di cui tu mi parli, oggi, io l’ammiro in te che ne sei la più bell’opera.

— Non parlate così, Oliviero, chè le vostre parole mi fan male; abbiate pietà di me... Se sapeste quanto io soffro al pensiero che forse la vostra vita fu aspreggiata da sventure, che nessuno amico alleviò!

— Perdono, Beatrice, perdona, se debbo mancare inverso te di confidenza. Possenti motivi chiudon le mie labbra... Ma non credere però che una viltà abbia giammai contaminato questo povero mio cuore, sul quale oggi tu imperi... No, pura di colpe è la mia vita, ma in faccia alla società vi sono colpe incancellabili: spietata nei giudizii, essa non si placa giammai, per quanti sforzi un uomo faccia per illustrare il proprio nome.

— Qualunque sia stato il vostro passato, io lo rispetto, Oliviero, e non cercherò di sollevare il velo che lo ricopre. I titoli che voi avete alla mia eterna gratitudine non han nulla di comune co’ segreti del vostro cuore.

— E parlerai tu sempre di gratitudine, Beatrice? Oh! se questo è il solo sentimento ch’io [p. 67 modifica]sia giunto ad ispirarti, son pure infelice, e tanto il sono che tu medesima avrai compassione dello stato della mia mente. Non è la sola gratitudine che tu mi promettesti il giorno in cui strappai le tenebre dalle tue pupille... E credi tu che a questa fiamma che mi rode il cuore basti la corrispondenza di un freddo sentimento ispirato soltanto dalla tua virtù?

— Ebbene, Oliviero, se una parola di amore può consolarvi, se siete voglioso di tanta contentezza, io vi dirò di amarvi nel giorno in cui le nostre sorti saranno congiunte per sempre. Venite, finiamo questa conversazione; datemi il vostro braccio; passeggiamo un poco; parliamoci come si parlerebbero un fratello e una sorella: ho tante cose a dirvi, tante interrogazioni a farvi. Perdonate la mia ignoranza, Oliviero, e rischiarate la mia mente.

Ciò dicendo, ella prendea per mano il medico, e seco il traeva a passeggiare.

L’erbe ed i fiori spruzzati di rugiada mandavano esalazioni dolcissime; la luce bianca e velata, che a zone si diffondea pe’ boschetti di acacie, il placido stormire del neonato fogliame mosso da insensibile alitar di venticello, invitavano a quella tenerezza, a quella espansione che potentemente s’impossessa de’ cuori, e straripa, e sconvolge la ragione. Gaetano trasalì al tocco di quella mano che strinse la sua, e si lasciò guidare dalla fanciulla; egli più non esisteva che in quella dolce sensazione, onde a torrenti gli piovea sull’anima un’amara soavità, e non parlava, e macchinalmente strascinato da Beatrice, seguivala a traverso i crocicchi de’ viali. [p. 68 modifica]

— Oliviero, le dicea la fanciulla, non iscorgete voi sull’alto di quel colle quella stella lucidissima che mio padre dice chiamarsi Espero?

— Sì, Beatrice.

— Ebbene, sappiate ch’io sono tanto felice allorchè quell’astro comparisce sull’orizzonte. E più di un mese che i miei occhi si fissano ogni sera su quella gemma del cielo, e non so dirvi quello che prova il mio cuore. Le lagrime mi spuntano così grosse ch’io le sento sgocciolarmi su per le gote. Non saprei dire quale arcana simpatia esiste tra me e quella stella; essa mi guarda, mi sorride, mi attira. E penso a mia madre... mi pare talvolta che ella mi chiami da quel mondo così lontano... Oh com’è bella la volta del cielo allorchè nessun vapore ne offusca lo splendore abbagliante!.. Vi confesso, Oliviero, che quando i miei occhi si levano al cielo, sento qui nel fondo del mio cuore un desiderio... come di morire tra mio padre e voi, sulla sommità di que’ colli visitati da stelle così pure, tra le aurette e i fiori. Oh come dev’esser bello il morire a tal guisa! Il corpo rimane in sull’erbe ed i fiori, accanto a un cipresso, e l’anima vola in grembo di quella felicità alla quale aspiriamo; l’anima, sprigionata da questi ceppi mortali, corre a ritrovare Dio e la madre... Oh madre mia, madre mia, io ti amo tanto, io anelo così di rivederti che questa vita che mi tiene da te lontana, mi sembra eterna!

Gaetano, pallido, stupefatto, ascoltava la fanciulla dalla cui anima vergine ed innocente [p. 69 modifica]partiva tanto fiume di amore, e con amarezza pensava alla gioia suprema che egli avrebbe provata se foss’egli stato l’oggetto di quelle ardenti espansioni. Ma il candore di quella vergine raffrenava l’impetuosità dell’amor di lui, e più pacati sentimenti succedevano nel suo animo a quelli che l’avean disbranato insino a quel momento.

— Beatrice, donna incomparabile, a sentirti parlare, un’ignota dolcezza mi scende sul cuore e molce l’ardenza della mia passione... No, non è possibile che tu possa esser mia! Ma pur se di questa suprema felicità il cielo mi farà degno, se tu dividerai la mia sorte, io ti circonderò di tanto amore, ti adorerò così come giammai mortal creatura non ha amato su questa terra... Tu ravvivi nel mio cuore quella speme che le mie sventure ne avean fatto fuggire, tu ispiri alla mia ragione pensieri del cielo, tu mi rendi altro uomo e chiami sul mio labbro la preghiera. Sì, in tua compagnia, Beatrice, mi è dolce il pregare. Preghiamo in questo tempio della natura, sotto la volta di questo firmamento che narra la gloria di Dio; il profumo de’ fiori e la brezza della sera recheranno a lui le nostre preci. Prostriamoci, Beatrice; e fa ch’io ripeta con te quelle preghiere che mia madre ponea sulle mie labbra infantili.

Beatrice cadde genuflessa. I loro occhi si volsero al cielo per un istante.

Ma di botto due braccia strinsero assieme quei due corpi tremanti e pallidi. [p. 70 modifica]

Era il marchese Rionero che, col volto cosparso di pianto, era stato da qualche momento spettatore inosservato di quella commoventissima scena.

— Figli, figli miei, esclamò, fate bene a pregare insieme; domani è giorno solenne per voi. Tutto ho stabilito... Domani darete parola di matrimonio.

Gaetano strinse con indicibile commozione la mano del Marchese e v’impresse un bacio lungo e vigoroso.