La chioma di Berenice (1803)/La Chioma di Berenice tradotta
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LA CHIOMA DI BERENICE
volgarizzamento
DALLA VERSIONE LATINA
Quei che spiò del mondo ampio le faci
Tutte quante, e scoprì quando ogni stella
Nasca in cielo o tramonti, e del veloce
Sole come il candor flammeo si oscuri,
5Come a certe stagion cedano gli astri,
E come Amore sotto a Latmii sassi
Dolcemente contien Trivia di furto
E la richiama dall’aëreo giro,
Quel Conon vide fra’ celesti raggj
10Me del Berenicéo vertice chioma
Chiaro fulgente. A molti ella de’ Numi
Me, supplicando con le terse braccia,
Promise, quando il re, pel nuovo imene
Beato più, partia, gli Assirj campi
15Devastando, e sen gía con li vestigj
Dolci vestigj di notturna rissa
La qual pugnò per le virginee spoglie.
Alle vergini spose in odio è forse
Venere? Forse a’ genitor la gioja
20Froderanno per false lagrimette
Di che bagnan del talamo le soglie
Dirottamente? Esse non veri allora.
Se me giovin gli Dei, gemono guai.
Ben di ciò mi assennò la mia regina
25Col suo molto lamento allor che seppe
Vòlto a bieche battaglie il nuovo sposo:
E tu piangesti allora il freddo letto
Abbandonata, e del fratel tuo caro
Il lagrimoso dipartir piangevi.
30Ahi! tutte si rodean l’egre midolle
Per l’amorosa cura; il cuore tutto
Tremava; e i sensi abbandonò la mente.
La donzelletta non se’ tu ch’io vidi
Magnanima? Lo gran fatto obbliasti,
35Tal che niun de’ più forti osò cotanto,
Però premio tu n’hai le regie nozze?
Deh che pietà nelle parole tue
Quando il marito accommiatavi! Oh quanto
Pianto tergeano le tue rosee dita
40Agli occhi tuoi! Te sì gran Dio cangiava?
Dal caro corpo dipartir gli amanti
Non sanno mai? Tu quai voti non festi,
Propiziando con taurino sangue,
Per lo dolce marito agli Immortali
45S’ei ritornasse! Ne gran tempo volse
Ch’ei dotò della vinta Asia l’Egitto.
Per questi fatti de’ celesti al coro
Sacrata, io sciolgo con novello ufficio
I primi voti. A forza io mi partia,
50Regina, a forza; e te giuro e il tuo capo:
Paghinlo i Dei se alcuno invan ti giura;
Ma chi presume pareggiarsi al ferro?
E quel monte crollò, di cui null’altra
Più alta vetta dall’eteree strade
55lLa splendida di Thia progenie passa,
Quando i Medi affrettaro iganoto mare
E con le navi per lo mezzo Athos
Nuotò la gioventù barbara. Tanto
Al ferro cede! or che poriano i crini?
60Tutta, per Dio! de’ Calibi la razza
Pera, e le vene a sviscerar sotterra
E chi a foggiar del ferro la durezza
A principio studiò. — Piangean le chiome
Sorelle mie da me dianzi disgiunte
651 nostri fati, allor che appresentosse
Rompendo l’aer con l’ondeggiar de’ vanni
Dell’Etïope Mennone il gemello
Destrier d’Arsinoe Locrïense alivolo:
Ei me per l’ombre eteree alto levando
70Vola, e sul grembo di Venere casto
Mi posa: ch’ella il suo ministro ( grata
Abitatrice del Canopio lito)
Zefiritide stessa avea mandato
Perchè fissa fra’ cerchi ampli del cielo
75La del capo d’Arianna aurea corona
Sola non fosse. E noi risplenderemo
Spoglie devote della bionda testa.
Onde salita a’ templi de’ Celesti
Ruggiadosa per l’onde, io dalla Diva
80Fui posto fra gli antichi astro novello.
Però che della Vergine, e del fero
Leon toccando i rai, presso Callisto
Licaonide, piego all’occidente
Duce del tardo Boote cui l’alta
85Fonte dell’Oceano a pena lava.
Ma la notte perchè degli Immortali
Mi premano i vestigj, e l’aurea luce
Indi a Tethy canuta mi rimeni,
(E con tua pace, o Vergine Raunusia,
90Il pur dirò: non per temenza fia
Che il ver mi taccia, e non dispieghi intero
Lo secreto del cor; nè se le stelle
Mi strazin tutte con amari motti)
Non di tanto vo lieta ch’io non gema
95D’esser lontana dalla donna mia
Lontana sempre! Allor quando con ella
Vergini fummo, io d’ogni unguento intatta,
Assai tesoro mi bevea di mirra.
O voi, cui teda nuzïal congiunge
100Nel sospirato dì, nè la discinta
Veste conceda mai nude le mamme,
Né agli unanimi sposi il caro corpo
Abbandonate, se non versa prima
L’onice a me giocondi libamenti;
105L’onice vostro, voi che desïate
Di casto letto i dritti: ah di colei
Che sé all’impuro adultero commette
Beva le male offerte irrita polve!
Che nullo dono dagli indegni io merco —
110Sia così la concordia, e sia l’amore
Ospite assiduo delle vostre sedi.
Tu volgendo, regina, al cielo i lumi
Allor che placherai ne’ dì solenni
Venere diva, d’udorati unguenti
115Lei non lasciar digiuna, e tua mi torna
Con liberali doni. A che le stelle
Me riterranno? O! regia chioma io sia
E ad Idrocoo vicin arda Orïone.
nota.
Di due altre versioni ho saputo, dopo ch’era già stampato il discorso primo, ove s’è detto di quelle che mi eran note. Una in terzine di Saverio Mattei, l’altra in versi sdruccioli del Pagnini. Ecco alcun saggio della prima. Verso del testo 7 — 9: della nostra versione 6 — 12.
Me quell’istesso ancor saggio Canone
Splender già vide, e a tutti ajj’erma e dice
Ch’io son nella celeste regione,
Io che chioma già fui di Berenice:
Ma poi le bianche braccia al ciel distese
E offrimmi a Numi in voto, ahi! l’infelice.
Ma non è prezzo del tempo il proseguire a leggere ed a confrontare. Bastavano i nomi di Saverio Mattei, e del benemerito abate Rubbi ὀ πάιυ , che raccolse questa versione nel suo Parnasso de’ Traduttori per persuaderci eli’ ella dovea pur essere una cosa sguajata. —
Il metro eletto dal Pagnini snerva il vigore e la maestà latina. Due passi male intesi vedili notati alla pag. 107, e 112. Gli altri ove intende diversamente da noi, sono i seguenti.
Verso del testo 9 — 11; della versione 11 — 14.
E dessa a molti Dii le terse e nitide
Braccia tendendo, in voto allor promisemi
Che il re distretto appena a lei co’ vincoli
D'imeneo ....
Verso del testo 21 — 22; della versione 27 — 29.
Forse non tu solinga il letto vedovo
Ma del caro german l' amara e febile
Division piangesti. = Ove vedi la nota.
Verso del testo 33 — 36; della versione 42 — 45.
Quali i/npromesse allor non senza vittime
Taurine festi a ciascun Dio se al patrio
Suol ritonasse il caro sposo e l' Asia
Doma in breve aggiungesse al regno Egizio.
Verso del testo 43 — 44; della versione 52 — 55.
Per lui quel monte sovra tutti altissimo
Cui la chiara calcò di Ftia progenie. = Vedi la nota.
Piena d’eleganze italiane è questa traduzione; ma cede di molto a quella esatta dello stesso autore degli inni di Callimaco, ed alla bellisima de’ bucolici, la quale io reputo unico esemplare di versioni dal greco.
Parmi più schietta quella del Conti; i passi confutati vedili alle pag. 84, e 99: ne’ seguenti traduce diversamente da noi.
Verso del testo 13 — 14; della versione 15 — 18.
Portando impresse le vestigia dolci
Della rissa notturna poiché sciolta
La fascia virginal ebbe a la nuora
Verso del testo 51 — 54; della versione 63 — 68.
— Le poc'anzi tronche
Chiome mie suore il mio destin piangeano,
Quando l'alato Corridore Locrico
Ad Arsinoe s’offerse.
Ed in una nota si scolpa egli di avere chiamato piuttosto Locrico il vento anziché Arsinoe, perchè nella Magna Grecia abitata da’ Locri domina appunto Zefiro. Vedi la nostra interpretazione.
Verso del testo 89-92; della versione 102-106.
Tu, reina, qualor mirando in cielo
Venere placherai ne' dì solenni
Non offrir sangue a me che a lei non piace;
Non far ch’io sia senza profumi, e tuo
Nume mi rendi con più larghi doni. —
Del bifolco Arcade s’è veduto abbondantemente a pag. 108.