La chioma di Berenice (1803)/Coma Berenices/Versi 23-24

Coma Berenices - Versi 23-24

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Quom penitus moestas exedit cura medullas,
     Ut tibi nunc toto pectore sollicitae 24

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varianti.

Verso 23. Aldina ii excedit. In vece del quam dell’edizione princ. altri cum altri quum. Soli Bentlejo e Valck. manomettono quam penitus....! — Verso 24. Ediz. variorum ut tibi nec toto. Corradino ut tibi non toto. Per il nunc della principe quasi tutti gli altri tunc; ma questi avverbj si scambiano da’ latini. Vedi Burmano nella eroide di Ero in Ovidio vers. 90.

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note.

Cura. Prepotente desiderio che vive in noi pieno di speranze e di timori; d’onde nasce l’ipocondria malattia di cui parla Ovid. Epist. dal Ponto iii lib. i vers. 23.

     Cura quoque interdum nulla medicabilis arte,
          Aut, ut sit, longa est estenuanda mora.

Ed Ippocrate ne dà una patetica descrizione nel lib. ii de’ morbi. La Cura è difficile malattia: le viscere sembrano trafitte come da spine: è posseduto dall’ansietà: fugge gli uomini; ama le tenebre; è assalito da timori: il diaframma si gonfia esteriormente: si risente al contatto, ed addolora: spaventasi, sogna terrori e sciagure, e talora persone morte. Malattia che prevale nella primavera. Ma la cura amorosa di [p. 87 modifica] cui qui si parla e descritta in Lucrezio poeta medico dell’animo lib. iv. 1053, in questi bellissimi versi non so come lasciatigli intatti da Virgilio.

     Hinc illae primum Veneris dulcedinis in cor
     Stillavit gutta, et successit fervida cura.

E più sotto ne prescrive i rimedj,

     Nec retinere semel conversum unius amore
     Et servare sibi curam, certumque dolorem;
     Ulcus enim vivescit, et inveterascit alendo,
     Inque dies gliscit furor atque aerumna gravescit.

Moestas medullas. Le midolle sono l’ultima parte dove si sente il piacere ed il dolore quando sono più intensi. Lucrezio lib. iii.

     Tunc quatitur sanguis, tunc viscera persentiscunt
     Omnia; postremo datar ossibus atque medullis
     Sive volupta est sive’st contrarius ardor.

Pari al cuore di Berenice era quello di Didone più passionaiamenie dipinto nell’eneide iv.

     Heu vatum ignarae mentes! Quid vota furentem,
     Quid delubra juvant? Est mollis flamma medullas
     Interea, et tacitum vivit sub pectore vulnus.
E seg.

E così nelle midolle il desiderio amoroso e la voluttà, Virg. lib. viii.

     — Niveis hinc atque hinc diva lacertis
     Cunctantem amplexu molli fovet: ille repente
     Accepit solitam flammam, notusque medullas
     Intravit calor, et labefacta per ossa cucurrit.

«Vénus n’est pas si belle toute nue, et vive, et haletante comme elle est icy chez Virgile ... Ce que j’y trouve à considérer, c’est qu’il la peint un peu bieu esamene pour une Vénus maritale.» Montaigne lib. iii [p. 88 modifica] cap. 5. — Ed Ovid. metamorf. ix vers. 484 con pari voluttà

          Gaudia quanta tuli! . . .
          . . . . Ut jacui totis resoluta medullis!

Continuerò su questo passo intatto da’ commentatori. La voce medullae è favorita di tutti i poeti latini, e più di Catullo.

      — meas audite querelas
     Quas ego, vae miserae, extremis proferre medullis
     Cogor inops, ardens, amenti coceca furore.

epilalam. dì Teti 196. Ed altrove: omnibus . . . totis . . . mollibus medullis. Nelle midolle Virgilio (Georg, iii. 66) e Properzio (lib. ii eleg. xii verso 17) pongono la sede dell’amore. E Tibullo le chiama la cosa più preziosa.

     Teque suis jurat caram magis esse medullis

Affettuoso al pari di questo è quel luogo di Paolo che raccomanda uno schiavo suo compagno nella prigione; epist. ad Philemonem. Obsecro te pro meo filio quem genui in vinculis Onesimo . . . Tu autem illum ut mea viscera suscipe . . . Jam non ut servum, sed pro servo, charissimum fratrem maxime mihi . . . Refice ut viscera mea. Omero nel secondo poema ove dipinge l’umana commedia chiama il pane midolla dell’uomo, lib. ti verso 290, ἄλφιτα, μυελὸν ἀνδρῶν. Vedi anche lib. xx. 108.

Τῇσι δἑ δώδεκα πᾶσαι ἑπεῤῥώοντο γυναῖκες,
Ἄλφιτα τεύχουσαι καὶ ἀλείατα, μυελὸν ἀνδρῶν.