La capitana del Yucatan/30. Attraverso la flotta americana
Questo testo è completo. |
◄ | 29. L'ultima corsa | 31. Il bombardamento di Santiago | ► |
CAPITOLO XXX.
Attraverso la flotta americana.
Durante l’ardito viaggio intrapreso dall’Yucatan per forzare il blocco degli americani, nulla di veramente decisivo era stato ancora intrapreso dalle poderose flotte partite dai porti degli Stati dell’Unione, contro le colonie spagnuole del golfo del Messico.
Da tre mesi la guerra era stata dichiarata fra le due potenze, ma, cosa davvero strana, all’infuori della distruzione della flotta spagnuola delle Filippine, una vittoria già prevista e della quale non dovrebbero certamente andare alteri gli americani, nessun successo era stato ottenuto nè da una parte nè dall’altra.
Sampson, il famoso ammiraglio americano che si era proposto di ridurre tutti i porti di Cuba in un ammasso di fumanti rovine se non si fossero prontamente resi, non aveva avuta alcuna fortuna fino ai primi di giugno. Aveva fatto grande spreco di munizioni è vero; aveva cannoneggiato a destra ed a manca fortini e cittadelle impotenti a resistergli, aveva tentato qualche sbarco; gran rumore, molto fumo e risultati negativi. La sua formidabile armata, una delle più numerose, delle più potenti del mondo, contro la quale la povera Spagna nulla avrebbe potuto intraprendere senza venire schiacciata, non possedendo una flotta capace di misurarsi colla rivale, non aveva raccolto nulla, assolutamente nulla, con grande meraviglia di tutte le nazioni marinaresche.
Le sue imprese, gabellate per strepitose vittorie dalla ciarlatanesca stampa americana, si possono riassumere in poche righe.
Il 24 aprile apre la campagna, sparando colpi contro il forte Morro che difende l’Avana, la capitale dell’isola, tenendosi però alla prudente distanza di 4000 metri per non esporsi ai cannoni Krupp di quel forte; il 27, mentre le cannoniere spagnuole ed americane scambiano cannonate a Marinaio, il valoroso ammiraglio se la prende coi fortini della cittadella di Matanzas, assolutamente incapaci di tenergli testa e per quarantacinque minuti li bombarda senza riuscire a distruggerli; il 29 la nave ammiraglia il New-York spreca le sue munizioni contro le coste di Pinar del Rio abbattendo un gran numero di alberi, scambiati forse per giganti spagnuoli.
Il 2 Maggio il bombardatore, geloso della vittoria riportata da Dewey alle Filippine contro la vecchia e malandata squadra spagnuola, corre a Key-West a rifornire la sua squadra di munizioni, poi manda gl’incrociatori a scambiare cannonate contro le cannoniere spagnuole di Cardenas le quali, quantunque vecchie, mettono in fuga gli avversari.
L’11 manda 4 navi a Cienfuegos per tentare uno sbarco. Sparano seicento colpi, mettono in acqua le scialuppe e queste ritornano a bordo più che in fretta respinte dal fuoco di moschetteria di poche compagnie di volontari spagnuoli.
Finalmente il 12 il terribile bombardatore decide di far stupire il mondo. Con nove delle più poderose corazzate compare dinanzi a San Juan, la capitale di Portorico ed apre un fuoco infernale lanciando granate da 12 pollici, ma i forti spagnuoli rispondono con pari vigore e l’obbligano a ritirarsi con qualche corazzata danneggiata; alla sera la città che gli americani dicevano aver distrutta per metà, si illumina a festa per l’insuccesso degli assalitori.
Cosa fare? Ritentare gli sbarchi. Ed il bravo ammiraglio manda infatti delle navi per mettere a terra truppe nella baia di Zicotea e sulla spiaggia di Barres, senza frutto, mentre gl’incrociatori spagnuoli Conde Venatio e Nuova Espana, quantunque non protetti da corazze, escono dall’Avana e fugano i vapori armati da guerra incaricati di bloccare la capitale dell’isola.
Ma ecco che si sparge la notizia che una squadra spagnuola ha attraversato l’Atlantico senza che nessuno se ne fosse accorto e che è comparsa presso le Piccole Antille.
La guida Cervera, uno dei più valenti ammiragli ed uno dei più audaci. Tutti la credevano a Cadice mentre si trovava già in America.
Sono poche navi montate da pochi animosi, impotenti assolutamente a sostenere l’urto della formidabile flotta americana quattro volte più numerosa, ciò però non impedisce che l’ammiraglio spagnuolo corra in aiuto di Cuba. Il suo obiettivo era di portarsi all’Avana per rinforzare la difesa di quella capitale.
Il bombardatore americano deve, con rincrescimento, sospendere le sue poco fortunate imprese e guardarsi da quel nemico che è comparso improvvisamente nelle acque antilliane. D’accordo col suo collega Schley, comandante della squadra volante, si mette in cerca degli audaci spagnuoli, giurando di distruggerli tutti, prima che scorgano le coste cubane.
Le due poderose flotte lasciano il blocco di Cuba e corrono per esterminare Cervera e le sue navi, ma l’almirante spagnuolo sfugge arditamente alla loro crociera. Lo si segnala alle Piccole Antille, poi nel Mar Caraybo, poi a Willemstadt; le flotte americane perdono la bussola ed intanto l’almirante con un’ultima ed audacissima mossa attraversa il Mar Caraybo e dopo un tragitto di 625 miglia fatte in soli due giorni, va a gettare l’ancora nella baia di Santiago, ridendosene del famoso Sampson e del suo collega Schley.
Disgraziatamente non era ancora all’Avana, meta del suo ardito viaggio. Un ritardo nel provvedersi di carbone lo costringe a fermarsi e la flotta americana lo blocca nel porto, cominciando il bombardamento dei forti.
· | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · |
· | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · |
Le vicende della guerra erano giunte a tale punto, quando l’Yucatan dopo d’aver pernottato alla foce del Canto, un fiume che nasce sui contrafforti della Sierra Maestra e che va a scaricarsi, dopo un lungo corso, nella vasta baia di Buena Esperanza lasciava l’ancoraggio per riprendere la corsa verso il sud.
Dal comandante d’un fortino spagnuolo situato alla foce del fiume, la marchesa e Cordoba avevano potuto conoscere dettagliatamente quanto era avvenuto durante la navigazione ed apprendere come Santiago fosse ormai bloccata dalla numerosa flotta americana e terribilmente bombardata.
Qualunque altro uomo di mare avrebbe considerata la partita ormai irremissibilmente perduta, e si sarebbe ben guardato di andarsi a gettare contro le granate laceranti e gli speroni delle corazzate americane, pure nè alla marchesa nè a Cordoba era venuta per un solo istante, l’idea di abbandonare il loro temerario progetto. Solamente il secondo aveva creduto bene di dire alla valorosa Capitana:
— Andiamo a giuocare la nostra pelle, donna Dolores.
— La giuocheremo, amico, — s’era limitata a rispondere la marchesa. — A Santiago hanno bisogno delle nostre armi e le avranno. —
E la piccola e valorosa nave era ripartita, senza che nessun marinaio avesse fatta la menoma obbiezione e senza che nessuno avesse posto in dubbio l’esito dell’arditissima spedizione che poteva ben chiamarsi anche una pazza temerità.
Le ultime notizie apprese al mattino, poco prima di congedarsi dal comandante del fortino, erano state poco liete. Il giorno innanzi le squadre americane avevano cominciato il bombardamento della piazza in numero di quindici fra corazzate ed incrociatori, cercando di demolire i ripari del forte Morro e le batterie della Sopaca e di Pantaguarda, mantenendolo vivissimo per due ore; e le due squadre americane avevano operata la loro congiunzione dinanzi alla città bloccata.
Avevano inoltre appreso che gli Stati Uniti stavano allestendo una grossa spedizione per assediare la piazza anche dalla parte di terra, per costringerla alla resa e per impadronirsi della piccola ma valorosa squadra dell’almirante spagnuolo, bloccata ormai nel porto.
Nemmeno però quelle nuove poco promettenti, avevano scossa la fiducia della marchesa e del suo tenente.
L’Yucatan, uscito in mare, si gettò presso la costa, non osando attraversare direttamente la baia di Buena Esperanza per giungere al capo della Cruz.
— Gli americani saranno tutti occupati a bloccare Santiago, — disse Cordoba. — Però non è prudente mostrarci troppo al largo. Hanno troppe navi per non tenerne alcune nelle acque di questa baia.
— È vero, — rispose la marchesa. — Mi hanno detto che hanno armato un bel numero dei loro migliori transatlantici.
— Non solo, ne hanno anche acquistati dei nuovi, donna Dolores. Non valgono certamente gli incrociatori, però sono muniti di cannoni a tiro rapido, mentre il nostro Yucatan è una nave da corsa e non da combattimento.
— Dimmi, amico Cordoba, hai nessuna preoccupazione?
— Di che cosa, donna Dolores?
— Del nostro audace tentativo.
— No, — rispose il tenente con voce ferma.
— Hai fiducia nella riuscita?
— Sì, donna Dolores. Non nascondo che giuocheremo una carta pericolosissima, pure spero di riveder in breve Santiago.
— Malgrado le corazzate americane che la bloccano?
— Noi le inganneremo. La nostra nave è rapida, pesca poco, possiamo tramutarla in un rottame quasi invisibile, quindi ci sarà facile filare sotto la costa e giungere inosservati a Santiago.
— Ed anch’io, Cordoba, — disse la marchesa, — ho fede incrollabile. Anche se sapessi che noi siamo aspettati dalle navi americane, tenterei egualmente l’impresa.
Io prevedo che a Santiago si decideranno le sorti della guerra e perciò di Cuba; è quindi necessario, se vogliamo essere utili alla nostra vecchia patria, sbarcare colà le nostre armi.
— Sì, donna Dolores. Forse Santiago non è stata sufficientemente munita d’armi e di munizioni ed il nostro arrivo sarà di grande giovamento per gli assediati, che ben poco o nulla potranno sperare da parte di terra in causa degli insorti che intercetteranno i convogli, che potrebbero venire spediti da Bayamo e da Manzanillo. Devo farvi però una osservazione.
— Parla Cordoba.
— Potremo poi uscire da Santiago?...
— Non credi tu che gli spagnuoli, appoggiati dalla flotta di Cervera, riescano a costringere le navi americane a levare il blocco?
— Uhm! — fè il tenente, crollando il capo. — No, donna Dolores, io temo invece che tutto finisca in una catastrofe. Cervera è un valoroso ammiraglio, ma cosa potrà fare colle poche navi che dispone? Assalire la flotta americana forse? Quale pazzia se lo tentasse!
— E la guarnigione della piazza?
— Sì, vi è la guarnigione, e cosa potrà fare quando la spedizione americana che si sta organizzando nella Florida sbarcasse? Sampson e Schley colle loro formidabili navi dinanzi al porto; le truppe americane a terra e gl’insorti nei boschi, pronti a respingere gli aiuti che venissero mandati contro la piazza assediata! Vi sono le grandi piogge, il clima micidiale, la febbre gialla, tutti alleati dei nostri, e saranno sufficienti?... Donna Dolores, ho dei tristi presentimenti e non ve li nascondo.
— Sei diventato pessimista, Cordoba? — chiese la marchesa con doloroso stupore.
— Oggi sì, — rispose il tenente. — Avevo sperato un giorno che la Spagna potesse se non tener testa agli Stati Uniti, troppo ricchi e troppo possenti in mare, almeno far pagare ben cara la vittoria finale; ora le mie illusioni sono sfumate.
I nostri compatrioti hanno perduto troppo tempo e hanno sbagliato il loro piano. Cervera è stato bravo, ha giuocato gli americani, ma il suo posto non era qui. Le sue navi sono poche, però buone e rapide ed invece di farsi rinchiudere in Santiago e anche all’Avana, avrebbe dovuto filare verso il nord, minacciare le città dell’Unione, bombardare i porti, gettarsi sui transatlantici, danneggiare ed interrompere il commercio, colpire il nemico dai suoi interessi vitali.
Non l’ha fatto od il suo governo non l’ha voluto. Errore enorme, donna Dolores, poichè la sua flotta, presto o tardi o sarà costretta ad arrendersi o a farsi schiacciare in una sortita disperata.
E poi a quale scopo mandare qui una parte sola della squadra spagnuola? Tanto valeva tenerla tutta in Europa e lasciare a Cuba di sbrigarsela da sè. Cosa ne dite, donna Dolores? —
La marchesa non rispose. Era diventata pallida e lo guardava quasi con ispavento. Marinaia valente quanto il lupo di mare, comprendeva certamente le sue giuste osservazioni e forse per la prima volta cominciava a dubitare degli sforzi generosi della vecchia Spagna per salvare le sue ultime colonie del golfo del Messico.
Stette zitta alcuni istanti, colla fronte increspata, le labbra strette, poi mormorò con un sospiro:
— È vero... Cordoba... comincio ad aver paura... povera Spagna!... —
— Chissà, forse posso ingannarmi, — disse il tenente, come se fosse stato tocco dal dolore che in quel momento si leggeva sul bel viso della marchesa. — A Santiago sono gettate le sorti della guerra, andiamo adunque laggiù e Dio protegga noi e la bandiera della patria. —
Ciò detto volse le spalle per avviarsi a poppa, ma la marchesa lo trattenne, dicendogli:
— Tu non hai fiducia nelle truppe spagnuole del generale Blanco.
— V’ingannate donna Dolores. I nostri compatrioti non sono uomini da fuggire e si batteranno finchè rimarrà a loro una carica di polvere. Penso però che perduta Santiago più nessuno salverà Cuba, poichè gli americani avranno una splendida porta aperta per sbarcare quante truppe vorranno.
Vi è il maresciallo Blanco!... Sì, si batterà, tenterà di ostacolare il passo agli yankees, ma poi?... Chi potrà rompere il blocco della Perla delle Antille, quando anche le navi di Cervera saranno distrutte? La fame batterà alle porte dell’Avana e anche la capitale cadrà. Come però vi ho detto: speriamo e andiamo a Santiago. Il vostro generoso tentativo non sarà andato perduto totalmente.
— Ehi, Colon!
— Signor Cordoba!
— Poggia sempre verso la costa e apri bene gli occhi. Forse vi sono degli avvoltoi al largo.
— Li cannoneggeremo, signor tenente.
— Macchinista! A dieci nodi!... Non abbiamo fretta pel momento, è vero donna Dolores? Bruceremo carbone questa sera, quando avremo passato il capo della Cruz.
La marchesa fece col capo un cenno affermativo, senza aggiungere sillaba.
L’Yucatan, ridotta la velocità, si avanzava sempre, tenendosi presso la costa onde appoggiare su qualche porto nel caso che qualche nave americana fosse comparsa nella baia di Buena Esperanza.
Correva in quel momento lungo quella costa paludosa che si estende fra la foce del Canto e la piccola città di Manzanillo, seguendo quel grand’arco o meglio quell’angolo che descrive la baia lungo il canale di Balandras.
Nessuna nave spagnuola si vedeva, anzi nessuna scialuppa, quantunque Manzanillo non fosse lontano.
La tema di venire catturate dalle navi americane, ormai assolute padrone delle acque cubane, tratteneva le une e le altre entro i porti, mettendosi sotto la protezione dei fortini o delle cannoniere.
A mezzodì Cordoba e la marchesa scorsero, ad una distanza di tre miglia, Manzanillo, piccola città situata sulle coste occidentali della grande isola che serve di sbocco a Bayamo, colla quale è collegata mediante un tronco ferroviario.
Sebbene poco popolata ha un commercio vivissimo, estendendosi nell’interno vaste piantagioni di zucchero con numerosissime ed importanti raffinerie.
— Accostiamoci? — chiese Cordoba.
— Sì, — rispose la marchesa. — È necessario avvertire i difensori di Santiago che noi questa sera forzeremo il blocco onde non farci prendere per nemici e bombardarci.
— E per evitare di saltare in aria, — aggiunse il capitano Carrill. — Cervera ed il comandante della piazza avranno seminato il canale di torpedini.
— Sarà ancora in buono stato la linea telegrafica di Bayamo comunicante con Santiago?
— Lo spero, signora marchesa.
— Poggiamo su Manzanillo, Cordoba.
— È inutile, donna Dolores. Ecco una cannoniera che esce dal porto e che corre su di noi. Ehi, Colon fa issare la bandiera spagnuola sull’albero maestro!... —
L’ordine fu tosto eseguito ed a tempo giusto poichè la cannoniera aveva già puntato uno dei suoi due cannoni sull’Yucatan per prenderlo d’infilata, credendo forse d’aver da fare con qualche piccolo incrociatore americano mandato a spiare le fortificazioni della cittadella.
Vedendo il vessillo spagnuolo ondeggiare sull’albero maestro e l’Yucatan arrestarsi e segnalare d’aver delle urgenti comunicazioni da fare, la cannoniera accelerò la corsa e giunta ad una gomena di distanza, mise in acqua una scialuppa.
Un tenente di vascello e otto marinai armati di fucili abbordarono la nave della Capitana, poi il primo salì lestamente in coperta, salutando cortesemente la marchesa.
— Voi siete spagnuoli, signora? — chiese.
Poi avendo veduto sulla ruota del timone il nome della piccola nave, fece un gesto di stupore.
— L’Yucatan della marchesa del Castillo!... — esclamò con gioia. — Non è adunque stato catturato dagli americani?...
— No, tenente, — rispose la marchesa.
— Si era sparsa la voce che era stato assalito e preso nella baia di Corrientes, signora.
— Fu ad un pelo di venire preso, ma come vedete è ancora libero e col suo carico completo.
— Volete sbarcare le armi a Manzanillo, signora marchesa?
— Una domanda, prima, signore: credete che si possano mandare armi e le munizioni a Santiago?
— È impossibile, marchesa; gl’insorti hanno occupato tutti i boschi e lo impedirebbero.
— Funziona sempre il telegrafo?
— Fortunatamente non è stato ancora tagliato.
— Allora, signor tenente, vi prego di telegrafare al comandante di Santiago che questa notte l’Yucatan forzerà il blocco e che anderà a gettare l’àncora in mezzo alle navi dell’ammiraglio Cervera.
— Ma signora!... — esclamò il tenente, con stupore. — Voi ignorate adunque che le squadre americane hanno cominciato il bombardamento della città?...
— Lo sappiamo, tenente.
— E volete andare a Santiago?...
— Ci andremo.
— Ci lascerete la vita.
— Lo dubito, signore, — disse il capitano Carrill, facendosi innanzi. — L’Yucatan è tale nave da passare dinanzi alle corazzate di Sampson e di Schley, ve lo assicuro.
— Signora marchesa, volete che la mia cannoniera vi scorti fino in vista delle navi americane?
— Non ci sarebbe di nessun aiuto contro quelle formidabili corazzate, tenente e poi non potrebbe seguire la mia nave che è la più rapida di quante sono state varate finora nel golfo del Messico.
— È vero, — mormorò il tenente. — La mia cannoniera è un vecchio legno incapace di misurarsi con un incrociatore di terza classe. Signora, i vostri ordini saranno subito eseguiti e se riuscirete nel vostro audace progetto, troverete in Santiago una strepitosa accoglienza.
— Addio, signore.
— Buona fortuna, signora. —
Il tenente scese nella scialuppa e raggiunse rapidamente la cannoniera, la quale s’allontanò frettolosamente in direzione di Manzanillo.
L’Yucatan un istante dopo riprendeva la rotta verso il sud-ovest, continuando a seguire la costa.
In lontananza, sul luminoso orizzonte, cominciavano allora a delinearsi le cime frastagliate della Sierra Maestra, una catena considerevole di montagne che corre lungo le coste meridionali di Cuba, dal capo della Cruz alla baia di Guantamano, passando dietro a Santiago.
La costa, che fino allora si era mantenuta paludosa, ingombra di ammassi di paletuvieri, cominciava ad alzarsi e frastagliarsi capricciosamente, mostrando un gran numero di piccoli seni entro i quali si vedevano annidati gruppetti di bianche casette e di capanne. Qualche fiume di quando in quando la tagliava, aprendosi il passo fra le scogliere che difendevano le spiagge.
Alle sette di sera l’Yucatan, senza aver fatto nessun altro incontro, giungeva al capo della Cruz e piegava bruscamente verso l’est, seguendo la costa che doveva condurlo a Santiago.
Era uno splendido tramonto. Le vette frastagliate della Sierra Maestra, s’alzavano imponenti, spiccando nettamente sul cielo fiammeggiante, appena rotto da poche nuvolette color del fuoco che s’accumulavano sull’alta e maestosa cima dell’Ojo del Toro, la quale si spingeva in alto a mille e due metri.
Il mare, terso come specchio, quasi senza una increspatura, aveva strani bagliori: aveva linee ramigne presso le spiagge, striature verde cupo verso levante, scintille d’oro verso ponente, là ove il sole stava per scendere dietro la linea dell’orizzonte.
L’aria era dolce, profumata, molle, e d’una trasparenza incredibile. La leggerissima brezza che soffiava dalle montagne, portava fino sulla tolda del Yucatan l’olezzo acuto dei cedri e degli aranci in fiore, dei leandri, dei pergolati di gelsomini e dei cespi di rose africane.
La marchesa, appoggiata al bordo della rapida nave, contemplava muta quella splendida scena che le rammentava i tramonti del Messico, guardando le montagne che a poco a poco diventavano brune, poi nere, mentre le cime altissime assumevano tinte rosee d’una infinita dolcezza prima di diventare, a loro volta, oscure e le acque del mare che a poco a poco perdevano i loro scintillii d’oro per diventare color dell’acciaio sempre più brunito, sempre più cupo.
La voce di Cordoba la strappò da quella contemplazione.
— Il pericolo sta laggiù!... — disse il tenente.
— Dove? — chiese ella voltandosi vivamente.
— Guardate verso l’est. —
La marchesa fissò i suoi sguardi nella direzione indicata e sulla linea dell’orizzonte già quasi oscura, vide delinearsi, agli ultimi bagliori del crepuscolo, un grande pennacchio di fumo che saliva alto alto, formando come una nuvola nera.
— Le navi americane, — mormorò.
— Qualche esploratore, — rispose Cordoba. — Prepariamoci, donna Dolores. Fra due ore, con una rapida marcia, noi possiamo essere a Santiago.
— Non così presto, Cordoba. Entreremo dopo la mezzanotte. Facciamo i nostri preparativi intanto. —
L’Yucatan fu diretto verso la costa, entro una piccola baia che s’apriva in giusta direzione dell’Ojo del Toro e fece i suoi preparativi di combattimento.
Gli alberi furono fatti rientrare dopo d’aver staccate tutte le manovre, la coperta venne sgombrata, la ciminiera abbassata, ma le due torri furono conservate essendovi molte probabilità che le navi americane mandassero qualche palla a giusta destinazione.
Alla mezzanotte, dopo terminate quelle diverse manovre, furono aperte le valvole di poppa ed i serbatoi interni vennero riempiti, immergendo la piccola nave fino agli ombrinali della coperta. In quelle condizioni e colla oscurità della notte, vi erano molte probabilità che potesse sfuggire anche ai cannocchiali degli americani.
Caricato il pezzo e gli hotchkiss, verso l’una del mattino la nave lasciava tacitamente l’ancoraggio, filando a tutto vapore sotto la costa.
Colon con dieci marinai si era collocato a prora, presso il pezzo; la marchesa e Cordoba si erano cacciati entro la torretta di poppa, alla ruota del timone.
Tutti gli altri si erano coricati sulla tolda pronti a far tuonare gli hotchkiss ed i fucili.
La notte era un po’ nebbiosa e favoriva l’audace tentativo. La piccola nave, immersa come si trovava, senza che il fumo la potesse tradire e senz’alberi, non poteva venire scorta ad una certa distanza. Anche colla luce elettrica si sarebbe potuta scambiare per un rottame in balìa delle onde.
La marchesa che teneva la ruota del timone, volendo guidare colle proprie mani la sua nave, non staccava mai gli occhi dalla bussola, mentre Cordoba, munito d’un ottimo cannocchiale, scrutava attentamente l’orizzonte per scoprire i fanali delle navi americane.
I marinai, sdraiati sulla coperta, non fiatavano e anche Colon ed i suoi artiglieri non scambiavano una sola parola.
Una viva ansietà si era impadronita di tutti; un’ansietà che di minuto in minuto aumentava tramutandosi in una vera angoscia.
Tutti gli orecchi ascoltavano, tutti gli occhi scrutavano le tenebre, tutti gli animi erano sospesi. A quell’angosciosa perplessità avrebbero forse preferito un allarme, dei colpi di cannone, il fracasso dei pezzi a tiro rapido, lo scrosciare della mitraglia o lo scoppio tremendo delle grosse granate americane. La morte fra il rimbombo delle armi e le urla dei combattenti è preferibile mille volte alla morte di sorpresa.
L’Yucatan correva sempre, aumentando di minuto in minuto la sua velocità.
Ormai toccava quasi i venticinque nodi ed i macchinisti e fuochisti si sforzavano a portarla a ventisei.
Guai se in quel momento una roccia, un banco sabbioso o qualunque altro ostacolo si fosse trovato improvvisamente dinanzi alla prora!... L’Yucatan, con quella velocità, con quello slancio poderoso che lo sollevava quasi dalle acque, si sarebbe fracassato di colpo, ma quel pericolo non doveva succedere.
La Capitana guidava la nave, conosceva la costa e teneva la ruota con mano ferma.
Già era trascorsa un’ora, un’ora che parve lunga quanto un secolo, quando Cordoba si curvò verso la marchesa, dicendole:
— Eccole! —
Sul fosco orizzonte si cominciavano a distinguere dei punti luminosi, bianchi, verdi e rossi, i fanali regolamentari delle navi a vapore. La flotta americana, forte di venti navi, le une più poderose delle altre e formidabilmente armate, era là raggruppata dinanzi a Santiago, alla distanza di qualche miglio.
La marchesa aveva provato un sussulto e forse per la prima volta da quando aveva lasciate le coste del Messico per intraprendere quell’audace crociera, provò una stretta al cuore.
— Passeremo, Cordoba?... — chiese, con un legger tremito.
— Lo spero, — rispose il tenente. — Poggiate sempre sotto la costa.
— Quanto distiamo?
— Fra venti minuti vi saremo. Ve lo ricordate bene il porto?...
— Sì, Cordoba: mi sembra di vedermelo dinanzi agli occhi.
— Il faro sarà forse spento.
— Lo temo, ma forse vedremo qualche segnale.
— Badate all’isola Smith che si trova in mezzo al canale.
— So dove si trova; passeremo a levante dell’isola.
— Donna Dolores!...
— Cordoba!...
— Ecco le prime navi!... Stringete sotto la costa!... —
Dei fanali si scorgevano alla distanza di forse un miglio, e si vedevano scorrere velocemente sul mare, cambiando di frequente rotta. Certamente degli incrociatori perlustravano quel tratto di costa, temendo forse che qualche nave spagnuola tentasse forzare il blocco o che le navi dell’ammiraglio Cervera uscissero improvvisamente da Santiago per scagliarsi contro le corazzate nemiche.
La Capitana, misurata a colpo d’occhio la distanza che la separava da quei primi avversari, strinse ancora verso la costa onde confondere la sua piccola nave colle sponde coperte di boschi e difese dalle scogliere. Stava per dare ordine a Colon per scandagliare il fondo, quando verso Santiago si videro alzarsi e scoppiare a grande altezza dei razzi, spandendo all’intorno miriadi di scintille, poi fra le tenebre brillare un punto luminoso.
— Ci attendono!... — esclamò Cordoba. — Hanno acceso il faro del canale!...
— Sì, — mormorò la marchesa. — Ci fanno segnali onde possiamo imboccare la baia. —
Ad un tratto verso l’alto mare si videro dei fasci luminosi stendersi rapidamente sulle onde, correre, intrecciarsi, cambiare bruscamente direzione, quindi illuminare il faro di Santiago e la massa imponente del forte del Morro giganteggiarne all’entrata del canale.
Uno di quegli sprazzi, più potente degli altri, proiettato forse da una delle più gigantesche navi americane, procedeva lentamente da levante a ponente, illuminando la costa che dall’imboccatura di Santiago va verso il Puerto de Mota. Continuando in quella direzione, in pochi minuti doveva raggiungere l’Yucatan che gli muoveva incontro.
Cordoba, accortosi del pericolo, aveva mandato un grido di rabbia.
— Mille pesci cani!... Stiamo per venire scoperti!... —
Un sordo mormorìo, misto ad imprecazioni, s’era alzato fra l’equipaggio che giaceva disteso sulla coperta ed alcuni uomini si erano levati sulle ginocchia stringendo le armi.
Donna Dolores era diventata pallida. Quel fascio luminoso procedeva sempre, correndo incontro alla piccola nave. Un rapido comando le uscì dalle labbra:
— Stop!... —
Le due eliche, che funzionavano rabbiosamente, turbinarono in senso contrario per arrestare lo slancio poderoso del Yucatan. Non ostante quello sforzo la piccola nave percorse ancora cento metri, poi rimase immobile, dondolandosi fra le onde della risacca.
Immersa come si trovava, a così breve distanza dalla costa, colla sua coperta resa nerastra dai corpi dell’equipaggio, senz’alberi, senza tubo della macchina, senza manovra qualsiasi, anche illuminata da quel fascio di luce elettrica la si poteva scambiare per un rottame qualunque abbandonato fra le acque o per un banco roccioso terminante in due piccoli scoglietti rappresentati dalle due torrette.
— Fermi tutti!... — aveva comandato la marchesa.
Il fascio luminoso s’avvicinava, rischiarando la costa e le acque che la bagnavano; ben presto raggiunse la nave, la illuminò per alcuni istanti, poi passò oltre e si perdette verso l’ovest.
La marchesa e Cordoba, che avevano trattenuto perfino il respiro, quando lo videro dileguarsi, non poterono frenare un’esclamazione di gioia.
— Siamo salvi!... — aveva detto la marchesa.
— Sì, donna Dolores!... — aveva risposto il bravo tenente. — A Santiago!...
— A tutto vapore!... — comandò la Capitana.
L’Yucatan stava per riprendere la corsa, quando verso il sud si videro balenare alcuni lampi, seguiti da strepitose detonazioni.
— Fulmini!... — esclamò Cordoba. — Le navi americane aprono il fuoco. Contro chi?...
Tese gli orecchi ma non udì il ben noto fischio stridente dei proiettili.
— Non è contro noi che sparano, — disse.
— No, è contro il forte del Morro, — rispose la marchesa.
Alcuni lampi si erano veduti balenare sugli spalti del formidabile forte dominante il canale di Santiago, accompagnati da scoppi fragorosi.
— Avanti!... — gridò la marchesa.
L’Yucatan riprese lo slancio tenendo la prora in direzione del faro, la cui lanterna a lampi si vedeva scintillare fra le tenebre, ad una certa altezza dal livello del mare.
Mentre s’avvicinava rapida al canale di Santiago, il forte del Morro e le navi americane si scambiavano cannonate. I pezzi giganteschi delle corazzate rimbombavano terribilmente ed in alto si udivano i sibili stridenti dei grossi proiettili attraversanti gli strati d’aria od i sordi fischi degli obici, ma anche il forte tuonava tremendamente rispondendo coi suoi grossi cannoni Krupp sbarcati da Cervera o cogli Hontoria.
In mezzo a quel mostruoso fracasso, l’Yucatan s’avanzava sempre più rapido e quello che più importava, senza che venisse scorto, essendo stati spenti i fanali elettrici. Di tratto in tratto qualche palla o qualche obice, mal diretti, cadevano nelle sue acque o passavano a breve altezza dalla sua coperta.
Già Colon, che si trovava a prora, cominciava a distinguere confusamente la bocca del canale, indicata da alcuni fanali che parevano fossero stati accesi alla base del forte del Morro e sui bastioni della batteria de la Estrella.
— Barra a tribordo, marchesa! — gridò. — Il canale ci sta dinanzi.
— Cordoba, lancia alcuni razzi!... — comandò donna Dolores.
Alcuni marinai, ad un grido del tenente, diedero fuoco a tre razzi, mentre altri accendevano frettolosamente i fanali di babordo e di tribordo.
Quasi subito un grande fascio di luce, che veniva proiettato dal centro della baia, cadde sull’Yucatan, mentre due contro-torpediniere, comparse improvvisamente in mezzo al canale, puntavano le loro artiglierie.
Un grido immenso s’alzò fra i marinai delle piccole navi:
— L’Yucatan!... L’Yucatan!... —
Quasi nel medesimo istante tremende detonazioni scoppiarono al largo. La flotta americana aveva solo allora scorta la piccola nave e apriva contro di essa un fuoco infernale, ma ormai era troppo tardi.1
L’Yucatan si era cacciato audacemente nel canale filando fra le due contro-torpediniere, i cui equipaggi, entusiasmati dall’improvvisa comparsa della piccola nave che ormai credevano perduta, mandavano strepitosi hurrà.
— Sempre a levante! — avevano urlato i comandanti delle due torpediniere.
La marchesa, sapendo che dovevano esservi delle torpedini immerse nel canale, strinse sotto la costa passando dinanzi alle batterie dell’Estrella i cui cannonieri, dall’alto dei bastioni, la salutavano con entusiastiche grida.
Note
- ↑ Gli americani avevano scambiato l’Yucatan per la contro-torpediniera spagnuola il Terror, che era rimasta alla Martinica per sorvegliare una nave americana colà rifugiata e torpedinarla. Pretesero anzi di averla polverizzata con una granata della corazzata Oregon, confessando però di non aver trovato alcun rottame, nè alcuno dei 67 uomini che la montavano.