La capanna dello zio Tom/Capo VIII
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Capo VII | Capo IX | ► |
CAPO VIII.
Fuga di Elisa.
Elisa avea compiuto il disperato suo passaggio traverso il fiume, appunto sull’imbrunire.
La grigia nebbia della sera, sollevandosi lentamente dalle acque, ravvolgea la figura di Elisa, mano a mano che si allontanava dalla sponda; e Spiccò un salto dalla riva, sovr’esso la vorticosa corrente e pose piede su di una zattera di ghiaccio. Capo VII. la violenta corsia del fiume, che travolgea massi di ghiaccio, opponeva una barriera insuperabile tra lei e il suo persecutore. Quindi Haley tornò lentamente e con aria corrucciata alla piccola osteria, per riflettere ciò che avesse a fare; la locandiera gli aperse l’uscio di un salottino, il cui pavimento era coperto di un tappeto comune, con una tavola in mezzo, coperta anch’essa di una tela incerata, con alcune sedie di legno dall’alta spalliera, intorno alla tavola, diverse figurine di gesso, dai luccicanti colori, sopra un camino in cui fumicava un fuoco semispento: e presso il focolare una rozza ed incomoda panca. Haley andò a siedervisi per meditare sulla instabilità delle speranze umane e sulla felicità in generale.
— «Che bisogno avevo io di quel furfantello — cominciò a dir fra sè stesso — per lasciarmi cogliere in questo modo alla rete?» Ed Haley tentava ripigliar animo con recitare una litania di imprecazioni contro di sè, le quali, tuttochè ben meritate, non vogliamo, per decenza, ripetere.
Fu scosso in quel mentre dalla grossa risuonante voce di un uomo, che parea smontasse alla porta; Haley corse alla finestra.
— «Per Bacco! è questo un colpo della Previdenza, come dicono taluni — esclamò Haley. — Parmi che sia Tom Loker.»
Corse subito per accertarsene; e vide, presso il banco, in un angolo della stanza, un uomo di color bruno, alto sei piedi, tarchiato, con indosso un pastrano di pelle di bufalo, cucito col pelo al di fuori, che gli dava un aspetto truce e selvaggio, in perfetto accordo coll’espressione della fisonomia. La configurazione del capo, i lineamenti del volto portavano una impronta sviluppatissima di brutalità e di audacia. Se i nostri lettori potessero imaginarsi un grosso cane trasmutato in uomo, in atto di passeggiare in su e giù con pastrano e cappello, non potrebbero ancor formarsi un’idea compiuta del carattere di questo tale. Avea seco un compagno di viaggio, che per molti rapporti contrastava stranamente con lui; un ometto snello, smingolino, dai subiti movimenti che tenean molto del gatto, con due occhietti neri, irrequieti, conformi ai tratti e all’espressione del volto; il suo naso lungo, affilato si protendea innanzi, quasi fosse sempre disposto a ficcarsi in ogni negozio; i suoi capelli rari, sottili, neri, erano accuratamente pettinati all’indietro, e il suo modo di atteggiarsi esprimea sempre l’astuzia, la malignità, il sospetto. L’omaccione riempiè un mezzo bicchier d’acquavite e lo tracannò d’un sorso. L’ometto si rizzò in punta di piedi; e dopo aver annasate, di qua e di là, le diverse bottiglie, domandò, con voce esile, tremolante e con aria di somma cautela, che gli portassero un giulebbo di menta. Quando gli fu versata, la prese, la guardò attentamente con espressione di compiacenza, come uomo il quale è persuaso di averla indovinata, e, racconciatisi i capelli, si mise all’opera di assaporarla a bell’agio.
— «Questa volta posso dire che la fortuna mi ha favorito; come siete qui Loker?» dimandò Haley, facendosi innanzi e porgendo la mano a quell’omaccione.
— «Diavolo! — fu la cortese risposta. — Chi vi ha portato qui, Haley?»
L’ometto, che portava il nome di Marks, posò subito il bicchiere, e sporgendo il capo, esaminò attentamente la nuova conoscenza, non altrimenti che un gatto il quale fissa gli occhi sul topo o su qualche altra preda consimile.
— «Davvero, o Tom, si è questo il più bell’incontro del mondo. Mi trovo in un impiccio diabolico, e tu devi aiutarmi ad uscirne.»
— «Uhm! uhm! va benissimo! — brontolò l’omaccione con aria di compiacenza. — Quando sei lieto d’incontrar qualcuno si può arguir, senza fallo, che hai bisogno di lui. Vi è forse a fare un bel colpo?...»
— «È un tuo amico costui? — domandò Haley, gettando uno sguardo di sospetto a Marks; — un tuo socio, forse?»
— «Sì; ecco Marks, il socio che aveva a Natchez.»
— «Son lieto di conoscervi — disse Marks, porgendogli una mano lunga e scarna come artiglio di corvo. — Il signor Haley, non è vero?»
— «Per lo appunto, signore, — rispose Haley. — Ed ora, signori, poichè ci siamo felicemente incontrati, bisogna che io vi paghi qualche coserella. Vecchio rucoon1, vien qua — disse all’uomo che stava al banco — porta acqua calda, zucchero, sigari, una buona bottiglia d’acquavite e beviamo.»
Si accesero le candele, si ravvivò il fuoco, ed ecco i nostri tre personaggi seduti intorno ad una tavola fornita a dovizia di ciò che Haley avea domandato.
Il mercante cominciò allora una patetica narrazione di tutte le sue private avventure. Loker, senza aprir bocca, stette ad ascoltarlo con aria cupa e pensierosa. Marks, che stava preparandosi con molta attenzione e secondo un suo gusto particolare un bicchiere di punch, tratto tratto alzava li occhi dal lavoro, e ficcava quasi in faccia ad Haley il suo mento, il suo naso affilato, per meglio udirne il racconto. Parve che la conclusione gli riuscisse gratissima, perchè crollò le spalle e strinse le labbra con significato di interna soddisfazione.
— «Ah, vi han servito da amico! Ah! ah! ah! la faccenda è andata benissimo!....»
— «Questo commercio di fanciulli reca gran fastidio» riprese Haley con voce lamentevole.
— «Se si potesse trovare una razza di femmine che non sapessero di che farsi de’ loro ragazzi, sarebbe, ve lo assicuro io, la maggiore scoperta del giorno d’oggi;» e Marks accompagnò questo scherzo con un risolino di compiacenza.
— «In verità — disse Haley — non l’ho mai potuto capire. I bimbi sono sempre un impaccio; pare che le donne dovrebbero esser lietissime di sbarazzarsene; eppure niente affatto. Più un bimbo è noioso, buono a nulla, e più esse si ostinano a prediligerlo.»
— «Benissimo, signor Haley — disse Marks — porgetemi di grazia quell’acqua calda. — Sì, signore; avete pienamente ragione, e ve la diamo. Quando io era in commercio, comperai una giovane, avvenente, robusta, d’ingegno svegliatissimo; aveva ella un bambino infermiccio, storpio o qualche cosa di simile; non sapendo che farmene, lo regalai ad un uomo, il quale, vedendo che non gli costava nulla, pensò di allevarlo a suo rischio e pericolo. Avrei creduto che quella donna non avrebbe a lagnarsene; ma, Dio buono! se l’aveste veduta! avreste detto che ella amava appunto quel bambino perchè era deforme, noioso, infermiccio; e non si infingea mica; gridava, piangeva, immagriva, quasi avesse perduta la cosa più cara al mondo. Era ben singolare! mio Dio! Queste donne non si possono mai capire!»
— «Lo so anch’io — disse Haley. — L’estate scorsa, navigando sui fiume Rosso, comperai una giovane, la quale avea un fanciullino dagli occhi risplendenti come i vostri; osservatolo più davvicino, mi accorsi che era cieco per cateratta. Pensai dunque disfarmene, durante il viaggio, senza far motto; e trovai modo di scambiarlo con un barile di whisky; ma quando si venne per istrapparlo dalla madre, questa inferocì come tigre. Non avevamo ancor salpato; non avea ancora incatenati i miei schiavi; talchè quella, svelta come un gatto, salta sopra una balla di cotone, strappa un coltello dalle mani di un marinaio, e, — ve lo assicuro io, — li costringe, per un istante, a tenersi tutti alla larga; ma quando si accorse che la resistenza era inutile, si precipitò essa e il bambino, capovolta nel fiume, e non venne mai più a galla.»
— «Bah! — disse Tom Loker, che con un disdegno mal celato avea seguito il filo di tutti questi racconti. — Non ve ne intendete voi; le mie donne, ve l’assicuro io, non mi fanno di queste burle.»
— «Davvero! e come fate per impedirlo?» chiese vivamente Marks.
— «Per impedirlo? Se la donna, che io compero, ha un bambino da vendersi, me le accosto, le metto il pugno sul muso, e le dico: Guarda bene, se apri bocca, ti rompo la faccia. Non voglio sentir parola, nemmeno il principio di una parola. Le soggiungo: Questo bambino è mio e non tuo, quindi non devi impicciartene. Lo metto in vendita, appena mi occorra; e tu bada bene a non far delle smorfie; altrimenti ti farò pentir di esser nata. Si accorgono che non burlo e diventano mute come pesci; ma se qualcuna comincia a guaire o chiamare aiuto.... allora....» e Loker battè col pugno chiuso sopra il tavolo in modo, che spiegò pienamente la sua reticenza.
— «Ecco ciò che si chiama veramente enfasi — disse Marks, toccando col gomito Haley, e atteggiando le labbra a un sogghino. — È un bell’originale questo Tom! Eh! eh! eh! vi assicuro, Tom, che avete il modo di farvi intendere; per quanto possano esser dure le teste dei negri, non mancheranno di intendervi. Se non siete il diavolo, Tom, siete certo suo fratello carnale, ve ne assicuro io.»
Tom ricevè il complimento con una conveniente modestia, e cominciò ad abbonirsi per quanto, come dice Giovanni Bunyan, la sua natura cagnesca potea comportare.
Haley, che avea fatte, quella sera, copiose libazioni, cominciò a sentirsi nobilitare, svilupparsi le sue qualità morali — fenomeno non insolito nelle persone di indole grave, riflessiva, sotto l’influenza di circostanze consimili.
— «Oh Tom — disse egli — ciò non conviene, come sempre vi ho ripetuto. Vi ricordate quando ne parlavamo a Natchez, e che io solea dimostrarvi essere di nostra convenienza trattar bene li schiavi, anche nel caso eventuale di passare ad altra vita, poichè, come sapete, alla fin fine dobbiamo lasciar tutto quaggiù.»
— «Oh! — disse Tom — lo so da gran tempo! non mi fate ammalare con queste chiacchiere, tanto più che ho lo stomaco un po’ indisposto;» e Tom ingollò un mezzo bicchiere di acquavite.
— «Ripeto — soggiunse Haley, abbandonandosi sul dosso della sedia e gesticolando con grande vivacità — che ho inteso sempre a far progredire, quanto altri, il mio commercio, nel modo più spiccio di ammassare danaro; ma il commercio, ma il danaro non sono ancor tutto, perchè abbiamo un’anima. Non mi importa che altri mi oda parlare così; questa è la mia convinzione, ed ho il coraggio di esprimerla. Io credo alla religione; ed uno di questi giorni, dopo che avrò assestato i miei affari, ho intenzione di provvedere alla salvezza dell’anima mia; d’altronde vi è forse bisogno di fare il male più di quanto sia necessario? Mi pare che sia prudenza astenersene.»
— «Provvedere all’anima vostra! — ripetè Tom con disprezzo; — bisognerebbe frugar bene dentro voi per trovar l’anima; non ve ne date fastidio. Se il diavolo dovesse passarvi al vaglio, non la troverebbe.»
— «Prendete di mal garbo la cosa, Tom — disse Haley — perchè vi fate beffe di un amico che vi parla per vostro bene?»
— «Finitela — disse — Tom con voce burbera; — non posso più reggere; i vostri sermoni mi ammazzano. Insomma, che divario corre tra me e voi? Siete forse miglior uomo di me? Tentate, ben si vede, ingannare il diavolo per salvar la pelle. Questa vostra religione, come voi la chiamate, non tende che a farvi far credito dal diavolo finchè vivete, e poi fuggirvene, quando venga il momento di pagare. Bah!»
— «Piano, piano, signori miei, non si tratta di ciò — disse Marks. — Vi sono modi, ben lo sapete, di considerare la stessa cosa. Il signor Haley è, certo, persona stimatissima ed ha una coscienza sua propria; e tu pure, Tom, hai il tuo modo di vedere, e va benissimo; ma il bisticciarsi non riesce a niente di buono. Parliamo invece de’ nostri affari. Ora di che si tratta, signor Haley? avete bisogno di noi per dar la caccia alla vostra giovane?»
— «La giovane non è cosa mia, appartiene a Shelby; il fanciullo solamente è mio. Ho fatto la sciocchezza di comperarlo.»
— «Più che sciocchezze non sapete fare!» disse Tom ruvidamente.
— «Ora, Loker, lascia da parte i tuoi sermoni — disse Marks, leccandosi le labbra; — come vedi, il signor Haley può metterci tra le mani un buon negozio; aspetta un poco; io sono valentissimo in cotal sorta di affari. Questa vostra giovane, signor Haley, chi è? dove è?...»
— «Oh, quanto a lei, è bella, bianca, ben educata. Avrei dato a Shelby ottocento o mille ducati, e avrei ancor fatto un ottimo affare.»
— «Bella, bianca, ben educata — disse Marks, la cui fisonomia si animò tutta all’idea della preda. — Vedi, Loker, che ottima impresa! Potremo lavorare per nostro conto; raggiungiamoli; il fanciullo appartiene di diritto al signor Haley; noi condurremo alla Nuova-Orléans la giovane per venderla. Non è un’eccellente speculazione?»
Tom che avea ascoltato questa proposta, a bocca aperta, la chiuse improvvisamente, come un cane che afferra il cibo; e parve riflettesse pacatamente su tale divisamento.
— «Vedete — dicea Marks ad Haley, rimescolando col cucchiaio il punch — abbiamo giudici indulgenti su tutti i punti del fiume, giudici che sappiam ridurre facilmente al nostro partito. Tom prenderà l’iniziativa; io comparirò ben in arnese; con stivali rilucenti, messo in tutto punto, come quando si deve giurare. Bisognerebbe che vedeste — proseguiva Marks inorgoglito della sua professione — con che disinvoltura so cavarmene. Un giorno, io sono il signor Twvicken di Nuova-Orléans; un altro giorno, sono arrivato appunto allora dalle mie piantagioni lunghesso il fiume Pearl, ove posseggo settanta negri; un’altra volta, sono un parente lontano di Enrico Clay, o di qualche altro vecchio del Kentucky. Vi sono, come sapete, attitudini differenti. Tom, per esempio, è molto acconcio a menar le mani, ma è incapace di mentire; questo è il suo naturale; ma non vi è buon compagnone in tutto il paese che meglio di me sappia giurare, spergiurare; nessuno che in tutte le circostanze e con fronte serena sappia, meglio di me, sostenere le asserzioni in faccia ai giudici. Credo, in fede mia, che riuscirei nell’intento quando anche i tribunali fossero meticolosi più di quello che in realtà sono. Talvolta amerei che lo fossero, per uscirne con maggior gloria.»
Tom Loker, che, come dimostrammo, era uomo tardo nelle sue idee e ne’ suoi movimenti, interruppe Marks con menare un sonoro pugno sul tavolo, sicchè fece tremar su esso ogni cosa. — «E sia così! diss’egli.»
— «Dio vi benedica, Tom; non è necessario romper tutti i bicchieri — disse Marks; — riservate i vostri pugni per migliore occasione.»
— «Ma, signori — riprese Haley — avrò pur io la mia parte nel guadagno?»
— «Non vi basta che riprendiamo il fanciullo per voi? — rispose Locker; — che volete di più?»
— «Parmi — soggiunse Haley — che il proporvi un buono affare merita pur qualche cosa; almeno il dieci per cento sul guadagno, diffalcate le spese.»
— «Ora — rispose Locker con una solenne imprecazione, e percuotendo col pesante suo pugno la tavola — non vi conosco io forse, Daniel Haley? credete forse di ingarbugliarmi? Credete forse che Marks ed io abbiamo preso il mestiere di inseguire li schiavi, appunto per comodo dei signori come voi siete, senza trarne alcun profitto per noi? No! no! terremo per conto nostro la giovane, e voi state zitto, altrimenti li avremo amendue. Chi potrebbe impedircelo? Non ci avete forse suggerita e indicata la traccia? Possiamo tentar come voi l’impresa stessa, spero. Se voi o Shelby, ci farete citare in giudizio, ci troverete.»
— «E sia pure come dici — soggiunse Haley impaurito — acchiapperete il fanciullo per conto mio; io riposo sulla vostra parola.»
— «Lo sapete — disse Tom — non pretendo gareggiare con voi nelle vostre bindolerie: ma tengo i patti perfin col diavolo. Ciò che dico di fare, il farò; lo sapete, Daniel Haley.»
— «Sì, sì; lo so benissimo, Tom — riprese Haley; — purchè promettiate solamente di ricondurmi, tra una settimana, in qualsiasi luogo, il fanciullo, ecco quanto desidero.»
— «Ma non è quanto io voglio — disse Tom; — non è per nulla, Haley, che io mi ricordo di aver conchiuso affari con voi a Natchez; presa un’anguilla, ho imparato a tenerla ben stretta nel pugno. Mi snocciolerete, l’un sull’altro, immediatamente cinquanta dollari; o non vedrete mai più il fanciullo. Mi conoscete.»
— «Come! mentre vi metto tra le mani un affare che può fruttarvi per lo meno dai seicento ai mille dollari di guadagno netto, vi mostrate così indiscreti?» disse Haley.
— «Sì, ho lavoro assicurato per cinque settimane all’incirca; possiamo impegnarci per altro. Supponete che rinunziamo a tutto, per correr dietro al vostro fanciullo, che non ci riesca di acchiappare nè lui, nè la giovane — e ci vuole il diavolo per acchiappare questa sorta di femmine — chi ci compenserà della nostra fatica? Ci pagherete voi con un centesimo? Parmi sentire un bel no. Ah! qui dunque cinquanta dollari. Se l’affare avrà buon esito, ve li restituiremo; altrimenti, li riterremo per il nostro discomodo; non è giusto, Marks?»
— «Certamente, certamente — rispose Marks con piglio conciliativo; — è una caparra, come vedete, niente di più; noi, legulei, conosciamo benissimo questa cosa. Dobbiamo trattar bene, come sapete. Tom vi condurrà il fanciullo in qualunque luogo indicherete. Non è vero, Tom?»
— «Se raggiungo il fanciullo, lo trasporterò a Cincinnati, lo deporrò presso Granny Belcher, là dove si smonta» rispose Locker.
Marks si trasse di saccoccia un grosso portafoglio, unto e bisunto; svolgendone un largo foglio di carta, lo spiegò sulla tavola, vi gittò sopra i suoi occhi neri, penetranti, e cominciò a mormorarne il contenuto: «Barnes, contea di Shelby, il fanciullo Gim, trecento dollari per lui, morto o vivo; Odoardo Dick e Lucy, marito e moglie, seicento dollari; la giovane Polly e due fanciulli, seicento per lei o per la sua testa. Do un’occhiata ai nostri affari, per vedere se possiamo metterci subito a questa impresa. Loker — soggiunse quindi dopo un momento di riflessione — dobbiamo spedire Adams e Springer sulle traccie di costei; l’abbiam notata da qualche tempo sul nostro libro.»
— «Pretendono troppo» disse Tom.
— «Tratterò io la bisogna; sono novizii in questi affari; debbono contentarsi a un prezzo modico — proseguì Marks, continuando a leggere. — Qui si tratta di tre casi, donde è facile disimpegnarsi, perchè basta uccidere questi tali o giurare di averli uccisi; non possono esiger molto per tale incarico. Quanto agli altri casi — soggiunse egli, ripiegando il foglio — possono aspettare un tantino. Veniamo adunque ai particolari. Avete notato, signor Haley, dove ha approdato quella giovane?»
— «La vidi distintamente, come adesso veggo voi.»
— «E un uomo la ha aiutata a salire la sponda?» chiese Loker.
— «Vidi benissimo anche lui.»
— «Probabilmente — notò Marks — si è rifugiata in qualche casa; ma dove? ecco il punto della questione. Tom, che te ne pare?»
— «Dobbiamo, senza dubbio, traversare il fiume questa sera» rispose Tom.
— «Ma non vi è in pronto alcuna barca — soggiunse Marks; — la corsia strascina ghiacci impetuosamente; è molto pericoloso?»
— «Nol so; ma, certo, bisogna mettersi subito all’opera» disse Tom risolutamente.
— «Ma, caro mio — soggiunse Marks avanzandosi verso la finestra — è buio come in bocca al lupo, o Tom.»
— Alle corte, hai paura, Marks; ma sostengo che bisogna andare. Supponi che ci sia forza aspettare uno o due giorni; e la giovane potrà arrivare per la linea sotterranea2, a Sandusky o che so io, prima di noi.
— «Oh no; non ho paura di sorta — disse Marks — solamente....»
— «Solamente che...?» domandò Tom.
— «Volea parlar del battello. Vedi che non ve ne è alcuno.»
— «Poc’anzi udii dall’ostessa che stasera ve ne sarebbe uno, e che un uomo dovea traversare il fiume. Dobbiamo, ad ogni costo, andare con lui.»
— «Suppongo che abbiate buoni cani» disse Haley.
— «Di prima qualità — rispose Marks. — Ma che farne? avete qualche oggetto che abbia appartenuto alla giovane per darlo loro a fiutare?»
— «Sì, sì, che ne ho — rispose Haley con aria di trionfo — Vi è qui uno sciallo, che ella, fuggendo, lasciò sul letto; si è dimenticata anche il cappello.»
— «È gran ventura — disse Loker; — date qua.»
— «Ma temo — disse Haley — che i cani mi guastino la donna, se le si gettano addosso senza riguardo.»
— «Bisogna pensarci bene — disse Marks; — i nostri cani colaggiù sul Mobile, fecero quasi a pezzi un taglialegna, prima che ci riuscisse di liberarnelo.»
— «Ma — riprese Haley — trattandosi di questa specie di articoli che si voglion vendere per la loro bellezza, bisogna tenere altro metodo.»
— «Lo comprendo benissimo — disse Marks. — D’altronde, se la giovane è nascosta in qualche casa, non gioverebbero a nulla. I cani non servono in quelli Stati dove si trasportano in vettura; per conseguenza, non potremo lanciarli sulla sua pesta. Non vengono acconci se non in quelle piantagioni, dove i negri, quando fuggono, debbono camminare a piedi e non possono trovar ricovero.»
— «Su via — disse Loker, che si era avvicinato al banco per chiedere alcune informazioni; — mi dicono che l’uomo col battello è giunto; e perciò, Marks....»
Questi gittò uno sguardo, ma senza rincrescimento, alla camera comodamente preparata che dovea abbandonare: e lento lento si levò in piedi per tener dietro al compagno. Dopo avere scambiate alcune parole per ulteriori intelligenze, Haley, con una visibile ripugnanza, sborsò nelle mani di Tom i cinquanta dollari, e questo degnissimo triumvirato si separò per la notte.
Se taluno de’ nostri colti e cristiani lettori avesse ad osservar qualche cosa sul carattere della società dove questa scena lo ha introdotto, lo preghiamo a lasciar per ora in disparte i suoi pregiudizii. Il mestiere di cacciare li schiavi, (lo preghiamo a ben ricordarselo) o sollevati alla dignità di professione legale e patriotica. Se tutto quel vasto tratto di paese che si stende tra il Mississipi e l’Oceano Pacifico, diventa un gran mercato di corpi e di anime, e se la proprietà umana continua a conservare, durante il nostro secolo XIX, l’istinto della libertà, il mercante e il cacciatore di uomini potranno venire ammessi nella nostra aristocrazia.
Mentre nella taverna succedea questa scena, Samuele ed Andrea proseguiano allegramente il loro cammino verso casa.
Samuele, che non poteva capir nella pelle, esprimeva la sua contentezza con ogni genere di urli, di strepiti straordinarii e co’ più strani contorcimenti di tutta la persona. Ora si siedea a rovescio in groppa al cavallo, colla faccia verso la coda dell’animale, ora di fianco; ora, spiccando un salto, e gettando uno strido, rimettevasi diritto, e atteggiandosi a serietà cominciava ad ammonire Andrea sopra i suoi scherzi e le sue risa da scioperato. Ora battendosi i fianchi, gridava e sghignazzava per modo, che ne facea echeggiare il bosco. Fra tutte queste evoluzioni, spingea innanzi i cavalli, talchè, tra le dieci e le undici di sera, il loro calpestio risuonava sul lastrico, presso il balcone. La signora Shelby corse alla gradinata.
— «Siete voi, Samuele? dove sono essi?»
— «Il signor Haley è rimasto all’osteria, stanco terribilmente, signora.»
— «Ed Elisa, Samuele?»
— «Ha traversato il Giordano; è giunta, come suol dirsi, nella terra di Canaan.»
— «Che intendete con ciò, Samuele?» domandò la signora Shelby, senza respiro e quasi priva di lena, pensando al significato che si potrebbe dare a quelle parole.
— «Iddio, signora mia, protegge i suoi. Elisa ha traversate l’Ohio, non meno prodigiosamente che se Dio l’avesse rapita in un carro di fuoco a due cavalli.»
L’estro religioso di Samuele solea spiegarsi mirabilmente alla padrona, e isfoggiare una gran suppellettile di figure e di imagini bibliche.
— «Vieni su, Samuele — disse il signor Shelby, che si era affacciato anch’esso alla verenda — e narra alla padrona tutto quello su cui vorrà interrogarti. Vieni, vieni, Emilia — soggiunse egli, passandole un braccio intorno al fianco; — hai freddo e tremi tutta; ti commuovi troppo facilmente.»
— «Mi commuovo troppo facilmente? Non sono io donna e madre? non siamo amendue risponsabili dinanzi o Dio di quella povera giovane? Dio non ci ponga a carico una tal colpa!»
— «Qual colpa, Emilia? Vedi pure, non abbiamo fatto se non quanto eravamo costretti a fare.»
— «Eppure — disse la signora Shelby — io ne sento un amaro pentimento al cuore come d’una colpa; non posso ragionare diversamente.»
— «Su, Andrea, su, negro, sei morto? — gridava Samuel sotto la veranda; — mena questi cavalli alla scuderia; non hai sentito il padrone che ti chiama?» e tosto Samuele, col cappello di palma alla mano, comparìa in mezzo alla sala.
— «Ora, Samuele, raccontaci distintamente come è andata la cosa — disse il signor Shelby. — Sai tu dove Elisa si trovi?»
— «Sì, padrone; la vidi co’ miei proprii occhi attraversare il fiume sopra i ghiacci galleggianti. Tragittò in modo prodigioso; non fu nientemeno che un miracolo; vidi un uomo che dall'altra sponda dell’Ohio le porgea la mano a salire; quindi ella scomparve tra la nebbia.»
— «Samuele, credo che questo miracolo sia più che apocrifo. Non è cosa sì facile traversare il fiume sui ghiacci» soggiunse il signor Shelby.
— «Facile! nessuno potrebbe passare, senza aiuto del Signore. Ora — proseguì Samuele — la faccenda è andata precisamente così. Il signor Haley, io ed Andrea andavamo verso una piccola osteria vicina al fiume; io cavalcava più avanti (avea tanta impazienza di afferrare la Elisa, che non poteva star fermo); e giunto che fui sotto la finestra dell’osteria, potei vederla faccia a faccia; gli altri mi tenean dietro. Mi lascio allora cadere il cappello, e getto uno strido a far sorgere un morto. Elisa si scuote, mi riconosce, si ritrae indietro, in quella che Haley giungeva alla porta; fugge da un uscio collaterale ed arriva alla sponda del fiume. Il signore Haley la riconobbe, si mise a gridare, ad inseguirla, accompagnato da me e da Andrea. Elisa giunse all'orlo della sponda dinanzi una corrente, larga dieci piedi, che travolgeva enormi ghiacci, i quali si urtavano tra di loro, ed ora stringeansi insieme quasi formassero una grande isola. La premeano alle spalle, e credo sull'anima mia che ella non fosse gran fatto sicura, quando gittò tale uno strido che non udii mai il somigliante; si slanciò sulla corrente, balzando di ghiaccio in ghiaccio coll’agilità di una cerva; il ghiaccio si affondava, si spezzava, ed essa proseguiva sempre, gridando e balzando! Mio Dio! la forza che avea quella giovane, non era naturale; questa è la mia opinione.»
La signora Shelby, pallida di commozione, senza fiatare, avea ascoltato il racconto di Samuele.
— «Dio sia lodato, se non è morta! — disse ella — ma ora dove è la povera figliuola?»
— «Dio saprà provvederle — - disse Samuele alzando piamente gli occhi. — Come disse sempre, e come la nostra padrona ci ha sempre insegnato, vi è, certo, una Providenza. Dio trova sempre un istrumento perchè sia fatta la sua volontà; difatti, se non era io, Elisa sarebbe stata presa le dieci volte. Non ho fatto, stamane, fuggire i cavalli, non ho impedito che fossero presi sino all’ora del pranzo? Non ho indotto stasera Haley a camminare cinque miglia fuori di strada? Sarebbe piombato sopra Elisa non meno facilmente che un molosso sopra un raccoon. Tutti questi sono atti della Providenza.»
— «Sono tutti atti della Providenza, che tu, mastro Samuele, avresti potuto risparmiare. Non permetto che si trattino in tal modo i signori che ricevo in casa mia» disse Shelby con tutta quella apparenza di severità che in tali circostanze potea mostrare.
Con un negro non è facile il dissimulare più che nol sarebbe con un fanciullo, penetrano amendue istintivamente il vero stato della cosa, mentre studii in mille guise dar loro ad intendere il contrario. Quindi Samuele, tutto che assumesse un’aria di dolorosa compunzione, e torcesse gli angoli della bocca con una smorfia da penitente, non fu punto sconcertato da quel rabbuffo.
— «Il padrone ha ragione, perfettamente ragione; ebbi torto; non vi è nulla a ridire; e per conseguenza il padrone e la padrona non possono approvare la mia condotta. Me ne duole di cuore; ma un povero negro, come son io, e tentato qualche volta di operar male, quando gli avviene incontrare persone della stampa del signor Haley; egli non è un gentiluomo; coloro che sono stati educati come me, se ne accorgeranno al primo sguardo.»
— «Va bene, Samuele — riprese la signora Shelby — che tu senta d’aver mancato; ora vanne, e di’ a zia Cloe ti dia un pezzo di quel presciutto che quest’oggi avanzò dal pranzo. Tu ed Andrea dovete aver buon appetito.»
— «La signora è troppo buona con noi» disse Samuele; fece un inchino col capo e scomparve.
Il lettore si sarà accorto che mastro Samuele, come poco anzi accennammo, era dotato dalla natura d’un ingegno, per cui, nella vita politica, avrebbe potuto innalzarsi ad un grado eminente; l’ingegno di mettere a suo vantaggio ogni circostanza, di farla riuscire a sua lode e gloria principale. Dopo aver affettata religione e umiltà, con soddisfazione, come egli si lusingava, della sala, si ficcò bizzarramente in testa il suo cappello di paglia, e corse nei dominii di zia Cloe con intenzione di compensarsi largamente in cucina.
— «Farò un’apostrofe a questi negrotti — disse Samuele tra sè - l’occasione è propizia. Voglio farli strasecolare.»
E qui dobbiamo osservare che uno dei piaceri speciali di Samuele era sempre stato quello di seguire il padrone ad ogni sorta di politica radunanza; e là, appostato dietro qualche palizzata, od appolaiato su d’un albero, porgea orecchio, con tutti i segni del maggior piacere del mondo, agli oratori; disceso quindi tra’ vari confratelli del suo colore, ivi pur convocati, prendea a divertirli colla più burlesca imitazione di quanto avea udito e veduto, conservando la più solenne gravità negli atti e nel sembiante. E sebbene gli uditori, che gli si facean presso, fossero, generalmente, del suo colore, avveniva talvolta che ve ne erano pur alcuni di tinta meno bruna, i quali ascoltavano, ridevano, si scambiavano cenni tra di loro, con soddisfazione di lui. Di fatti, Samuele considerava l’oratoria come la sua vocazione, e non tralasciava mai occorrenza di magnificarne la importanza.
Ora, tra Samuele e la zia Cloe, covava da gran tempo una specie di avversione, o esisteva, per dir meglio, una manifesta freddezza; ma perchè allora Samuele meditava qualche impresa nel dipartimento delle provviste, determinò, come operazione preliminare, mostrarsi, in questo momento, sommamente conciliativo ne’ suoi modi; sapea benissimo che — quantunque li ordini della padrona sarebbero stati eseguiti alla lettera — vi guadagnerebbe non poco se lo fossero parimente secondo lo spirito. Comparve quindi dinanzi a zia Cloe con un’aria di compunzione, di commovente rassegnazione, come persona che ha patito strapazzi immensi per aiutare una povera creatura perseguitata; accrebbe importanza al fatto con aggiungere che la signora lo avea diretto a zia Cloe, acciò questa vedesse modo di ristorarne le forze dell’animo; e per tal guisa venìa a riconoscere apertamente i diritti e la supremazia di Cloe nel dipartimento della cucina e nelle sue dipendenze.
L’esito corrispose perfettamente all’aspettazione. Non mai semplice ed onesto elettore fu meglio affascinato da un candidato politico, che non fosse zia Cloe dalle moine di mastro Samuele; e quando anche fosse egli stato il figliuol prodigo in persona, non sarebbe stato trattato con bontà più materna. Si trovò ben presto seduto, beato, glorioso, dinanzi una enorme terrina che conteneva una specie di olla podrida, un miscuglio di quanto da due o tre giorni era stato imbandito a mensa. Squisito fette di prosciutto, dorati pezzi di focaccia, frammenti di pasticci in tutte le figure che matematicamente imaginar si possano, ali di pollo, fegato, ogni cosa vi si sfoggiava con pittoresca confusione; Samuele, quasi monarca, signoreggiava la scena col suo cappello di palma acconciato allegramente sopra un orecchio, con Andrea, in secondo posto, alla sua destra.
La cucina fu piena in un subito di tutti i suoi compagni ivi accorsi dalle diverse capanne, per udire come i fatti di quella giornata fossero terminati. E questa era l’ora gloriosa per Samuele. La gloria di quel giorno venne infiorata con tutti gli ornamenti ed artifizii rettorici che poteano darle rilievo; perchè Samuele, come alcuni nostri novellieri dilettanti, non esponeva mai alcun racconto senza arricchirlo di qualche fiore suo proprio. Scrosci di risa tenner dietro al racconto; risa che si prolungarono, si rinnovarono fra quella ciurmaglia di servi, i quali giaceano sul pavimento o stavano appollaiati in ogni angolo della cucina. Ciò non ostante, in mezzo al maggior trambusto e agli scrosci di risa, Samuele conservava una serietà inalterabile, sollevando solamente, tratto tratto, gli occhi al cielo o gittando a’ suoi uditori una occhiata buffonesca inesprimibile, senza dipartirsi mai dallo stile sentenzioso ed elevato del suo sermone.
— «Vedete dunque, compagni compatrioti — dicea Samuele, innalzando energicamente la coscia di un gallinaccio, infilzata nella forchetta — vedete dunque che questo compagnone ben saprebbe all’occorrenza, difendervi tutti, sì tutti voi. Chi è capace di difender uno, è capace di difender tutti; il principio è lo stesso; nulla di più evidente. Chiunque venisse qui intorno a provocare uno di noi, avrebbe a fare con me. Io sono tutto vostro; io saprò sostenere, fratelli miei, i vostri diritti, saprò difenderli sino all’ultimo respiro!»
— «Ma, ricordati bene Samuele — disse Andrea — che stamane eri disposto ad aiutare Haley per raggiungere Elisa; mi pare che ciò non concordi gran fatto coi principii che esponi.»
— «Olà, Andrea — disse Samuele con un tono di tremenda superiorità — non parlare di ciò che non comprendi; i fanciulli, come tu, Andrea, possono aver buone intenzioni, ma non ne sanno dilucidare i grandi principii d’azione.»
Andrea abbassò gli occhi a quel rabbuffo, specialmente alla solenne parola dilucidare, che i compagni più giovani parve riguardassaro acconcia perfettamente al caso, mentre Samuele proseguiva:
«Io era in buona coscienza, Andrea; mi disponeva a inseguire Elisa, mentre credeva realmente che tale fosse l’intenzione del nostro padrone. Quando poi mi accorsi che la signora volea altrimenti, ebbi anche maggior coscienza, perchè i servi debbono, avantutto, ubbidire agli ordini della padrona; sicchè tu vedi che io sono, in ambo i casi, conseguente a me stesso, e mi attengo irremovibilmente a’ principii. Sì, i principii! — ripetè Samuele dando con enfasi una morsicata al collo d’un piccione; — a che gioverebbero i principii, se mancasse in noi la perseveranza? vorrei saperlo un tantino. Prendi, Andrea, quest’osso; ci è ancora qualche cosa a rosicare.»
Samuele, vedendo che l’udienza raccoglieva le sue parole a bocca aperta, non potea a meno di proseguire.
«Questa virtù della perseveranza, negrotti amici miei — disse Samuele con piglio di chi entra in un astruso argomento — è cosa che non tutti sanno comprendere. Quando vedete che un compagno si appiglia per un giorno, per una notte, ad un partito, e domani al contrario, dite (ed è ben naturale) che egli non è conseguente a se stesso. Porgimi quel pezzo, di torta, Andrea. Ma guardiamoci ben addentro. Spero che le signorie loro e il bel sesso vorranno scusarmi se mi servo di un paragone un po’ triviale. Mi provo a salire sopra un fenile; appoggio da una parte la scala; non arriva; non ritento la prova, ma vado ad appoggiarla da un’altra parte. Manco io forse di perseveranza? sono perseverante nell’appoggiar la scala ove ella arriva; non è vero?»
— «Sì, è questa l’unica cosa in cui siete perseverante, Dio il sa!» gridò indispettita zia Cloe, cui il tripudio di quella sera tornava presso a poco come aceto sul nitro, per servirmi di un paragone della Bibbia.
— «Sì, sì! disse Samuele — levandosi da sedere, satollo di cibo, di gloria abbastanza per venire ad una conclusione. Sì, miei compagni e signore dell’altro sesso in generale, ho principii; mi vanto di averne; cosa rara a’ dì nostri, anzi in tutti i tempi. Ho principii, e sto attaccato come gomma a quanto tengo per un principio. Sono disposto a lasciarmi abbruciare vivo, a versare goccia a goccia il mio sangue per i miei principii, per il mio paese, per li interessi generali della società.»
— «Benissimo — disse zia Cloe — uno dei vostri principii dovrebbe esser quello di andarvene immediatamente a letto e di non svegliare troppo per tempo i vicini. Ora, ognun di voi, giovanotti, se ne vada, per il suo meglio, via di qua.»
— «Negrotti! — esclamò Samuele, scuotendo, con sembiante amorevole, il suo cappello di paglia; — vi do la mia benedizione; andatevene a letto, e siate bravi ragazzi.»
E dopo questa patetica benedizione, l’assemblea si disciolse.