La Sovrana del Campo d'Oro/XXIX
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CAPITOLO XXIX
Buck Taylor
Soltanto verso le tre del mattino, l’ingegnere e lo scrivano, dopo sforzi inauditi, poterono giungere sul margine del Gran Cañon e precisamente là dove gli Apaches li avevano sorpresi e catturati.
Vi erano arrivati in pessime condizioni, e appena raggiunte le prime rocce della piattaforma, erano caduti l’uno presso all’altro, senza potersi più muovere.
— Mi pare di avere le gambe rotte, signor Harris, — aveva detto Blunt.
— Ed io non ho più fiato, amico, — aveva risposto l’ingegnere.
— Eppure non dobbiamo fermarci a lungo qui.
— Nessuno ci minaccia, pel momento.
— Siamo a pochi passi dal cliff, signore, e forse i cow-boys ed il colonnello vi si trovano ancora rinchiusi. Andremo sotto le finestre e li chiameremo.
— E ci faremo prendere dal Re dei Granchi.
— Che assedii ancora il cliff quel cane maledetto?
— Che cosa ne sappiamo noi, Blunt? — rispose Harris.
— Parola d’onore che lo desidererei! — esclamò lo scrivano con collera.
— E perchè?
— Perchè mi arrampicherei su di una roccia, dovessi rompermi le unghie, e gli scaglierei sulla zucca qualche masso. Non sarò tranquillo, finchè non avrò accoppata quella scimmia africana!
— Anch’io ho giurato di fargli pagare i suoi tradimenti, — disse Harris. — Noi non iasceremo il Gran Cañon finchè non lo avremo strigliato per bene.
— Scorticato, signore!
— Come vorrete, Blunt.
— Andiamo al cliff: facciamo un ultimo sforzo. Non abbiamo da percorrere più di duecento passi e poi siamo armati, ora.
— Potrete reggervi?
— Non abbiamo certo un miglio da percorrere!
Si alzarono con grande fatica e s’avviarono lentamente lungo il sentiero che costeggiava il baratro. Quando ebbero girata una roccia, scorsero subito le strette finestre del cliff.
— Non vedo alcun raggio di luce, — disse Blunt, inquieto.
— Che i cow-boys abbiano trovato il modo di andarsene?
— Non mi sorprenderebbe, — rispose Harris. — Vi ricordate che si proponevano di uccidere i cavalli e di servirsi della loro pelle per fare altre corde?
— Sì, ingegnere. E se invece dormissero?
— Cerchiamo di raggiungere l’entrata del cliff.
— È quello che stavo per proporvi.
— Badate di non far rumore. Vi potrebbero essere Simone ed i vaqueros.
— Che il buon Dio li danni tutti alla galera o all’inferno! — imprecò lo scrivano, stringendo le pugna.
Si spinsero più innanzi, procedendo in silenzio; ad un certo punto lo scrivano, che era il primo, incespicò: qualche cosa gli si era aggrovigliato attorno alle gambe.
— Un trabocchetto? — esclamò.
— Mi sembrano corde, — disse Harris, che si era curvato.
— Vediamo, signore.
— Guardate in alto, Blunt. Vedete una lunga coreggia intrecciata che scende da quella finestra?
— Ed è pelle di cavallo levata recentemente, signore — disse lo scrivano.
— E quale conclusione ne traete?
— Che il colonnello ed i suoi uomini sono fuggiti.
— E mi pare che non v’inganniate, Blunt. Questa coreggia ha servito loro per scendere dal cliff.
— Ma allora il Re dei Granchi ed i suoi uomini...
— Avranno levato l’assedio.
— E Buffalo Bill?
— Sarà sceso nel Gran Cañon per cercarsi.
— E dove lo troveremo noi?
— Blunt, rechiamoci all’entrata del cliff per ora.
Stavano per muoversi, quando udirono a breve distanza il rumore prodotto dalle zampe d’un cavallo sul suolo roccioso. Poi una voce imperiosa gridò:
— Chi vive?
Un’ombra gigantesca, era apparsa presso l’angolo della rupe, e s’avanzava con precauzione sul sentiero che lambiva l’abisso.
— Un cavaliere! — aveva esclamato Blunt, impugnando la lancia e appoggiandosi alla parete del cliff.
— Sbarriamogli il passo, — aveva detto Harris, — e, se si avanza, gettiamolo nel Gran Cañon.
L’uomo che montava il mustano si era fermato: Blunt vide scintillare la canna di un fucile.
— Chi vive? — ripetè.
— Sangue di... mi pare di riconoscere questa voce! — esclamò Blunt.
— È quella di Buck Taylor! — gridò l’ingegnere. — Signor Buck, avanzatevi senza timore. Siamo noi, Harris e Blunt!
— Voi, qui! — esclamò il cow-boy, trattenendo il cavallo. — E gli Apaches che vi avevano fatti prigionieri?
— Vi basti sapere, per ora, che siamo fuggiti.
— Ma non vedo con voi miss Clayfert.
— Purtroppo, Buck. È rimasta nelle loro mani. Ed il colonnello?
— E’ lontano, signori miei.
— In ritirata verso Peach Springs?
— Lui! Oh! Buffalo Bill non lascia mai le sue imprese a metà, signori miei.
— Spiegatevi, Buck, — disse Harris.
— Cerchiamo prima un ricovero, poi vi narrerò ogni cosa. Avete fame innanzi tutto?
— Mangerei un orso intero, — disse Blunt. — Da ieri non mandiamo giù che delle bacche.
— La bocca del cliff è aperta, e vi staremo benissimo là dentro, — rispose il cow-boy.
— Vi hanno liberati quei maledetti negri? — chiese Blunt.
— Se l’avessero fatto, non so se ve ne sarebbe ancora qualcuno vivo, — rispose Buck. — Avevamo giurato di sterminarli fino all’ultimo.
— Allora?...
— Che ne so io? So che passando poco fa dinanzi al cliff ho veduto il masso frantumato. Seguitemi, signori: non è prudente fermarsi qui, sull’orlo di questo abisso. Qualche roccia scagliata dall’alto delle rupi, può conciarci per bene.
I due californiani compresero subito che il cow-boy aveva ragione e lo seguirono, giungendo dopo pochi minuti dinanzi al cliff.
Infatti la rupe non lo chiudeva più. Il masso giaceva frantumato in centinaia di pezzi. Certamente era stato fatto saltare con una grossa cartuccia di dinamite.
— Fermiamoci nella prima stanza, — disse Buck. — Nell’ultima vi è troppa carne che imputridisce.
— Quale? — chiesero ad una voce Harris e Blunt.
— Quella dei nostri cavalli che abbiamo dovuto sacrificare, prima per procurarci delle coregge necessarie per calarci dalle finestre, e poi per non lasciarli morire lentamente di fame.
— E dove avete preso il vostro? — chiese Harris. — Suppongo che non lo avrete calato da quelle finestre così strette.
Il cow-boy si mise a ridere.
— Mangiate prima, — disse.
Staccò dalla sella una bisaccia e ne trasse alcune focacce di mais, impastate con acqua e grasso, un pezzo di selvaggina arrostito ed una bottiglia di liquore.
Mangiarono tutti avidamente, vuotando mezza bottiglia, poi il cow-boy, dopo aver offerto dei sigari ai due californiani, disse:
— Voi vi ricorderete che una palla sparata da uno dei banditi che ci assediavano, aveva per una strana combinazione tagliata la corda formata coi nostri lazos, togliendoci così la possibilità di portarvi un pronto soccorso.
— Perbacco, se ce lo ricordiamo, disse Blunt.
— Assistemmo impotenti all’assalto degli Apaches, perchè l’angolo formato dalla rupe ci impediva di fare delle scariche efficaci. I negri ed i vaqueros, vedendoci alla finestra coi fucili in mano, non avevano osato lasciare il loro posto, nonostante le esortazioni del loro capo, un africano di forme erculee.
— Il Re dei Granchi, — disse l’ingegnere.
— Il colonnello aveva immaginato che fosse lui. Così gl’indiani poterono allontanarsi indisturbati. Cercammo di parlamentare con gli assedianti, proponendo loro di unirsi momentaneamente a noi per dare la caccia agli Apaches, ma sia che diffidassero del colonnello o per altro motivo, non si degnarono nemmeno di darci risposta.
Allora decidemmo di fuggire dalla finestra. I cavalli furono uccisi, ne scuoiammo uno, e formata una nuova corda, io pel primo mi calai, coll’incarico di andare a vedere se gli assedianti avevano abbandonata la bocca del cliff, non avendoli più uditi parlare.
— Se n’erano già andati? — chiese Blunt.
— Aspettate, — rispose il cow-boy. — Non osando inoltrarmi lungo l’abisso, per non ricevere qualche scarica improvvisa, mi avviai verso la piattaforma che era stata il teatro del vostro rapimento, sperando di trovare qualche altro passaggio inosservato alle loro spalle.
Trovai infatti un sentieruzzo, appena praticabile ai montoni di montagna, su cui però potei inerpicarmi. Mi accorsi che passava sopra il cliff: dopo pochi minuti giungevo là dove si trovavano radunati i banditi che ci tenevano assediati.
Erano in quattordici o quindici; cinque negri e gli altri vaqueros messicani o delle frontiere, e stavano accoccolati intorno ad un fuoco, discorrendo animatamente. Premendomi sapere che cosa dicevano, mi trascinai sopra una rupe vicina e mi misi in ascolto. Udii distintamente uno dei vaqueros dire:
— Cerchiamo innanzi a tutto Will Roock.
— Will Roock! — esclamarono ad una voce Blunt e Harris.
— Sì, o signori.
— Siete certo di non esservi ingannato, Buck? — chiese l’ingegnere.
— No, per baccol Lo conoscete?
— E’ il bandito che ha sequestrato il padre di miss Clayfert; continuate.
— Udii l’ercole negro chiedere se sapessero dove si nascondeva.
— Nella miniera di Waterpoket, dove mi hanno dettò che vi sono gallerie immense, — aveva risposto un altro bandito. — Mi sono informato a Peach Springs da un minatore che ha saputo qualche cosa sull’ultima impresa di Will.
Poco dopo vidi i banditi alzarsi, montare sui loro cavalli ed allontanarsi.
— Dovevate far scoppiare la testa al Re dei Granchi, — disse Blunt.
— Ero solo, mio caro signore, e, anche riuscendo, ne avrei avuti altri quattordici addosso.
— Avete ragione, Buck, — disse Harris.
— Ne sapevo abbastanza, — proseguì il cow-boy. — Ritornai sotto il cliff e feci scendere il colonnello ed i miei compagni, assicurando loro che non avevamo nulla da temere.
Quando ci trovammo tutti radunati sulla piattaforma, tenemmo consiglio: fummo d’accordo sulla necessità di procurarci innanzi tutto dei cavalli e chiedere aiuto alla guarnigione del forte Deflance, per cercare di liberarvi al più presto. Sapevamo che vi era un ranch a sette miglia da qui e, quantunque non fossimo certi che i mandriani vi fossero ancora, ci dirigemmo a marce forzate a quella volta. Vi giungemmo nel momento in cui i pastori, spaventati dalla comparsa dei primi cavalieri Navajoes, si preparavano a fuggire verso Peach Springs. Avuti cavalli e viveri, il colonnello ed i miei compagni partirono subito per Deflance.
— E voi, perchè siete rimasto qui? — chiese Harris.
— Per spiare le mosse dei negri e dei vaqueros e seguirli fino alle miniere, possibilmente.
— Avete scoperto le loro tracce?
— Sì, ier sera.
— Dove si dirigono?
— Scendono nel Gran Cañon. Quei banditi cercano indubbiamente di unirsi a Will Roock.
— E dove vi raggiungerà il colonnello? — chiese Blunt.
— Dove io mi fermerò. Il mio cavallo porta un ferro in forma di trifoglio ed i miei compagni non avranno difficoltà a seguire le mie tracce. L’impronta che lascerà il ferro non si può confondere con quelle degli altri cavalli; ed ora che vi siete abbastanza riposati, scendiamo anche noi nel Gran Cañon, — concluse il cow-boy.
— Seguendo il sentiero percorso dagli Apaches? — chiese Harris.
— No, ne esiste un altro, e forse migliore. Non perdiamo tempo. Mi preme non lasciarmi distanziare troppo.
Lasciarono il cliff, ed il cow-boy, tenendo il cavallo per le briglie, percorse il sentiero che conduceva verso l’abisso, seguito da Blunt e da Harris.
Giunto sul margine, guardò per alcuni istanti il baratro che s’apriva ai suoi piedi, dal cui fondo s’alzava una nebbia leggera che impediva di scorgere il Colorado, poi si mise a rasentare le rupi, raccomandando ai due californiani di posare i piedi con estrema cautela per non scivolare nell’abisso.
Marciarono per un’ora, sempre in silenzio, poi si trovarono dinanzi ad un passo strettissimo, ad un altro Cañon, scavato anch’esso dalle acque, che scendeva tortuosamente, fra un caos di rupi, massi enormi e di pareti granitiche variamente colorate.
Lungo le fenditure pendevano immensi festoni vegetali, in mezzo a cui svolazzavano coppie di pettirossi e di uccelli beffatori; si udivano cantare gli usignuoli di Virginia e i tropioli dalla testa aranciata. In alto, invece, s’incurvavano sulla spaccatura i faggi, e le acace spinose che dànno una specie di fava mangiabile; sulle rocce si ergevano pini immensi, alti settanta od ottanta metri, che producono enormi pigne, di forma conica, lunghe un buon piede.
Gli animali che pascolavano sull’orlo delle rupi, udendo il rumore prodotto dai ferri del cavallo, scappavano con rapidità fulminea, spiccando agilissimi salti.
Erano bicornie, ossia montoni di montagna, che somigliano piuttosto alle capre pur avendo forme più massicce, con grandi corna rugose sul capo, di cui si servono, al pari degli stambecchi, per saltare negli abissi.
— Sono scesi di qui i negri ed i vaqueros? — chiese Harris.
— Sì, — rispose Buck. — Ecco le loro tracce.
Si era curvato su di uno strato di terreno sabbioso, umido per le infiltrazioni sotterranee d’acqua, mostrando ai due californiani numerose impronte di zoccoli.
— Quindici cavalli, — disse, dopo un lungo esame. — Vedete che non m’inganno io.
— Saranno molto lontani? — chese Blunt.
— Giurerei che queste orme non datano che da dodici ore.
— Allora sono molto innanzi e non so come faremo a raggiungerli, soprattutto; noi che siamo appiedati.
— Mi aspetterete in qualche luogo, mentre io forzerò la marcia del mio mustano. Non dubitate: seguirò queste orme attraverso tutto il Gran Cañon se sarà necessario, senza mai perderle. Adagio, signori, la via diventa pessima.
La gola scendeva quasi a precipizio e andava a poco a poco restringendosi, mentre il fondo appariva ingombro di macigni, di sabbie, di detriti di varie specie, trascinati colà dalle acque.
Il mustano, soprattutto, quantunque sostenuto dal pugno solido di Buck, penava assai a tenersi in piedi e correva ad ogni istante il pericolo di scivolare e di spezzarsi le gambe.
Tuttavia, dopo quattro ore, i due californiani ed il cow-boy riuscivano a raggiungere il fondo del Gran Cañon, seguendo sempre le orme dei negri a dei vaqueros.
— Possiamo riposarci un paio d’ore, — disse Buck. — Abbiamo compiuta una discesa che pochi uomini avrebbero potuto percorrere in così breve tempo, e anche...
Si era interrotto bruscamente, guardando verso un macchia di cactus che sorgeva alla base della immensa muraglia.
— Là è stato acceso un fuoco, — disse. — I negri hanno certamente sostato.
S’accostò alla macchia e mostrò ai due californiani un mucchio di cenere, su cui si scorgevano alcuni tizzoni quasi consunti.
Ne prese uno e vi soffiò sopra, sprigionando una scintilla.
— Il vostro Re dei Granchi non deve essere lontano, — disse. — Il fuoco cova ancora sotto la cenere.
— Che i negri ed i vaqueros si siano fermati qui? — chiese Blunt.
— Le orme lasciate dai loro cavalli si arrestano in questo luogo, — rispose Buck. — Un cow-boy non s’inganna mai.
— Allora non devono avere molto vantaggio su di noi, — disse Harris.
— Suppongo che avranno dormito in questo luogo, — rispose Buck. — Non devono avere più di due ore di vantaggio.
— Signor sotto-colonnello, disse lo scrivano. — Si potrebbe fare colazione, prima di mettersi in caccia?
— Sarei felice di offrirvi qualcosa. Disgraziatamente non ho che mezza bottiglia di whisky, avanzata ieri sera.
— E nulla da mettere sotto i denti?
— Bisognerà contare sulla selvaggina, signor Blunt.
— Che brilla per la sua assenza.
— Ehi chi lo sa! Il fondo del Gran Cañon è ricco di daini, di orsi, di coguari e anche di giaguari.
— Peuh!
— Non si deve essere schizzinosi, signor mio. Due ore di riposo possiamo prendercele, nel frattempo si può scovare qualcosa di più solido del whisky. Lasciate fare a me.
— Io ho la lancia dell’indiano e posso esservi utile, — replicò Blunt.
Il cow-boy si mise a ridere, ma non rifiutò il concorso dello scrivano.
— Ingegnere, — disse, — preparateci intanto un riparo; si brucia nel fondo del Gran Cañon, ed un colpo di sole si fa presto a prenderlo.
— Mentre invece noi dobbiamo prendere degli orsi, — aggiunse Blunt, scherzando. — Anzi potete preparare la pentola che non possediamo.
— Lo metteremo arrosto, — disse Buck.
— Chi?
— Il bicornie che si tiene lassù, sulla cresta di quella roccia, ed è probabilmente la sentinella di un branco. Cadrà qui fracassato, ma poco monta.
— Giungerà più infrollito, signor Buck, — disse lo scrivano. — Ci risparmierà la fatica di pestare le sue costolette.
Alzò gli sguardi e vide sulla vetta d’una rupe, alta almeno trecento metri, una di quelle grosse capre che aveva già osservate, con la testa armata di corna immense. L’animale voltava loro il dorso.
— È molto lontano, signor Buck, — disse.
— Non abbastanza per la carabina d’un cow-boy, — rispose lo scorridore della prateria.
Alzò il fucile e mirò attentamente l’animale, che non si era ancora accorto della presenza dei suoi nemici, poi fece partire il colpo. Il montone di montagna, colpito dall’infallibile palla del tiratore, fece un salto nel Cañon, rotolando di balza in balza.
Harris, Blunt e Buck stavano per precipitarsi sulla preda, quando una voce che li fece sobbalzare, echeggiò dietro ad una roccia.
— Eccoli! Josè, addosso!
Un gruppo di vaqueros e di negri, armati di fucile, era improvvisamente apparso.
— Il Re dei Granchi! — aveva esclamato lo scrivano, con accento di terrore.
Buck Taylor con un salto si era slanciato in sella:
— Signori, — gridò, — salvatevi come potete!
Un colpo di fucile rimbombò. Il suo cavallo fece uno scarto, poi partì ventre a terra, mentre il cow-boy scaricava centro i vaqueros i sei colpi della sua rivoltella.
— Vi ritroverò! — gridò Buck, che era già lontano.
Harris e Blunt non si erano mossi. Avevano compreso che una fuga a piedi sarebbe stata assolutamente impossibile, e che ogni resistenza era inutile e pericolosa contro tanti avversari muniti di fucili e di rivoltelle.
— Siamo presi, — aveva detto Harris. — Abbassate la lancia, Blunt, o quei miserabili ci fucileranno come cani.
Il Re dei Granchi s’avanzava, tenendo in mano una grossa rivoltella.
— Buon giorno, signor Harris, — disse con tono ironico. — Da qualche tempo non avevo il piacere di vedervi, e desideravo ardentemente la vostra compagnia. E voi, signor scrivano, come state?
— Che gli orsi grigi vi divorino, negro dannato, — disse Blunt, con voce rabbiosa.
— È così che si accoglie un vecchio conoscente? — disse il negro, con maggior ironia.
— Mastro Simone, — disse Harris, — finitela, e diteci che cosa volete da noi.
— Una cosa semplicissima, — rispose Simone. — Unirvi alla mia compagnia, con i piedi e le mani legate. Abbiamo un vecchio conto da saldare, signor Harris. Suppongo che non l’avrete dimenticato.
— Voi non avete il diritto di farci prigionieri. Noi siamo uomini liberi, e non già schiavi africani.
— Basta! — urlò mastro Simone, furioso. — La commedia è finita.
Poi volgendosi verso i suoi negri, disse:
— Afferrate questi uomini, legateli per bene e poneteli su due cavalli.
— Lasciate fare a me — rispose Josè Mirim, facendosi innanzi. — Li legherò come sanno legare i Navajoes.