Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— Ho picchiato sodo, mi pare, — disse lo scrivano, saltando sul caduto. Poi aggiunse, sorridendo:
— Scommetto che, non udendomi rispondere alla vostra chiamata, avete creduto che io vi avessi abbandonato; è vero, ingegnere?
— Oh no, — protestò Harris.
— Mi premeva sorprendere l’indiano, signore. Se avessi gridato, non avrei potuto piombargli addosso a tradimento. Che lo abbia accoppato, signore?
Harris s’era curvato sul Pelle-Rossa che perdeva sangue dal capo.
— No, — disse, — il colpo non è stato mortale. È solamente svenuto.
— Devo finirlo?
— Mi ripugna. Prendiamogli la lancia ed il tomahawk e scappiamo.
Quando questo povero diavolo tornerà in sè, noi saremo già sull’altipiano. Gambe, Blunt! La via è libero.
Raccolsero la lancia e la scure e si misero a correre, risalendo il sentiero che continuava a serpeggiare fra rupi giganteshe.
CAPITOLO XXIX
Buck Taylor
Soltanto verso le tre del mattino, l’ingegnere e lo scrivano, dopo sforzi inauditi, poterono giungere sul margine del Gran Cañon e precisamente là dove gli Apaches li avevano sorpresi e catturati.
Vi erano arrivati in pessime condizioni, e appena raggiunte le prime rocce della piattaforma, erano caduti l’uno presso all’altro, senza potersi più muovere.
— Mi pare di avere le gambe rotte, signor Harris, — aveva detto Blunt.
— Ed io non ho più fiato, amico, — aveva risposto l’ingegnere.
— Eppure non dobbiamo fermarci a lungo qui.
— Nessuno ci minaccia, pel momento.
— Siamo a pochi passi dal cliff, signore, e forse i cow-boys ed il colonnello vi si trovano ancora rinchiusi. Andremo sotto le finestre e li chiameremo.
— E ci faremo prendere dal Re dei Granchi.
— Che assedii ancora il cliff quel cane maledetto?
— Che cosa ne sappiamo noi, Blunt? — rispose Harris.
— Parola d’onore che lo desidererei! — esclamò lo scrivano con collera.
— E perchè?