La Mala Femmina domata/Atto quinto

Atto quinto

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William Shakespeare - La Mala Femmina domata (1593)
Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1859)
Atto quinto
Atto quarto

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ATTO QUINTO


SCENA I.

Padova. - Dinanzi alla casa di Lucenzio.

Entrano da un lato Biondello, Lucenzio e Bianca; Gremio passeggia dall’altra parte.

Biond. Adagio e presto in pari tempo, signore, perchè il sacerdote è pronto.

Luc. Corro, Biondello, ma potresti esser richiesto dentro la casa, e perciò lasciaci.

Biond. No, in verità, voglio vedere il tetto della chiesa sul vostro capo, e allora ritornerò a trovare il mio padrone con tutta quella sollecitudine che mi sarà possibile. (esce seguendo Luc. e Bian.)

Grem. Stupisco che Cambio non giunga ancora. (Entrano Petrucchio, Caterina, Vincenzo e seguito)

Pet. Signore, quest’è la porta: questa è la casa di Lucenzio. Mio padre abita più innanzi verso la piazza del mercato: bisogna ch’io vada da lui, e quindi vi lascio qui, signore.

Vin. Non partirete prima d'aver bevuto un bicchiere: spero che qui sarete ben ricevuto sotto i miei auspicii, e che vi troverete, secondo tutte le apparenze, di che rinfrancarvi lo stomaco. (batte)

Grem. Sono in grandi faccende là dentro; bisogna che battiate più forte. (il Pedante comparisce a una finestra di sopra)

Ped. Chi è che batte, come se volesse atterrare la porta?

Vin. È in casa Lucenzio, signore?

Ped. Vi è, ma non gli si può parlare.

Vin. Neppure se gli recassero due o trecento doppie per rallegrarlo?

Ped. Tenetevi le vostre doppie, egli non ne avrà mai bisogno finch’io vivrò.

Pet. Non ve lo dissi, signore, che vostro figlio era molto amato in Padova? — Udite, messere, (al Ped.) per abbreviare i discorsi, vi prego di dire al signor Lucenzio, che suo padre è arrivato ora da Pisa, e che lo aspetta qui per favellargli [p. 395 modifica]

Ped. Tu menti, suo padre è già da parecchi giorni venuto ed è quello che discorre ora teco da questa finestra.

Vin. Sei tu suo padre?

Ped. Sì, signore; così sua madre dice, se io posso crederle.

Pet. (a Vin.) Vergognatevi, signore, è una bassa mariuoleria simulare un nome che non ci appartiene.

Ped. Impadronitevi di colui: credo ch’egli intendesse di ingannare qualche onesto cittadino usurpando il mio nome. (rientra Biondello)

Biond. Gli ho veduti nella chiesa insieme; Dio voglia ora condurli in porto! — Ma chi veggo? Il mio vecchio padrone Vincenzo? Ora siamo perduti, perduti senza riparo.

Vin. Vieni qui, tu, (riconoscendo Biondello) resto di galera.

Biond. Come mi parlate, signore?

Vin. Vieni qui, tristo che sei: mi hai tu dimenticato?

Biond. Dimenticato? No, signore, non potevo dimenticarvi, non avendovi mai veduto per l’innanzi.

Vin. Come, insigne scellerato, non avevi tu mai veduto il padre del tuo padrone?

Biond. Chi? il mio vecchio ed amato padrone? Sì, in verità, signore: ma è quello che sta lassù alla finestra.

Vin. È proprio vero? (battendolo)

Biond. Aiuto, aiuto, aiuto! Vi è un frenetico che vuole ammazzarmi. (esce)

Ped. Soccorso, figlio! soccorso, signor Battista! (si ritira dalla finestra)

Pet. Ve ne prego, Caterina, tiriamoci a parte, per vedere il fine di questa contesa. (si allontanano; entra il Pedante con Battista, Tranio e varii domestici)

Tran. Chi siete voi, signore che venite a battere i miei servi?

Vin. Chi son io, signore? Chi siete voi piuttosto? Oh immortali Dei! oh astuto scellerato! col giubboncello di seta! coi bottoni d’oro! col manto scarlatto! col cappello senza nappa! Oh! son rovinato, son rovinato! Mentre ch’io risparmio da buon padre di famiglia, mio figlio e i miei servi profondono ogni cosa.

Tran. Chi è? che accadde?

Batt. È pazzo quest’uomo?

Tran. Signore, al vostro esteriore sembrereste un uomo rispettabile e di buon senno: mai vostri discorsi vi appalesano per demente. Che importa a voi ch’io vesta in un modo piuttosto che in un altro? Di ciò ne ho obbligo al mio buon padre, che mi provvede d’ogni bene. [p. 396 modifica]

Vin. Tuo padre? Oh maledetto! tuo padre è un fabbricatore di vele in Bergamo.

Batt. V’ingannate, signore, v’ingannate: come credete ch’egli si chiami?

Vin. Lo vorrete dire a me, che l’ho avuto in casa dall’età di tre anni infino al mese scorso? Si chiama Tranio.

Ped. Via di qui, matto ciuco! Il suo nome è Lucenzio, ed egli è il mio figlio unico, e l’erede d’ogni mia sostanza.

Vin. Lucenzio! Oh! egli avrà assassinato il suo padrone. Arrestatelo, ve l’impongo in nome del doge. Oh mio figlio, mio figlio! — Dimmi, scellerato, dov’è Lucenzio, il figlio mio?

Tran. Chiamate un ufficiale (entra un ufficiale) e fate condurre questo pazzo in prigione; padre Battista, affido a voi l’ufficio di farvelo condurre.

Vin. Condurmi prigione!

Grem. Fermatevi, ufficiale; ei non deve andar prigione.

Batt. Tacete, signor Gremio; io vi dico che egli vi andrà.

Grem. Badate, signor Battista, che non siate voi l’ingannato in tutto questo sviluppo: oserei giurare che questo è il vero Vincenzo.

Ped. Giuralo, se l’osi.

Grem. Non giurerò.

Tran. Fareste meglio a dire ch’io non sono Lucenzio.

Grem. Voi io conosco pel signor Lucenzio.

Batt. Via, conducete lungi quest’insensato (additando Vin.) e guidatelo alle carceri.

Vin. Così si trattano i forestieri? — Oh scellerati! (rientra Biondello con Lucenzio e Bianca)

Biond. Ora tutto è finito... eccolo là... fingete di non riconoscerlo, rinnegatelo, o siamo perduti.

Luc. (inginocchiandosi) Perdono, mio buon padre.

Vin. Sei tu vivo, mio caro figlio? (Biondello, Tranio e il Pedante fuggono via)

Bian. (inginocchiandosi) Perdono, caro padre.

Batt. In che l’hai tu offeso? (a Bianca) Dov’è Lucenzio?

Luc. Ecco Lucenzio, il vero figlio del vero Vincenzo, che disposata ha con legittimo matrimonio la figlia vostra, intanto che alcune persone con nomi bugiardi vi stavano ingannando.

Grem. Fu una trama che ne avvolse tutti.

Vin. Dov’è quel dannato servo che mi venne contro con tanta petulanza?

Batt. Ma ditemi, non è questo il mio Cambio? [p. 397 modifica]

Bian. Cambio si è trasformato in Lucenzio.

Luc. L’amore compie questi miracoli. L’amore di Bianca mi fece mutar stato con Tranio, intantochè egli riempiva le mie parti per la città, e felicemente io giunsi al desiderato asilo dove solo potevo essere contento. Ciò che Tranio fece, lo fece per comando mio; vogliate dunque perdonargli, mio buon padre, per amore di me.

Vin. Ammaccherò il naso del villano che voleva farmi andar in carcere.

Batt. Ma udite, signore. (a Luc.) Avete voi sposata mia figlia, senza chiedermi il mio consenso?

Luc. Non temete. Battista; sarete soddisfatto sopra ogni cosa; ma vuo’ vendicarmi di questa frode. (esce)

Batt. Ed io pure, e vuo’ analizzarla in ogni sua parte. (esce)

Luc. Non impallidire, Bianca; i nostri padri si calmeranno. (esce con Bianca)

Grem. Tutto è finito per me: ma li seguirò dentro la casa, sebbene non abbia più altra speranza ora che quella di partecipare al banchetto. (esce; Petrucchio e Caterina si avanzano)

Cat. Sposo, seguiamoli per vedere il termine di tutto ciò.

Pet. Prima dammi un bacio, Caterina, e poscia andremo.

Cat. Qui in mezzo alla strada?

Pet. Arrossisci forse di me?

Cat. No, signore; Iddio me ne guardi: — ma mi vergogno di dovervi qui baciare.

Pet. Allora torniamo a casa nostra. — Animo, indietro.

Cat. No, no; vi bacierò: ve ne prego, mio amore, fermatevi.

Pet. Non va bene così?.... Vieni, mia cara Caterina, la tua bontà è venuta tardi, ma meglio tardi che mai: vieni, anima mia. (escono)

SCENA II.

Una stanza nella casa di Lucenzio.

Entrano Battista, Vincenzo, Gremio, il Pedante, Lucenzio, Bianca, Petrucchio, Caterina, Ortensio, e la Vedova. Tranio, Biondello, Grumio ed altri apprestano vivande.

Luc. Alla fine dopo tanti litigi eccoci tutti amici: ed è tempo, quando i furori della guerra sono cessati, di sorridere ai pericoli a cui ci sottraemmo. Mia bella Bianca, salutate mio padre, mentre io saluterò il vostro. — Fratello Petrucchio, sorella [p. 398 modifica]Caterina, e voi, Ortensio, colla vostra amabile vedova, statevi lieti, e siate i benvenuti in mia casa. Questo banchetto c’infonderà novelli spiriti: tì prego di sedere, e di mangiare di buon appetito. (siedono a tavola)

Pet. Mangiamo, allegramente mangiamo.

Batt. È Padova, che ci procura questo contento, figlio Petrucchio.

Pet. Padova non offre che piaceri.

Or. Per amore di noi vorrei che quello che dite fosse esatto.

Pet. Io credo sulla mia vita, che Ortensio non sia molto quieta sul conto della sua vedova.

Ved. Non vi fidate dunque mai di me, se non mi stimate.

Pet. Dissi che era Ortensio che temeva di voi.

Ved. L’uomo che ha le vertigini, crede che il mondo gli giri intorno.

Pet. Eccellente risposta.

Cat. Signora, che volete voi dire? Vi prego di spiegarne il vostro intendimento.

Ved. Vostro marito, che ha la testa turbata da una cattiva moglie, misura il dolore degli altri sposi dal suo: capite ora?

Cat. Il pensiero è villano.

Ved. A meraviglia.

Cat. E degno è veramente di voi.

Pet. Bene, Caterina, pungila.

Or. Mia cara vedova, rispondile a dovere.

Pet. Scommettiamo cento marchi, che la mia Caterina la confonde.

Or. Vedremo.

Pet. È una fidanza valorosa. — Alla tua salute, Ortensio. (beve)

Batt. Quale sembra a Gremio lo spirito dei nostri giovani?

Grem. Essi si urtano a meraviglia di fronte.

Bian. Di fronte, signore? Un uomo arguto vi direbbe, che in tali lotte potreste voi pure entrare, perchè la vostra fronte è difesa mirabilmente.

Vin. Gioviale sposina, vi siete alfine svegliata.

Bian. Sì, ma per raddormentarmi tostochè ne senta il bisogno.

Pet. Oh! voi non dormirete più, almeno finchè state fra di noi.

Bian. Sono io il vostro uccello da giuoco? Muterò cespuglio, e voi seguitemi se ne avete talento. — Vi do a tutti la buona notte. (esce con Cat. e la Ved.)

Pet. Ella mi ha prevenuto. — Avvicinatevi, signor Tranio [p. 399 modifica]Ella era l’uccello al quale voi miravate, sebbene lo falliste: alla salute dunque di tutti i poveri delusi.

Tran. Oh signore! Lucenzìo m’ha avventato sulla preda, come il cane del cacciatore, che non la prende che pel suo padrone.

Pet. È una bella comparazione, quantunque canina.

Tran. Ma voi, signore, cacciaste per conto vostro, sebbene si dica che tale esercizio vi riesca alquanto faticoso.

Batt. Oh! oh! Petrucchio; Tranio ora mira a voi.

Luc. Lepidissimo Tranio!

Or. Confessate che il colpo fu ben diretto.

Pet. E confesso anche che mi ha un poco tocco, ma siccome è ribalzato altrove, così scommetterei che ha feriti voi pure.

Batt. Veramente per parlare da senno, genero Petrucchio, lo credo che siate voi, che abbiate la più cattiva moglie.

Pet. Ed io dico di no; e per prova, ognuno di noi mandi a chiamare la sua, e quegli che avrà la più obbediente, la più arrendevole ai suoi ordini, guadagnerà la scommessa.

Or. Siamo intesi. Ma la scommessa di quant’è?

Luc. Di venti ducati.

Pet. Venti ducati! Ne arrischierei altrettanti sopra un falco, o sopra un cane: vuolsi porne di più sopra una donna.

Luc. Ebbene, scommettiamone cento.

Or. È detto.

Pet. È detto.

Or. Chi comincierà?

Luc. Io. Va, Biondello, e di’ alla tua padrona di venir da me.

Biond. Vado. (esce)

Batt. Mio figlio, starò a metà con voi: Bianca verrà tosto.

Luc. Non vuo’ metà: vuo’ vincer tutto solo, (rientra Biondello) Ebbene! Che ti ha detto?

Biond. La mia padrona, signore, vi manda a dire che è intenta ad un lavoro, e che non può venire.

Pet. Come! È intenta ad un lavoro, e non può venire? È questa la risposta?

Grem. Sì, ed è gentile abbastanza. Pregate Dio, signore, che vostra moglie non ve ne mandi una più trista.

Pet. Io spero meglio.

Or. Biondello va, e di’ a mia moglie ch’io la prego di venir qui immantinente. (Biond. esce)

Pet. Ooh, pregarla! Allora è ben certo che verrà.

Or. Temo molto, signore, che, qualunque cosa voi facciate, la vostra non vi obbedisca. (rientra Biond.) Viene mia moglie? [p. 400 modifica]

Bion. Dice che vi sarà qualche beffa in campo, e che non vuol venire: dice che andiate voi da lei.

Pet. Di peggio in peggio: ella non vuol venire. Ah! ciò è indegno e insopportabile. Va, Grumio, e di’ alla tua padrona ch’io le comando di venir qui. (Grumio esce)

Or. So quale sarà la sua risposta.

Pet. Quale?

Or. Che non vuol venire.

Pet. Credo che falliate il conto.

Batt. Per la Vergine! non è quella Caterina che si avanza? (entra Caterina)

Cat. Che cosa volete, che mi mandaste a cercare?

Pet. Dov’è vostra sorella e la moglie di Ortensio?

Cat. Stanno sedute al fuoco, ciarlando.

Pet. Andate a cercarle, e fatele venir qui: se si rifiutano, obbligatele con minaccie ad obbedirvi. Andate tosto, dico. (Cat. esce)

Luc. Ecco un prodigio, se mai alcuno ve ne fu.

Or. Si, in verità, e non saprei che cosa potesse presagire.

Pet. Presagisce la pace, la tenerezza, una vita tranquilla, l’autorità legittima del marito, la domestica amorevolezza, l’ordine, la decenza, e per dirla in breve, tutto ciò che vi è di più soave nella vita.

Batt. Siate felice, Petrucchio: voi guadagnaste la scommessa, ed io aggiungerò alla loro perdita ventimila scudi, novella dote che do a una novella figlia, perocchè Caterina non è più quella di prima.

Pet. Vi darò anche migliori prove della di lei bontà e del suo merito da poco venuto in luce, rendendomi così sempre più degno dei vostri doni. Mirate, ecco che ella ritorna, e conduce le vostre ribelli spose prigioniere della sua eloquenza femminina. (rientra Caterina con Bianca e la Vedova) Caterina, quel cappello che portate non vi sta bene: toglietevelo e cacciatevelo sotto i vostri piedi. (Cat. si toglie il cappello, e lo getta per terra)

Ved. Signore, ch’io non abbia mai motivo di piangere, fino a che non mi si è indotta a una così stolta compiacenza.

Bian. Che pazzia fu mai quella!

Luc. Vorrei che voi pure aveste di tali pazzie. La saviezza vostra, bella Bianca, mi costa già fin d’ora cento ducati.

Pet. Caterina, ti impongo di spiegare a queste donne presuntuose qual rispetto esse debbano ai loro mariti, ai signori loro. [p. 401 modifica]

Ved. Via, via, voi ci schernite; non abbiamo bisogno delle sue prediche.

Pet. Fa quello ch’io ti dico, Caterina, e comincia da lei.

Ved. Essa nol farà.

Pet. Vi dico di sì: ascoltatela.

Cat. Vergogna, vergogna! Diradate le rughe di quella fronte dura e minacciosa, e non vibrate quegli sguardi di disprezzo per oltraggiare il vostro sposo e signore: quella fosca nube oscura la vostra beltà, come il gelo fa appassire i verdi prati; fa danno alla vostra riputazione, come la tempesta alle tenere piante, e per nissun modo vi si addice. Una donna sdegnata è come una fontana torbida, fangosa, senza trasparenza, senza purità, che perde tutta la sua bellezza; e finchè ella è in tale stato, nessuno, per quanto avvampante di sete, vorrà libare della sua onda o appressarvi le labbra. Il vostro sposo è il vostro sovrano, la vostra vita, il vostro custode, il vostro duce, il vostro capo; quegli che intende al vostro ben essere e alla vostra sussistenza; che indura penose fatiche di mare e di terra, che passa le notti fra le tempeste, i giorni fra i rigori del verno, intantochè voi tepidamente riposate, senza sentire alcun disagio; e per tutti questi sacrificii egli non esige da voi altro tributo, che l’amore, dolci risguardi, e una sincera obbedienza: debole guiderdone a così gran benefizio. Il rispetto e la sommissione che un suddito deve al suo principe, la donna li debbo al suo sposo: e quando ella è bisbetica, aspra, incresciosa, maligna, e non gli obbedisce, che è ella se non una ribelle colpevole d’imperdonabile tradimento verso il suo buon signore? Arrossisco di vedere donne che si arrischiano alla guerra, quando è inginocchiate che dovrebbero chieder pace; o di vederle pretendere allo scettro, al comando e all’imperio, allorchè han fatto voto di esser umili, di amare e di obbedire. Perchè la natura ci ha ella create di costituzione tenera, delicata e sensibile, inette a sostenere le fatiche e le agitazioni del mondo, se non per farci comprendere che la tenerezza, la sensibilità, la docilità dei nostri cuori, devono rispondere alla natura del nostro sesso e della nostra tempra? Via, via, vermi ribelli e impotenti! Il mio carattere era imperioso come il vostro, il mio cuore del pari superbo, e forse avrei saputo io più di voi rispondere alle parole, con parole, ai sarcasmi con sarcasmi, alio minacce con minacce: ma mi avvidi che le nostre lancio non sono che steli di paglia, che le nostre forze non sono che debolezza, o debolezza estrema; e che quando noi sembriamo più potenti, siamo in fatti una ben misera cosa. [p. 402 modifica]Abbassate dunque l’orgoglio, abbassatelo per sempre, perocchè a nulla esso giova; e ponete le vostre mani sotto ai piedi dei vostri consorti, in segno di quella obbedienza che è loro dovuta: se il mio sposo lo comanda, la mia mano è pronta, ed io ciò farò.

Pet. Ecco cosa deve essere una donna! — Vieni, Caterina, vieni ad abbracciarmi.

Luc. Segui la tua vìa, vecchia volpe, e giungerai al tuo termine.

Vin. Sono belli a vedersi i fanciulli cortesi e docili!

Luc. Ma ben doloroso è il vedere donne altere e ribelli.

Pet. Andiamo, Caterina; andiamo a letto. — Eccoci tutti e tre ammogliati, ma son io che vinsi la scommessa, e quale vincitore vi do la buona notte. Prego Iddio che il mio esempio abbia fruttificato nei vostri cervelli. (esce con Cat).

Or. Va; tu puoi vantarti d’aver messa alla ragione una femmina ben trista.

Luc. Ed è assai meraviglioso che ella lasciasse domarsi così.

(escono)



FINE DEL DRAMMA E DEL VOLUME SESTO.