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alla vita, Aquilino!» Poi, dall’altra parte del cielo, era apparsa la luna, ed anch’essa gli aveva parlato, e l’anima di lui si era gonfiata e tremava come le acque inargentate del mare si gonfiano e treman d’amore verso il bel pianeta. E la banda in mezzo al gran popolo suonava, per i clarini e le trombe; ma ad Aquilino pareva una di quelle musiche eroiche che intònano agli uomini l’assalto verso non so quale sublime conquista.

Ma sopra la marmorea terrazza del casino rifulgeva come un olimpo di signore e signori.

Nessun impedimento fra quell’olimpo ed il popolo basso, fuor che una scalea. Ed Aquilino, smarrito, sentiva il bisbiglio del popolo, vedeva gli occhi delle donne, dal basso, rivolti verso lassù: «Quella è la tale; quello dicono che è il suo amante; senti quella come ride! Che brillanti! Buscherata, che brillanti! Quella è tutta dipinta. Adesso usa. Se ridessimo noi così!»

Ma quell’olimpo pareva come ignorare la esistenza di quel pavimento di popolo.

Anche Aquilino stava a guardare lassù. Egli vedeva vivi, di carne, i deliziosi suoi àngioli. Ce ne erano tante lassù di giovinette; e avevano anche il corpo. Oh, come bello!